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Eminem, 50 anni del bianco che ha segnato il rap

Eminem non è stato il primo rapper bianco e probabilmente non è nemmeno il migliore di sempre. Ma è uno di quelli che ha segnato uno spartiacque. Che ha scardinato una barriera razziale e di genere musicale, in un periodo in cui quasi solo i neri e al massimo i latinoamericani facevano o ascoltavano il tanto temuto rap. Contestualmente, girava una battuta che ironizzava su due stereotipi ribaltati: in quel momento, il rapper più famoso era un bianco, il golfista più forte un nero.

Ora Eminem, nome scelto per le iniziali del suo vero nome, Marshall Mathers, ha compiuto 50 anni.

Infinite, primo fallimentare album di Eminem

Vannilla Ice e i Beastie Boys

Prima di lui, diversi bianchi si erano affacciati sulla scena rap. Vanilla Ice aveva raggiunto un fugace successo con Ice Ice Baby nel 1990. E già a metà degli anni ’80, i Beastie Boys avevano intrapreso la svolta hip hop dopo gli inizi punk-rock.

Ma Vanilla Ice è stata una meteora piuttosto innocua. I Beastie Boys, invece, facevano genere a parte, con sonorità non ortodosse e continue sperimentazioni. Poi, all’inizio, venivano visti più come universitari festaioli (e lo erano).

Il loro manifesto era la sarcastica (You gotta) Fight For Your Right (To Party) = (Devi) Combattere per il diritto (di festeggiare). Non qualcosa con cui l’ascoltatore medio di rap di allora potesse relazionarsi. Il tenore era più quello di Ice-T, che nel 1987 fece uscire 6 ‘N The Mornin’, (= 6 Del Mattino), storia di una perquisizione casalinga da parte delle forze dell’ordine.

Dal fiasco a Slim Shady

Il Marshall degli esordi era, all’ascolto, indistinguibile dai neri, per stile e tematiche. In questo avrà influito l’essere white trash, un bianco povero della decadente Detroit. L’ex capitale dei motori, industria che ne aveva fatto le fortune, si era trasformata in una capitale del crimine violento e dello spaccio.

Ma gli inizi non furono promettenti. Infinite, il primo album datato 1996, fu un fiasco. Non perché fosse scadente, anzi, ma perché non sembrava spiccasse in nulla. Roba già sentita, ad esempio da Nas, storico rapper del Queens, senza troppe aggiunte personali.

A salvarlo dalla depressione è l’amico Proof, all’anagrafe DeShaun Holton, che lo introduce nei D12, Dirty Dozen, la sporca dozzina. Nelle intenzioni, il gruppo avrebbe dovuto includere dodici membri, ma si arrivò solo a sei e così ognuno di essi scelse un alias per raddoppiare virtualmente la formazione.

Nasce Slim Shady, l’alter ego malvagio di Eminem, perfetto per il genere grottesco e horrorcore dei D12. Una maschera per dire le peggiori atrocità, ma in uno stile impeccabile e finalmente riconoscibile.

The Slim Shady LP, album che segna il successo di Eminem

Dr. Dre

Infatti lo nota un certo Dr. Dre, una delle colonne portanti del rap losangelino e produttore. Nel 1999 esce il secondo album di Eminem, The Slim Shady LP, ma è come fosse il primo. Eminem/Slim smette di copiare, o meglio, di volersi mimetizzare tra i neri. Mentre le basi di Dre danno quel tocco dei classici West Coast.

“Se Nas aveva scritto Illmatic guardando fuori dalla finestra della sua camera nel Queensbridge, Slim Shady LP sembrava composto guardando dentro lo schermo di una TV in un salotto disastrato del Midwest”, scrive Cesare Alemanni nel libro Rap: Una Storia, Due Americhe. Eminem non attinge dalla strada, ma dalla cultura pop (soprattutto dal peggio).

Questione razziale e successo

Il binomio Eminem-Dre porta benefici a entrambi. Eminem è finalmente sulla mappa, Dre la amplia. Non è più il gangsta rapper di fine anni ’80, controllato dall’FBI insieme al suo gruppo N.W.A. Esce dal ghetto e incontra il favore del grande pubblico, in cambio Eminem guadagna credibilità tra i fan del rap West Coast. Ed è lo stesso hip hop che ne giova, divenendo popolare a livello mondiale. All’epoca voleva dire finire su MTV nella normale rotazione, non solo un’ora al giorno in una rubrica di nicchia.

Some people only see that I’m white, ignoring skills/’cause I stand out like a green hat with an orange bill (=alcune persone vedono solo che sono bianco, ignorando l’abilità, perché risalto come un cappello verde con una visiera arancione), scriveva in Role Model.

Dr. Dre, Eminem e Snoop Dogg

White America

Nel 2002 esce il quarto album,The Eminem Show, ultimo della trilogia che, in mezzo, include The Marshall Mathers LP – uno ciascuno per la persona reale, il rapper e il lato cattivo. Il brano White America è una sintesi più ragionata e metabolizzata di quanto il colore della pelle abbia influito nella carriera di Eminem.

Let’s do the math/ if I was black/ I woulda sold half” (= facciamo i conti, fossi stato nero avrei venduto la metà).

E, riferito a Dre, “helped him get back to the top/every black fan that I got/was probably his/in exchange of every white fan that he got” (= l’ho aiutato a tornare in cima/ogni fan nero che ho/era probabilmente suo/in cambio di ogni fan bianco che ha).

[…] “My skin is starting to work as a benefit now?” (=la mia pelle mi sta dando dei vantaggi adesso?).

Quello che agli inizi, nell’underground, poteva essere stato uno svantaggio, adesso stava ripagando eccome. Eminem ne ha consapevolezza.

Libertà di parola

Se la questione bianchi/neri poteva essere ormai archiviata (a livello personale e di rap, non certo sociale), quella del linguaggio e dei contenuti è stata ancora predominante.

Il dibattito su quanto gli esempi dei personaggi dello spettacolo possano condizionare i comportamenti dei più giovani è sempre attuale. A fine anni ’90, nello specifico, toccò soprattutto a Eminem e Marilyn Manson essere al centro dell’attenzione mediatica. Il secondo fu persino accusato indirettamente (dalla frangia più conservatrice dell’opinione pubblica) del massacro della Columbine – pare gli autori ascoltassero Manson…

Eminem ha cantato con leggerezza delle peggiori oscenità e crimini, su questo non c’è dubbio. Lui si è sempre appellato alla libertà di parola – che negli Stati Uniti può permettere perfino ai neonazisti di manifestare – e all’evidente finzione.

Come fosse guardare un film horror o, meglio ancora, una puntata di South Park, da cui Eminem ha attinto più di una volta. In Marshall Mathers (dell’omonimo album), Eminem si definisce uno skinny Cartman, un Cartman magro (il personaggio più estremo del cartone, sintesi e impersonificazione di ogni cattiveria).

The Marshall Mathers LP, album di Eminem che include il brano Stan

Intrattenimento responsabile?

Ovviamente la risposta non è univoca e la coperta è corta. Non dovremmo delegare a celebrità, film, musica o videogiochi il fornirci modelli di comportamento. Quello dovrebbe essere puro intrattenimento, sarebbero altre le istituzioni preposte, come famiglia, scuola, politica.

Ma è vero che qualcuno potrà sempre rimanere influenzato, specie tra i più giovani. L’importante non è censurarsi, ma assumersi le proprie responsabilità di personaggio in vista, che sa (o dovrebbe sapere) a cosa andrà in contro dicendo una determinata cosa.

Dall’altra parte si può obiettare che esagerazioni così estreme, come quelle di Eminem (o degli horror, o di South Park ecc.) siano palesemente finzione. Che è quindi chiara la linea da non sorpassare.

Stan

La risposta migliore di Eminem è arrivata con Stan. Il brano, del 2000, va oltre il poco soddisfacente “l’ho detto per goliardia”, ma è una presa di coscienza. La canzone parla di una conversazione epistolare, inizialmente a senso unico, tra Stan, ipotetico fan ossessivo, e il suo mito Eminem.

Stan tende a emulare ogni cosa detta da Eminem nelle sue canzoni. Finché rinchiude la fidanzata incinta nel bagagliaio e si getta da un ponte con l’auto in corsa, incolpando Eminem per le mancate risposte a lettere in cui il tono peggiora di volta in volta.

Nell’ultimo verso Eminem risponde. Smette i panni dell’alter ego cattivo Slim Shady per essere Marshall e cercare di aiutare Stan. Ma ormai il fatto è accaduto e solo alla fine Eminem realizza che è stato proprio Stan a compiere l’atroce omicidio-suicidio di cui è venuto a sapere dalle cronache.

The Eminem Show, album che include White America

Nuovo corso

La carriera di Eminem è proseguita più distante dai riflettori di quanto non lo sia stata agli inizi. Per fortuna senza più droghe e atteggiamenti distruttivi, ma anche senza quei picchi che lo portavano in alto nelle classifiche, facendolo diventare pop star nel senso di “popolare” (e non di genere musicale).

Non è più un personaggio divisivo e controverso, anche perché in oltre 20 anni le cose sono cambiate, sia a livello personale che di contesto socio-culturale. Ma non si può sminuirne l’impatto nel rap e nella sua diffusione. Non è stato il primo rapper bianco, né, probabilmente, il migliore di sempre. Ma è diventando un metro di paragone.

  


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