In occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, la regione Lazio ha dedicato una mostra fotografica a quello che è stato uno degli intellettuali più completi e discussi del dopoguerra italiano.
Negli spazi del WeGil a Trastevere, fino al 10 luglio 2022, sono stati esposti 160 scatti per la mostra “Non mi lascio commuovere dalle fotografie”: un omaggio che ripercorre le esperienze del Pasolini uomo e artista.
Bologna
Nato a Bologna il 5 marzo 1922, Pasolini trascorre buona parte dell’infanzia e adolescenza in Friuli, per via di vicissitudini familiari. In particolare a Casarsa della Delizia, paese della madre e amata località delle vacanze estive. Ma gli anni della formazione sono i sette, tra scuola e università, passati nel capoluogo emiliano.
Le celebrazioni del centenario coinvolgono infatti anche Bologna, con mostre, eventi, iniziative, spettacoli per tutto l’anno in giro per la città.
Amicizie
In un contesto familiare difficile, il piccolo Pier Paolo si lega indissolubilmente alla madre, introversa e intellettuale.
Dal ritorno a Bologna negli anni universitari, Pasolini comincerà a frequentare Francesco Leonetti e Roberto Roversi, con cui fonderà la rivista Officina. Negli anni ’50 c’è il trasferimento nella Capitale, dove stringe rapporti con personaggi del calibro di Alberto Moravia, Italo Calvino, Federico Fellini, Renato Guttuso, Leonardo Sciascia e Giuseppe Ungaretti.
Ma alla mondanità preferisce la vita delle periferie e delle borgate, guidato dal poeta Sandro Penna, perugino ma romano d’adozione.
Lo stacco netto dal Friuli a Roma
La periferia di Roma dei primi anni ’50 non è certo quella attuale e lo stacco da un piccolo paesino del Friuli si fa sentire. La borgata è ancora un ibrido tra città e campagna, non ancora investita dall’urbanizzazione dell’edilizia popolare. Costruzioni povere non sempre in mattoni, ma spesso in legno e lamiere; strade non asfaltate e allagate dalle prime piogge. Basti pensare che situazioni simili ancora sono raccontate in film come Brutti, Sporchi e Cattivi, che pure è del 1976.
Ma qui Pasolini trova un’umanità che lo attrae irrimediabilmente. Nel 1955 pubblica il romanzo Ragazzi di Vita, che risente del neorealismo. I “ragazzi di vita” sono i giovani senza certezze affettive, familiari, lavorative. Spesso costretti a vivere i espedienti, vengono comunque descritti come persone che hanno mantenuto una certa purezza, vittime di processi di trasformazione sociale da cui vengono travolti.
Il racconto della borgata
Dopo Ragazzi di Vita arriva, nel 1959, il secondo romanzo romano: Una Vita Violenta. Il termine “vita” è nuovamente presente nel titolo, non a caso. Una vitalità fisica, sia nello sport, molto praticato, che nella sessualità, quasi una liberazione dalla repressione papalina.
Pasolini esula dallo stereotipo dell’intellettuale nella cosiddetta “torre d’avorio”. Vive la strada, giocando l’incontro quotidiano con “l’altro da sé”, allargando i propri orizzonti. Testimonianza dell’ambiente sono i suoi due film prettamente romani, Accattone del 1961 e Mamma Roma dell’anno dopo. Sullo sfondo si intravedono i cantieri che trasformeranno radicalmente l’aspetto cittadino negli anni a seguire.
Cinema, la narrazione con altri mezzi
Il passaggio dalla poesia e dalla letteratura al cinema avviene nel 1961 con Accattone. Pasolini, così, cerca di espandere il proprio linguaggio narrativo, amplificandolo come discorso più popolare. Come sottolinea il saggista Mirko Bevilacqua, il lavoro di Pasolini è segnato da una continua ricerca espressiva e una costante tensione alla sperimentazione.
Pasolini voleva un linguaggio più universale, che parlasse della vita resa dal cinema con l’evidenza delle immagini.
Calcio
Il calcio è stato una parte importante della vita di Pasolini, sia per l’aspetto agonistico e giocoso che come mezzo di socializzazione. Pier Paolo era tifoso del Bologna, non tanto per questioni anagrafiche, quanto perché lì ha tirato i primi calci, quando a quattordici anni vi è tornato dal Friuli. “Giocavo anche sei-sette ore sui Prati di Caprara”, scriveva, “sono stati i pomeriggi più belli della mia vita”. Ala destra, veniva soprannominato “Stukas” dai compagni, dal modello di aereo tedesco utilizzato nella Seconda Guerra Mondiale per gli attacchi in picchiata.
Partita “storica” fu quella di Parma nel marzo 1975. A sfidarsi i “120” contro i “900”, cioè cast e troupe di Salò o le 120 giornate di Sodoma contro Novecento. Bernardo Bertolucci si limitò a fare da spettatore, Pasolini era invece in campo da capitano, insieme a Ninetto Davoli. Ma non riuscirono a evitare la sconfitta, 2-5.
La partita fu un modo di festeggiare il trentaquattresimo compleanno di Bertolucci e soprattutto di riavvicinare Pasolini al suo vecchio aiuto-regista, con cui ebbe delle incomprensioni.
Morte e ultimi addii
Dopo la morte in circostanze mai del tutto chiarite tra il 1 e il 2 novembre 1975, il 5 novembre Roma diede l’estremo saluto a quello che da 25 anni eri ormai un suo nuovo figlio. A Campo de’ Fiori accorsero in migliaia e numerosi politici, artisti e intellettuali pronunciarono il loro breve commiato dal palco.
In particolare, Moravia parò della violenza estrema, emblema del degrado morale e civile del quale l’Italia era stata fatta oggetto da un potere senza volto, come denunciato dallo stesso Pasolini nelle ultime opere.
Il giorno dopo la salma fu trasportata a Casarsa della Delizia, dove fu seppellita a fianco del fratello Guido, morto da partigiano nel 1945.