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Sport e politica, l’arma del boicottaggio

I mondiali di calcio 2022 in Qatar hanno generato polemiche già dall’assegnazione, avvenuta nel 2010. Prima le supposizioni sul mondiale “comprato”, poi supportate da evidenze; poi questioni di logistica, che hanno imposto lo slittamento dall’estate all’inverno del torneo, per evitare di giocare con 50 gradi; soprattutto, il tema dei diritti umani, che ha portato a (timide) richieste di boicottaggio.

Questo è un mezzo di protesta che nello sport è stato usato frequentemente, soprattutto nei lunghi decenni di Guerra Fredda. E non necessariamente contro il Paese organizzatore di una manifestazione. Negli ultimi anni il boicottaggio è diventato più che altro una costante spada di Damocle, ma senza conseguenze effettive.

Il Qatar e la kafala

Oltre a violazioni strutturali dei diritti umani – donne, omosessuali, atei o apostati, migranti, che già dovrebbero bastare – nel piccolo emirato è emerso un altro grave problema contingente. Secondo un’inchiesta portata avanti dal quotidiano britannico The Guardian e dalla fondazione Humanity United, negli undici anni di preparazione degli stadi per i mondiali sono morti più di 6500 lavoratori, soprattutto stranieri (da India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Nepal). Sia per l’assenza di misure di sicurezza che per le condizioni ambientali proibitive.

norvegia magliette boicottaggio qatar
La Norvegia gioca le qualificazioni ai mondiali in Qatar esibendo magliette che chiedono il rispetto dei diritti umani. Nonostante l’ipotesi boicottaggio, gli scandinavi sono tornati sui loro passi, minacciati dalla FIFA di subire lunghe squalifiche

Secondo Human Rights Watch, il 95% dei lavoratori in Qatar sono stranieri. Il sistema è basato sulla kafala, che vuol dire “affidamento” e generalmente, nel mondo arabo, regola la tutela dei minori. Nonostante le riforme annunciate, la kafala è rimasta in vigore.

La gestione degli aspetti normativi del rapporto di impiego è delegata (affidata, appunto) dallo Stato agli “sponsor”, come agenzie interinali. Questi sponsor gestiscono la selezione, i permessi, la mobilità. Ma in troppi casi, i datori di lavoro abusano del loro potere, confiscando passaporti, congelando stipendi, minacciando denunce alle autorità. Insomma, a detta di molti, una forma di schiavitù camuffata, non connessa solo a eventi contingenti come i mondiali.

Italia ’34

Il primo boicottaggio in una manifestazione sportiva internazionale è stato quello dell’Uruguay. I sudamericani, peraltro campioni in carica, si sono rifiutati di andare in Italia per i mondiali di calcio del 1934. Ma la scelta non è stata politica, contro Mussolini e il fascismo, solouna banale ripicca. Nel 1930 molte europee, Italia inclusa, rifiutarono di attraversare mezzo mondo e raggiungere l’Uruguay per il doppione delle Olimpiadi.

Non solo l’Italia fascista non fu boicottata. Visto l’inatteso successo del 1930, furono addirittura 32 le squadre a iscriversi, contro le 13 di quattro anni prima.

Berlino ’36

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Olimpiadi di Berlino 1936, a sinistra Jesse Owens, a destra una delle poche atlete tedesche ed ebree, Helene Mayer. Foto da Eurosport

Nemmeno le Olimpiadi di due anni dopo, in una Berlino da tre anni nazista, suscitarono particolare scandalo. Il presidente del Comitato Olimpico statunitense, Avery Brundage, era noto per le simpatie naziste. Tanto che per la staffetta 4×100, i due atleti ebrei Glickman e Stoller vengono sostituiti all’ultimo minuto, in favore di Owens e Metcalfe. Non ci sono prove ufficiali, ma non è mai sembrata una casualità. E Brundage ci avrebbe messo lo zampino.

A proposito di razzismo, la vittoria di Owens nei 100 metri è stata ammantata di un’epica spropositata. Il nero che vince davanti a Hitler, rovinandogli le teorie suprematiste ariane, è una narrativa soddisfacente, ma non vera. Hitler sarà rimasto certamente contrariato dalla non vittoria tedesca, ma forse nemmeno troppo. L’importante era non ci fossero ebrei sul podio – e ci si ricollega alla situazione Brundage. Lo stesso Owens ha raccontato di come Hitler abbia rispettato l’etichetta delle premiazioni e i due si siano salutati normalmente.

Melbourne ’56

Melbourne 1956 bagno di sangue olimpiadi pallanuoto
Melbourne 1956, Olimpiadi, la gara di pallanuoto fra Ungheria e URSS passata alla Storia come “Bagno di Sangue”. Foto da gazzetta.it

Anche i mondiali 1950 in Brasile, sotto dittatura militare, trascorsero indenni. Diverso il discorso per le Olimpiadi di Melbourne del 1956, teatro di una serie di boicottaggi incrociati (nessuno dei quali contro l’Australia).

È un anno di forti tensioni. Fra ottobre e novembre, Israele, Francia e Regno Unito occupano il Canale di Suez, appena nazionalizzato dal presidente egiziano Nasser. Israele si allarga anche a Gaza e in Sinai. Nello stesso periodo, l’Unione Sovietica invade l’Ungheria, che cercava di smarcarsi dal bolscevismo.

La manifestazione si tiene a Novembre, più tardi del solito ma in prossimità dell’estate australiana. Egitto, Libano e Iraq rifiutano di partecipare contro Israele; Spagna (allora franchista), Olanda e Svizzera abbandonano contro l’Unione Sovietica; la Cina pure decide di non mandare i suoi sportivi, perché Taiwan è presente come Paese indipendente.

Scherzi del destino, bizze degli dei dello sport, sincronicità junghiana – semplicemente, due squadre forti prima o poi si incrociano. Qualunque sia la spiegazione, la pallanuoto vede di fronte proprio Ungheria e URSS, nel girone finale. La partita passa alla Storia come il “Bagno di sangue”, che scorre in vasca per gli scontri proibiti tra giocatori. Anche i tifosi danno in escandescenze e devono essere fermati dalla polizia, prima che la situazione degeneri definitivamente. L’Ungheria vince 4-0 e in seguito prenderà anche l’oro. Ma è una soddisfazione minima rispetto alla realtà vissuta in patria.

Inghilterra ’66

Nel 1966 sono gli organizzatori a pensare a un boicottaggio, caso certamente anomalo. Perché ai mondiali inglesi si è qualificata la scomoda Corea del Nord, a sua volta grazie al boicottaggio delle africane. Queste, nel 1964, si sono ritirate in segno di protesta contro la FIFA. I vertici del calcio non attribuivano loro nemmeno un posto diretto alla fase finale, ma solo agli spareggi. I coreani, sfruttando le assenze di squadre potenzialmente più forti, vincono e volano in Inghilterra.

Le minacce di respingere i coreani alla frontiera vengono spente dalla FIFA, pena la sottrazione del mondiale casalingo. Allora, la federazione si accontenta di vietare l’esposizione di bandiere nordcoreane; l’uso del nome Repubblica Popolare Democratica di Corea; l’esecuzione degli inni nazionali, limitati alla partita inaugurale e alla finale, tanto gli asiatici non faranno così tanta strada da giocarla.

Montreal ’76

Dopo il rifiuto sovietico di giocare lo spareggio mondiale in Cile, dove si appena insediato Pinochet, arrivano le Olimpiadi Montreal 1976. Stavolta è Taiwan a non prendere parte, perché le è impedito di gareggiare con la denominazione Repubblica di Cina.

Ma è la Nuova Zelanda di rugby la pietra dello scandalo. Gli all blacks avevano infatti accettato l’invito del Sudafrica per una tournée. Solo che il Sudafrica era stato radiato da ogni sport già da circa dieci anni, per le politiche di apartheid.

In segno di protesta, 27 africane più la Guyana marcano visita.

Coppa Davis ’76 e Argentina ’78

panatta coppa davis tennis italia cile . magliette rosse contro pinochet ma niente boicottaggio
Finale di Coppa Davis, tennis, Cile-Italia a Santiago. Nonostante qualche richiesta di boicottaggio contro il Cile di Pinochet, si gioca, ma con le maglie rosse come le madri dei desaparecidos

L’Italia di Panatta è finalista della Coppa Davis di tennis, in Cile contro i padroni di casa. Come tre anni prima a calcio, i sovietici rifiutano di giocare contro i cileni e perdono a tavolino la semifinale. Parte dell’Italia, al grido di “non si giocano volée con il boia Pinochet!” vuole fare altrettanto, ma i giocatori no. E probabilmente hanno ragione, o comunque hanno buone motivazioni: o la protesta è globale, oppure non ha senso lasciare le responsabilità ai singoli tennisti. Come “compromesso”, si gioca ma gli italiani indossano per l’occasione una maglia rossa, come le madri dei desaparecidos.

La situazione politica è molto simile in Argentina nel 1978, anno dei mondiali di calcio. In Francia, Olanda e Svezia si pensa a qualche forma di boicottaggio contro la giunta militare. Ma è una posizione minoritaria. Come in Italia, dove la stampa cerca soprattutto di normalizzare quanto stia accadendo in Argentina. Si scoprirà in seguito che Massera – del triumvirato argentino con Videla e AgostiRizzoli, che ha un certo peso editoriale, e Franchi, presidente della Federcalcio, sono tutti iscritti alla P2.

polonia urss solidarnosc mondiali 1982
Mondiali 1982 in Spagna durante la partita Polonia-URSS, i tifosi polacchi riescono a tenere per un tempo striscioni inneggianti a Solidarność

Le Olimpiadi 1980 e 1984 sono assegnate nell’ordine a Mosca e Los Angeles, proprio mentre la Guerra Fredda si riaccende. Nel 1979 l’URSS invade l’Afghanistan, preoccupata dall’insorgenza di movimenti islamisti. E nel 1981 Ronald Reagan sale alla Casa Bianca, invertendo la linea politica di Jimmy Carter, più aperta al dialogo.

Olimpiadi a Los Angeles e Mosca

Sono ben 65 i Paesi che boicottano Mosca, Stati Uniti in testa. Anzi 64 perché lo Zaire non va, ma per motivi economici. Tredici Nazioni, tra cui l’Italia, scelgono invece di gareggiare con il vessillo olimpico al posto della bandiera tradizionale.

Quattro anni dopo ci sarà la “vendetta” sovietica e dei Paesi filo-comunisti. Il blocco dell’Europa orientale, però, stava già iniziando a sgretolarsi. Ai mondiali del 1982 in Spagna, per esempio, Polonia e URSS si giocano l’accesso alle semifinali. Sebbene si cerchi di tenere la politica fuori dagli stadi, la curva polacca esibisce striscioni inneggianti a Solidarność. Anche qui, come a Melbourne, i sovietici escono sportivamente sconfitti.

vignetta urss contro boicottaggio olimpiadi di mosca
Vignetta del sovietico Boris Efimov contro il boicottaggio occidentale alle Olimpiadi di Mosca 1980

Anni recenti

Negli ultimi anni, la società civile (molto più della politica) ha cercato di sottolineare deficit democratici e sperequazioni sociali di Paesi ospitanti manifestazioni internazionali. È successo ad esempio per le Olimpiadi di Pechino del 2008 e 2022 (invernali), i mondiali in Sudafrica, Brasile, Russia e Qatar. Ma certe problematiche hanno presto lasciato spazio allo sport giocato.

Oppure ci sono stati messaggi vaghi e blandi. Come quello contro il razzismo, agli Europei 2021, in cui si è discusso sull’opportunità di inginocchiarsi prima del fischio d’inizio.

La Norvegia è stata l’unica squadra a paventare un boicottaggio per i mondiali in Qatar, minaccia rientrata per non incappare in lunghe squalifiche – alla fine, comunque, non si sono qualificati. Altre, come la Germania, hanno esibito magliette in favore dei diritti umani, ma poco altro.

La questione boicottaggio è divisiva per l’opinione pubblica. Ci sono visioni più radicali, per cui senza azioni drastiche non cambierà mai nulla. Altre che cercano di tenere separati sport e politica – anche se certi sentimenti alla lunga non possono che emergere. In partenza, servirebbe più etica nei vertici sportivi, politici, più in generale gestionali. Oppure il peso delle decisioni ricadrà solo sugli atleti, che rischiano di rinunciare al loro lavoro, alla passione, ad essere potenziali veicoli di messaggi positivi. Solo per pagare sconsiderate scelte altrui.

  


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