Il clima, storicamente, è sempre stato soggetto a grandi oscillazioni – senza che ciò infici la veridicità della mano umana nei cambiamenti climatici in atto. Secondo gli storici, ad esempio, il Medioevo fu un periodo particolarmente caldo, soprattutto nel nord Atlantico.
La Groenlandia prende il nome dal suo essere stata, almeno in certe aree, una terra verde (green land). Parlando di temperature inusuali, un caso singolare è stato il 1816, ricordato dalle cronache come l’anno senza estate.
L’influenza dei vulcani
L’eccezionale clima freddo, più che rovinare le vacanze, non ancora diffuse tra la maggior parte della popolazione, costò molto in termini di carestie e scarsità alimentari. Tutto a causa dell’eruzione del vulcano Tambora, nell’isola di Sumbawa, arcipelago della Sonda, Indonesia. I suoi effetti furono avvertiti persino in Europa e Nord America.
Nel 2010 il vulcano islandese Eyjafjallajokul si limitò a far cancellare qualche migliaio di voli sulla tratta atlantica – la nube arrivò fino in Italia. Due secoli fa, invece, il cielo rimase coperto abbastanza da influire pesantemente sulla produzione agricola. Inizialmente la colpa del freddo arido fu attribuita alle macchie solari. Solo nel Novecento gli esperti sono stati in grado di correlare l’eruzione del Tambora, addirittura dell’aprile 1815, a un’estate (quasi) senza precedenti.
Un fenomeno non superato nemmeno dal famoso Krakatoa del 1883, se non per il risalto mediatico. Ma solo perché, in quasi 70 anni, la velocità delle comunicazioni era aumentata nettamente. I dati parlano di oltre un chilometro di montagna spazzato via, due milioni di tonnellate di detriti e zolfo immessi nell’atmosfera, un rumore udito a quasi 1000 km. 12 mila le morti dirette (praticamente tutti i residenti) e circa 100 mila indirette fino all’altro capo del mondo, per la malnutrizione dovuta a 4 mesi di cambiamenti climatici.
L’anno peggiore di sempre
Negli ultimi decenni si è scoperta anche la causa dei diciotto mesi di freddo e nebbia iniziati nel 536 d.C. – giudicato “l’anno peggiore di sempre”. Ancora un’eruzione vulcanica o, probabilmente, molteplici. L’ipotesi sarebbe confermata non solo dal ritrovamento di sostanze vulcaniche risalenti a quel periodo rinvenute nei ghiacciai di Islanda e Groenlandia, ma anche dai resti di minuscola fauna marina tropicale.
La distanza di questi organismi dal loro habitat ha fatto pensare a una catena di eruzioni suboceaniche, dall’equatore fino all’Artide, che poi avrebbe oscurato i cieli di Europa e Asia, causando carestie ed epidemie – la cosiddetta peste di Giustiniano, iniziata a Costantinopoli nel 541.
Freddo e carestie
Tornando al Tambora, nel lungo periodo andò molto peggio in Asia. Qui, il solfato inizialmente contrastò i monsoni, provocando siccità, per poi generare una reazione opposta, con inondazioni devastanti. Nel Bengala si diffuse il colera, in Cina il freddo spinse gli agricoltori a coltivazioni più resistenti, quali l’oppio.
Il raffreddamento fu chimicamente assimilabile all’aerosol, la moltiplicazione del numero di gocce nelle nuvole e l’effetto di rifrazione portarono a un calo della temperatura.
Frankenstein, i fiamminghi e la bicicletta
Dell’estate 1816 parlarono anche Mary Shelley e Lord Byron, in vacanza (loro sì) sul lago di Ginevra. Descrissero una stagione cupa e piovosa, che rovinò le escursioni in programma. Ma dal rimanere chiusi in casa, in compagnia di racconti di paura adeguati al meteo, nacquero niente meno che le prime bozze di Frankenstein, poi pubblicato nel 1818. Mentre i tramonti spettacolari furono fonte di ispirazione per i pittori fiamminghi.
Se le atmosfere particolari stimolarono la creatività, anche dal punto di vista tecnologico ci fu una svolta dettata dalla necessità di soluzioni alternative. La carenza di cereali spinse Karl Drais, inventore tedesco, ad optare per mezzi di trasporto che non tenessero conto degli affamati cavalli. Vide la luce la draisina, antenata della moderna bicicletta.
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