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Cinema horror, fra trash e culto

rambaldi profondo rosso

Il cinema horror è stato spesso trattato dalla critica con (in molti casi giustamente) sufficienza rispetto al cinema impegnato d’autore.

Tra horror d’autore e film a basso costo

Ma le eccezioni di rilievo ci sono state, con film considerati capolavori assoluti, non solo in relazione al proprio genere. Vi si sono cimentati anche grandissimi registi, come Roman Polanski che ha diretto Rosemary’s Baby nel 1968 (per poi più o meno tornarvi con L’inquilino del terzo piano e La nona porta), o Stanley Kubrick, che nel 1980 ha portato Shining di Stephen King sul grande schermo – non senza polemiche tra i due, ma è un’altra storia.

Nel mezzo altre pietre miliari come L’esorcista (1973) e Profondo Rosso (1975), film che segna la transizione di Dario Argento dal thriller (L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code, 4 mosche di velluto grigio), all’horror più “puro” di Suspiria e seguenti.

Parte della produzione cinematografica era però grottesca, assurda, anche disgustosa, con trame e dialoghi piuttosto stereotipati. Oltre a buchi di sceneggiatura si risentiva di un budget decisamente basso e quindi di tecnologia e trucco non all’altezza dei risultati sperati. Insomma, non si mettevano d’accordo pubblico e critica più esigente.

Ispirazione dalla letteratura gotica

nosferatu
Nosferatu il vampiro, di Friedrich Wilhelm Murnau, 1922

Le radici del cinema dell’orrore sono però nobili, perché si rifanno a un’importante fase per la letteratura dell’Ottocento. L’estate/non estate del 1816 ha ispirato Mary Shelley con Frankenstein; Robert Louis Stevenson è l’autore de Lo strano caso del dottor Jekyll e mr. Hyde; Bram Stoker rende immortale Vlad III di Valacchia con Dracula; mentre oltreoceano è prolifico un certo Edgar Allan Poe, che però avrà successo solo dopo la morte.

La cinematografia degli albori attinge molto da questi classici – anche perché da Dracula di Bram Stoker, uno degli ultimi esempi di letteratura gotica, non sono passati nemmeno trent’anni. Film come i tedeschi Nosferatu o Il gabinetto del dottor Caligari sono entrati di diritto in tutti i manuali di cinema, sancendo i canoni delle atmosfere tipiche. Poi negli anni ’30 il genere viene sviluppato anche negli Stati Uniti: Dracula con Bela Lugosi, Frankenstein con Boris Karloff – due attori, Lugosa e Karloff, rimasti molto identificati dal pubblico con il personaggio – o, ancora, Il fantasma dell’Opera. Sono anche gli anni di King Kong e Freaks, che esulano dall’horror ma segnano comunque un momento importante per la “settima arte”.

Influenza dell’attualità

Nel secondo dopoguerra il cinema occidentale risente di ciò che è l’attualità. La corsa allo spazio, i preparativi per le guerre stellari (non il film, letteralmente l’idea e il timore che la Guerra Fredda potesse travalicare l’atmosfera terrestre) e gli studi medico-scientifici portano al centro il tema delle invasioni aliene e delle mutazioni genetiche (come L’invasione degli ultracorpi, 1956). Il genere si mescola alla fantascienza, con quel solito pizzico di subliminale propaganda anticomunista.

Il “new horror”

Nei decenni a seguire, la contaminazione è invece con lo splatter, dove il binomio eros e thanatos viene portato all’esplicitazione più estrema. Ne rimane influenzato uno dei maestri del basso costo come George A. Romero, che dà il via con L’alba dei morti viventi (1978) al cosiddetto “new horror”. Si abbandonano le atmosfere gotiche per sbarcare nel contemporaneo e diventa importantissimo l’apporto di truccatori ed effettisti come Tom Savini.

Altri grandi registi sono Wes Craven, John Carpenter, Sam Raimi, più i colleghi “prestati” al genere come David Cronenberg e Brian De Palma. La produzione di seguiti porta a saghe come Halloween, Nightmare e Venerdì 13, che danno fama ai rispettivi malvagi protagonisti Michael Myers, Freddy Krueger e Jason Voorhees.

Il successo del cinema horror sancisce la chiusura dello storico teatro parigino Grand Guignol, aperto nel 1897 e celebre per le rappresentazioni orrifiche – da cui, peraltro, il grande schermo ha pure preso spunto.

Contributo italiano

Il contributo italiano al genere si estende oltre i confini del Paese. Registi come Argento, Mario e Lamberto Bava o Lucio Fulci ottengono riconoscimento e successo internazionale. Oltre all’aspetto del soprannaturale e della paura, gli horror italiani hanno cercato di sviluppare anche un discorso più legato alla psicologia e, a tratti, al sociale. Poi, certo, c’è anche tanto trash.

J-Horror

Particolare è anche il J-Horror, l’horror giapponese, influenzato – e non potrebbe essere altrimenti – da una ricca tradizione millenaria. In estrema sintesi, i protagonisti sono soprattutto gli yurei, spiriti di persone morte all’improvviso o violentemente, che rimangono legati al mondo concreto. L’usanza di raccontarsi a turno storie spaventose (kaidan) risale al XVII secolo, poi le opere pittoriche e teatrali hanno dato un “volto” agli yurei. Altro argomento tipico dei film dell’orrore nipponici è la vendetta, cercata da altre identità spiritiche chiamate onryo – soprattutto donne maltrattate in vita.

yurei spirito giappone
Rappresentazione di uno Yurei

Fra trash e culto

L’horror si muove speso lungo la linea sottile che separa il trash dal culto, perché è facile che ricerchi l’estremo, graficamente o per contenuti – un nome per tutti, Dèmoni di Lamberto Bava, prodotto da Dario Argento, del 1985. Nelle varie epoche e parti del mondo è stato interpretato in maniera e stile diversi, filtrato dalla propria visione culturale. E forse è questo il motivo che ha portato a una (relativamente) recente rivalutazione dei B-movie di ogni genere, horror incluso.

Tutti, bene o male, abbiamo in qualche modo avuto a che fare con gli horror, per intrattenimento o per testare i propri limiti. In fondo esorcizzare la paura è un’esigenza vecchia quanto l’umanità.


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