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“Tutto o niente”, uno stereotipo assoluto

uomo cammina lungo un muro con una scritta

“Tutto o niente” è un modo di dire che sembra provenire dall’antica Roma, sottintendendo il potere, e che ricorre in molti Paesi (“all or nothing”, “todo o nada” ecc.). Oggi è comune usarlo in senso generale, come una sorta di filosofia esistenziale, di solito pronunciata da, o associata a chi sa come “vivere davvero” la vita o “amare sul serio” una persona. E cioè al massimo dell’intensità, “sennò non serve a nulla”, “non vale la pena”… ma ha davvero senso?

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All or nothing è un tatuaggio piuttosto diffuso oggi a giudicare dalle tante foto che si trovano su internet. Uno stereotipo un po’ assolutista (e forse assolutorio)…

A pensarci è curioso che, proprio su vita e amore, questo modo di dire (e di provare ad agire) venga considerato come una profonda verità, “da tatuaggio”, quando sarebbe ovviamente preferibile il contrario – della serie “un po’ di tutto” visto che il niente uccide e il tutto è impossibile da gestire. Certo il tatuaggio sarebbe un po’ ridicolo…!

Strano anche il contrario: non sentirlo nominare più spesso, un sacrosanto “o tutti o nessuno”, di fronte alle ingiustizie di leggi e soprattutto diritti, un “assolutismo” formalmente richiesto in tutte le sedi, ma che alla fine diventa il più relativo di tutti! Un assolutismo dei diritti perfettamente accompagnato ai doveri, che ricucirebbe di molto il rapporto di fiducia un po’, tanto, strappato tra Stato e cittadini.

Lieto fine pena mai - Happy ending never penalty | Luigi ...
Un “omeino” di Luigi Viscido dal titolo molto indicativo: Lieto fine pena mai. Insieme alla pena di morte, l’ergastolo è infatti una pratica che è stata sempre molto legata agli umori della gente. Non così tanto diversamente da quanto si faceva nelle piazze medievali… Gli ergastolani in Italia la chiamano “pena di morte viva”. Nel 2017 scrissero una lettera al Papa per chiedergli di fare un appello per la sua abolizione nello Stato italiano e nel mondo. Nello Stato vaticano, infatti, è stato proprio Papa Francesco ad abolire l’ergastolo, definendolo come una “pena di morte nascosta”.

Ma c’è un altro assolutismo che non viene neanche contemplato né messo in discussione: il bianco e nero del racconto della cronaca, in particolar modo “nera”. O così o all’esatto opposto. O un mostro o un santo. O tutto o niente. Difficilmente verrà portato avanti un discorso più costruttivo che tiene conto di tutti gli aspetti che vanno presi in considerazione perché semplicemente esistono e hanno dunque delle influenze.

Il bianco e nero del racconto della cronaca non indirizza mai verso la completa comprensione di quello che succede e, soprattutto, non fa altro che aizzarci contro il qualcosa o il qualcuno di turno che non è mai il vero problema. Il meccanismo è sempre lo stesso: individuare il più colpevole, punirlo il più severamente possibile, per poi accanirsi sul successivo, e così via, all’infinito, andando avanti e dimenticando, andando avanti e dimenticando. Questo non porta a nessuna soluzione costruttiva perché è solo allontanamento del problema con completa de-responsabilizzazione. Perché non conoscendo ciò che bisogna davvero combattere e non ponendosi mai questioni su quello che noi per primi facciamo… si dice che prima o poi si rimane fregati.

Il punto di vista di StereoType su ogni vicenda di cronaca (il motivo per cui di solito non ci pronunciamo cercando di guardare al quadro più grande) è proprio “tutto o niente”, “o tutti o nessuno”. Sia per provocazione, sia perché in fondo di giustizia stiamo parlando. Mettersi a disquisire, ogni volta, su quale “mezzo“ abbia la colpa maggiore ci sembra inutile e svilente e ha come sola, assurda pretesa l’eliminazione dello stesso. Tanto una volta sono le MMA, una volta è internet, un’altra sono i film violenti, i videogiochi sparatutto, le serie tv sulle mafie, i social, i Nirvana, Marilyn Manson, la trap… e l’elenco potrebbe non finire mai ed è sempre esistito… visto che l’accanimento è in eguale misura esercitato anche sulle persone.

Tanto che, nel nome di questa sorta di “giustizia onnipotente”, in alcuni Paesi si arriva perfino alla pena di morte, ancora. Legge del Taglione allo stato puro. Ma non puoi chiamarla così, sennò fa retrogrado… invece è giustizia. O forse l’esempio incarnato più grande in Terra della superbia umana, che non a caso è indicata come il peccato peggiore, secondo tutte le religioni. Peccati, o per meglio dire vizi, che nel tempo sono stati caricati di moralità, quando alla fin fine, insieme alle virtù, nascevano dalla sfera dell’etica, quasi come “consigli per vivere meglio”, sia personalmente che come collettività.

Tutto o niente” in questo senso è ancora potere. Ancora ci sentiamo potenti di fronte ai nostri simili, in grado di giudicarli dall’alto dei nostri difetti, limiti… o addirittura crimini. Mentre l’ergastolo è quello che fa sentire meglio i Paesi che non uccidono sulla carta… per dar adito allo stillicidio della tortura. Paesi evoluti, giusti, che rispettano la vita umana… peccato che vivere un’intera vita in gabbia è peggio della morte per qualsiasi animale, figurarsi per l’uomo. Praticamente come regalare una paralisi a chi non l’aveva, e di certo non la desiderava… e oggi, per quella vera, esiste perfino l’eutanasia. Il suicidio. Con il carcere a vita viene uccisa ogni speranza. Ma questa è un’altra storia.

Il punto di questa storia è: o accettiamo una volta e per tutte che qualsiasi essere o prodotto umano o, anzi, qualsiasi cosa della vita abbia, contemporaneamente, i suoi aspetti positivi e negativi (e relative sfumature) e con essi è necessario convivere, anche se non li comprendiamo o non li sopportiamo affatto… o cancelliamo, censuriamo, giudichiamo, non tolleriamo, bandiamo, controlliamo, uccidiamo le stesse trasformando, alla fine, la società umana in un’enorme massa di gente che fa le stesse pochissime cose che tutti ritengono “morali”. Punendo persone fino al sadismo dell’ergastolo e della morte, senza mai guardare ai perché.

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Un famoso fotogramma da La vita è bella di Roberto Benigni nella scena dei divieti arbitrari, e totalmente discriminatori, quelli che non pensavamo sarebbero mai potuti succedere, eppure… quelli che in fondo tutti vorremmo, ma solo fino a che non ci riguardano…

Un po’ come Benigni ne La vita è bella che, dopo aver visto un “divieto di entrata a ebrei e cani”, altrettanto arbitrariamente decideva che nel suo negozio avrebbe proibito l’ingresso a “ragni e Visigoti”… a noi per esempio non piace il porno e la trap. Perché probabilmente pensiamo che in qualche persona possano fomentare (ma, attenzione, mai “creare dal nulla”) misoginia o uso di droghe pesanti e violenza, o comunque immagini distorte di quello che succede o dovrebbe succedere nella realtà sociale. Dunque dovremmo scrivere ai quattro venti che siano proibiti, cancellati dalla faccia della Terra. Come se poi avessimo qualche potere in merito…

Oppure li accettiamo come tutti gli altri miliardi di cose che esistono e magari a noi personalmente non piacciono, ma su cui bisogna avere un’idea molto chiara. Lì dentro, in quel contesto, in quella misura… è solo finzione. Gli sport. Le arti. Ogni provocazione. Tutti i tipi di satira e ironia… anche quello che a noi personalmente non fa ridere o anzi ci disturba. Nessuno può decidere cosa debba far ridere gli altri. Su questa “percezione allargata” (qualcuno la chiama “tolleranza”, qualcuno “rispetto”, “empatia”, “immedesimazione”) dovremmo lavorare.

Se internet ha una “colpa” è quella di essere un moltiplicatore. Dunque questa “percezione comunitaria” proprio oggi più che mai dovrebbe essere larga e accorta. Tempo fa eravamo in pochi e isolati nella comunicazione. Oggi qualsiasi messaggio potrebbe arrivare potenzialmente ovunque. Oggi un ragazzino “normale” (o per meglio dire “comune”) può prendere il telefonino e fare cose impensabili. Pericolose o violente. Ma si può davvero eliminare o censurare internet? Sembra impossibile. Siamo noi che dobbiamo avere gli strumenti mentali ed emozionali per gestirlo. Educati e messi in guardia, proprio come quando un figlio esce di casa la notte. E riguardo i cellulari: “non esistono ancora linee guida per l’utilizzo dei cellulari in età pediatrica o dati certi sulle reali conseguenze, sta nel buonsenso dei genitori affinché ne ritardino quanto più possibile l’uso e il tempo dedicato”.

La cronaca dei media ama farci vedere l’eccezione, la rarità. Perché fomenta emozioni e dunque visione. Quella è strana. Quella ci indigna, ci intristisce, ci fa arrabbiare. Oltre al fatto che ha dalla sua tutte le ragioni della “notiziabilità” rispetto alla “normalità“. Ma noi pare che ce ne siamo scordati. La gente va così in crisi col racconto della cronaca, che ogni persona inattendibile che passa su uno schermo diventa la realtà da seguire. Ma la realtà è un’altra.

Tendenzialmente le persone non vedono un horror e vanno a torturare la gente. Non fanno MMA per picchiare le persone per strada. Non usano internet con lo scopo di insultare da dietro uno schermo. Non pregano Maometto per far saltare in aria qualcuno. La questione MMA è la più recente per via dell’omicidio di Willy Monteiro. Ma anche lì, per quanto possa essere disturbante vedere uno sport praticato in gabbia (a proposito…) dove più o meno qualsiasi colpo è ammesso… se la mettiamo su questo piano, nemmeno la boxe (cambia il ring?) o il football americano sono tanto meno violenti. D’altra parte le arti marziali hanno tutte una filosofia ben precisa dietro… che tu decidi di non seguire. Esisterà sempre qualcuno in qualche parte del mondo che la sceglie e la pratica per fare del male e non per difendersi! Insomma, se hai quello in mente, di certo non scegli danza classica! Ma poi, come diceva anche la campionessa italiana di Muay Thai, Jleana Valentino, chi combatte per sport decide di farlo, è una sorta di violenza condivisa e consapevole. Oltre al motivo principale di chi ama combattere: mettersi in gioco con tattiche e strategie, prima che con la forza. Al contrario, la meschinità sta proprio nella sopraffazione – superbia – ovvero nel coinvolgere violentemente qualcuno che non ne aveva la benché minima intenzione.

Ma al netto di tutto questo, davvero si può impedire all’uomo di inventare o alla maggior parte delle persone di godere di cose già inventate, che nella maggior parte dei casi non fanno male a nessuno? Anzi, perché non facciamo altro che scordare che gli sport e le arti, invece, proprio nel loro (eventuale) lato violento, drammatico, provocatorio… hanno un ruolo fondamentale di sublimazione e catarsi? Una funzione millenaria atta a convogliare nell’immaginazione o finzione o fisicità regolata la violenza naturale che tutti abbiamo E solo per questo andrebbero sempre rispettati e difesi, per non farci diventare una masnada di violenti repressi?

“O tutti o nessuno”. Queste accuse saltuarie a qualsiasi cosa, in tempi diversi, a seconda di cosa succede… è solo una perdita di tempo. È proprio prendersela col bruscolino senza notare la trave. Pensiamo piuttosto a come favorire di più e meglio lo spirito critico ed empatico di ogni singolo essere umano. Solo così si è in grado di distinguere realtà e finzione, filosofia e illusioni, autenticità e corruzione. Il non chiedersi nulla ci trasforma in automi insensibili, convinti di aver tutto sotto controllo, quando al contrario siamo governati da ire, paure e sofferenze; farsi delle domande invece ci libera, finalmente, da certe convinzioni distorte, stereotipi, rendendoci felici sul serio.

uomo cammina lungo un muro con una scritta
“O con te o con nessuno”: romanticismo estremo. “O con me o con nessuno”, violenza estrema che fa pensare al femminicidio… Foto di Loes Ten Den (unsplash.com)

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