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Kajillionaire, la truffa (dei sentimenti) è in famiglia

Ne fa uno ogni 5 – 10 anni, ma quando esce… she strikes again: Miranda July, al suo terzo lungometraggio con Kajillionaire, presentato martedì per le scuole al Festival di Roma (le proiezioni dureranno fino al 25 ottobre) e in uscita in Italia nei cinema il 19 novembre 2020. In italiano si presenta con l’aggiunta del sottotitolo La truffa è di famiglia!, cercando di mettere un senso accanto a una parola che non ne ha, puro slang americano a indicare “qualcuno assurdamente ricco”. Dopo bilioni e trilioni, rimaneva solo il ka-jing! dei fumetti, imitazione “alla lettera” di un suono sconosciuto ormai, che si sentiva all’apertura delle vecchie casse…

[Non forniamo spoiler, ma scene, suggestioni e interpretazioni sì… se dunque avete una memoria di ferro e da qui a un mese pensate di ricordare proprio tutto tutto di questo articolo… leggetevelo dopo il film e fateci sapere che ne pensate!]

Se poi aggiungi un po’ di trama… “l’umorismo July”, insieme leggero e tagliente, è di nuovo servito. Una famiglia fredda e disastrata (padre, madre, figlia) che vive dentro un ex ufficio in una fabbrica di Bubbles, strana “schiuma” che cola dalla parete, ma solo in specifici orari… eppure costa quel che costa (più di mille dollari al mese) perché è assurdo, ma questa è la realtà negli Stati Uniti. Una famiglia che risulta quasi simpatica, se non fosse per la dura tenerezza che questa figlia esprime (e l’interpretazione di Eva Rachel Wood la dice lunga), continuamente indaffarata in attività improbabili e all’insegna di espedienti fenomenali. Con un certo tenore di vita non ti aspetteresti voli aerei o più di 500 dollari in regali… (in questo film numeri specifici girano fino a trovare una composizione perfetta). Ma grazie a vincite, truffe, raggiri e rimborsi, campare anche in questo modo è un’altra realtà che come al solito gli Stati Uniti hanno raggiunto prima, mostrandola agli altri.

Dopo 15 anni dall’esordio con Me and you and everyone we know, e il successivo The future (2011), ritornano i tempi e gli abissi, le volte stellate, il buio, certe emozioni in attesa, certe paure espresse in poche parole. Il Tempo con la T maiuscola. I tanti personaggi legati, e tutti protagonisti. E questa leggerezza di Miranda July con cui è in grado di trattare cose grandi e sconvolgenti che in qualche misura esistono per davvero. Di ridere con esse. E infine esorcizzarle tramite i simboli visuali della sua arte, da “video-artista di nascita” qual è. Il primo film all’epoca mi colpì così tanto che divenne il centro della mia tesi di laurea in comunicazione, genere e antropologia visuale.

Un fotogramma da Me and you and everyone we know, primo lungometraggio di Miranda July del 2005 dove i personaggi, distanti e legati, erano in grado di mutare (o fluidificare completamente) genere, età, la loro intera identità, grazie all’avvento del grande Internet… e una grande immaginazione (di genere;)

Miranda July. “Un genio” o “una pazza” sono gli aggettivi che di solito ricorrono quando si parla di lei. Il circuito è quello dei film indipendenti, ovvero fuori dai canoni americani a cui siamo sempre più forzatamente abituati, visto che invadono le sale. Gusto, forma, montaggio, intensità, velocità, thrill. Soprattutto questo quasi continuo tuffarsi in “un futuro catastrofico” invece di lasciarsi andare a una “più curiosa riflessione sul presente”… e lei è stata una delle prime.

Se ci si lascia adeguatamente andare, “il gusto visuale di Miranda, che sfiora continuamente l’irreale e il poetico, sembra trasformare almeno per un attimo e solo successivamente il mondo in cui viviamo davvero. Non può essere reale perché noi ci ritroviamo a desiderare quel mondo”, scrivevo 15 anni fa. Oggi aggiungo che, in effetti, definirei Miranda come una vera e proprio curandera visuale che gioca con tutti i suoi mezzi (simboli, colori, numeri, parole, oggetti, corpi, espressioni, musica) per colpire con un messaggio profondo che è molto più chiaro di quello che appare.

La storia di questa figlia, Old Dolio, lo conferma. Una bellissima ragazza dai capelli lunghi, le spalle curve, i vestiti enormi, e soprattutto un nome orrendo, quello di un senzatetto che alla sua morte le avrebbe dovuto cedere l’eredità, tanto per rimanere nell’incredulità del più gelido paradosso di questi genitori fuori da ogni stereotipo (per le grandi interpretazioni di Debra Winger e Richard Jenkins). Una ragazza che finge di immedesimarsi in una figlia che non ha, ferita come lei, e accarezzata per la prima volta. Perché forse non si può dire di avere una madre solo dalla presenza. Diventandone perfino dipendenti, come con le droghe, e nonostante appena nata ti abbiano subito infilato in una culla. Perché si può essere presenti senza esserci. E questo non vale solo per Old Dolio, ma anche per Melanie (per il dolce stupore di Gina Rodriguez) che ha tutto, ma non sente niente lo stesso. Soprattutto vale per tante persone ed è molto diverso da avere o non avere una madre.

Nel frattempo è anche uscita un’analisi sociologica sulla nuova arte “intermediale” di Miranda July che, secondo l’autrice, rivela le caratteristiche di una “nuova classe creativa contemporanea” che vive in California, tra “hipsterismo nevrotico, auto-aiuto e individualismo”… (foto da https://cup.columbia.edu)

Il grande e paradossale sfruttamento umano rivela sottilissime meccaniche simili e molto reali che avvengono tra persone, ma non vengono sollevate quasi mai. È davvero commovente vedere Old Dolio ridere sul serio nella farsa della famiglia felice che entra nel mondo delle persone sole per derubarle. Persone che sono tali e quali a loro, ma solo lei lo vede, anche se sembra la più ingenua. Persone contro persone, sembrano. Invece sono solo solitudini che sfruttano altre solitudini. E non può non esserci della cruda tenerezza in questo. Anche se con poco si pretende di avere molto…. la vita è quella che è. Anzi, “la vita non è niente”, dice Old Dolio, “non ho rimpianti a lasciarla perché ho mangiato solo un pancake nella mia vita”.

Se Old Dolio per il suo compleanno riceve 18 regali dai genitori, ma tutti insieme. E lei ne ha già 26… fa ridere, ma è anche orribilmente triste. Perché nessuna tenerezza, nessuna speranza sembra sopravvivere, fino a che una nuova fiducia, una ritrovata capacità di toccarsi si afferma. “Old Dolio ha imparato prima a falsificare che a scrivere”, sostiene orgoglioso il padre. Ma alla fine, lei che non ha mai avuto niente, si compra un hon detto con amore (diminutivo di honey, il nostro dolcezza), un pancake in padella, un balletto e il tanto agognato breast crawl… per 1.525 dollari. Il guadagno della sua truffa per dimostrare ai genitori le sue capacità, come tutti i figli fanno, ma sono loro a non essere in grado di dimostrare nulla. Se non l’ennesima sceneggiata.

L’ultimo fotogramma viene da The future (2011) dove Miranda July si ritrova di nuovo di fronte al Tempo e sempre con l’idea (o l’ansia) di doverci fare qualcosa. Foto da cinephilecrocodile.blogspot.com

La schiuma cola sulla parete come macchiata di sangue. Un sangue soffice, forse profumato, che va raccolto prima che inondi tutto. Di fronte a quel muro, quando per la prima volta Old Dolio avrà dei soldi per sé, con il suo nome scritto sopra, fuggirà lontano dagli odiosi compiti. E lo spettatore non vedeva l’ora. Non era nemmeno uno spettatore qualsiasi. La proiezione era riservata alla scuole, c’erano solo ragazzi del liceo, insegnanti e qualche giornalista. Alla fine, tutta la sala si è riempita di un sospiro profondo. Le reazioni spontanee al cinema, di fronte al grande schermo, sono piuttosto rare ormai. Se non è questo il segno che una storia ci ha preso, e magari anche guarito…

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