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Lo scudetto di Erdoğan (calcio e regime pt. 3)

In Turchia, la scorsa settimana, il Başakşehir di Istanbul ha vinto il suo primo campionato di calcio.
Fondata appena nel 1990, la squadra ha scalato le gerarchie in pochi anni, superando squadre blasonate come il Galatasaray, grazie anche all’ingaggio di vecchie glorie come l’ex Milan Robinho.

Sembrerebbe una bella favola. Ma non lo è.

La dirigenza, dal 2014, è legata a doppio filo all’AKP, il partito di Erdoğan e l’intera operazione sportiva sembra inserirsi alla perfezione nel progetto più ampio del “Sultano”.
I colori sociali sono gli stessi del partito, perfino il nome della squadra è stato cambiato per radicarsi nel distretto conservatore e borghese di Başakşehir, il cui sviluppo è stato voluto negli anni ’90 dall’allora sindaco di Istanbul… Erdoğan.
Ma nonostante i suoi 400 mila abitanti e la benedizione presidenziale, il Başakşehir fa poche migliaia di spettatori a partita, facendo del nuovo stadio, costato l’equivalente di 47 milioni di euro, un vero e proprio spreco.
Insomma, a livello di tifo non si spopola, nonostante le strategie di marketing per accaparrarsi più sostenitori – purtroppo sempre più comuni tra chi considera lo sport solo un business, anche quando non c’è un governo autoritario da salvaguardare.
Perché è vero che il calcio e lo sport possono essere usati a fini di propaganda, ma poi, per fortuna, non si può passare sopra istinto e passione.

Leggi anche l’articolo Calcio e regime 

 


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