30 estati fa si giocavano i mondiali di Italia ’90, ultimi di una certa era calcistica e di una ben determinata epoca storica. Se, dal punto di vista sportivo, dopo USA ’94 non sarà più la stessa cosa, da quello geopolitico il mondo sarà diverso. Meno di dodici mesi prima è stato abbattuto il Muro di Berlino, il comunismo crolla più o meno ovunque e con esso il bipolarismo dei blocchi contrapposti nella Guerra Fredda.
L’Italia da bere
L’Italia invece sta per essere scossa dallo scandalo Tangentopoli e il Pentapartito spazzato via, con tutta la cosiddetta Prima Repubblica. I mondiali di calcio, visti a posteriori, sono specchio della realtà politica ed economica.
L’organizzazione, gestita da CONI (Franco Carraro) e apposito Comitato guidato da Luca Cordero di Montezemolo, risente di sprechi, spese gonfiate, poca trasparenza negli appalti, accuse di corruzione (archiviate) e 24 morti sul lavoro. Per avere risultati deludenti, con stadi poco funzionali anche se ben disegnati – come il San Nicola di Bari, firmato Renzo Piano. Il Delle Alpi di Torino, per fare un altro esempio, durerà appena 16 anni, poi, dopo qualche concerto, verrà demolito.
È la rappresentazione in scala di un Paese agiato, quello degli anni ’80 e ’90, che spende ma che poggia su basi poco solide, su favoritismi, corruzione e una preoccupante quanto non sostenibile nel lungo periodo crescita del debito pubblico.
Ma come succede sempre, arriva il calcio giocato e il resto passa in secondo piano. Anche perché le memorabili Notti Magiche uniscono l’Italia come poche altre volte è accaduto con la Nazionale.
La cerimonia inaugurale inizia con l’esibizione di Edoardo Bennato e Gianna Nannini, che cantano il brano colonna sonora dei mondiali, appunto Notti Magiche. Sicuramente molto più indovinato della mascotte, lo strano pupazzo Ciao, duro colpo allo stereotipo dell’elegante design italiano.
I leoni d’Africa
Alla prima partita è subito grande sorpresa. Il Camerun batte 1-0 i campioni in carica, l’Argentina di Maradona, resistendo addirittura in 9 contro 11. L’Africa subsahariana arriva finalmente sulla mappa, dopo gli scarsissimi risultati dello Zaire nel ’70, e parte del merito è di Roger Milla. Milla viene convocato che ha già lasciato il calcio, ormai ha 38 anni, ma pare sia stato il presidente Paul Biya a convincerlo – non si può dire no a chi, tra presidenza e premierato, guida il paese dal 1975 a oggi.
Il Camerun gioca senza grandi invenzioni tattiche, proprio per questo va avanti, sfruttando atletismo, fantasia e istinto. Vincono un girone difficile con Argentina, Unione Sovietica e Romania, battono la talentuosa ma sprecona Colombia agli ottavi – il portiere Higuita perde palla mentre cerca di dribblare Milla quasi a metà campo – e si arrendono solo ai supplementari (2-3) con l’Inghilterra, dopo aver dominato e ricevuto due rigori contro.
Milla giocherà addirittura a USA ’94, divenendo a 42 anni il più vecchio giocatore a segnare nella fase finale di un mondiale.
L’est Europa
La Romania ha messo in atto una sanguinolenta rivolta contro la dittatura, Ceauşescu e consorte vengono fucilati nel natale 1989, ma ancora le acque non sono tranquille.
Due anni prima il difensore Miodrag Belodedici, già campione d’Europa con la Steaua Bucarest, era riuscito a scappare in Jugoslavia, ma su di lui ancora pendeva una condanna a dieci anni.
Quando si tratta di andare ai mondiali, i primi dopo 20 anni per la Romania, Belodedici rinuncia, perché dovrebbe ritirare il passaporto in consolato e non se la sente di rischiare l’arresto.
Belodedici giocherà i mondiali quattro anni più tardi, negli Stati Uniti. Ironia della sorte, sbaglierà contro la Svezia il rigore decisivo per la qualificazione alle semifinali.
A subire di più il crollo del comunismo (calcisticamente parlando) sono Cecoslovacchia, Unione Sovietica e Jugoslavia, tutte alla loro ultima apparizione come Paese unito. In particolare sono i plavi, (azzurri in serbo), a risentirne maggiormente. Ora è la Croazia, smacco ulteriore per Belgrado, ad avere una Nazionale forte, ma all’epoca unendo i migliori di tutte le sei repubbliche si otteneva una grande squadra, che ha fatto tremare l’Argentina ai quarti di finale. Gli slavi perdono ai rigori, perché il primo portiere argentino Pumpido si è fatto male e la riserva sarà decisiva con le sue parate.
Il solito Diego
L’Argentina non è una grande squadra, ma ha Maradona, che come sempre ruba la scena nel bene e nel male.
Dopo il sorteggio dei gironi accusa la FIFA di combine, per favorire l’Italia padrona di casa dandole avversarie morbide. Alla seconda partita salva di mano un gol praticamente già fatto dei sovietici, sarebbe rigore ed espulsione, forse l’eliminazione dopo la sconfitta con il Camerun, ma l’arbitro non vede. Agli ottavi di finale c’è il derby sudamericano con il Brasile e qui Diego, con la complicità del suo massaggiatore, avrebbe fatto sedare il difensore avversario Branco, facendogli arrivare una bottiglietta piena di sonnifero.
Poi c’è il Diego fenomeno che risolve le partite mandando a rete i compagni. E c’è un portiere decisivo che neanche avrebbe dovuto giocare.
Pumpido si infortunia contro l’Unione Sovietica, il suo sostituto Goycochea para due rigori agli slavi e due rigori all’Italia in semifinale, in una notte particolare. Gli dei del calcio (o la sincronicità) fanno sì che la partita si giochi a Napoli, che tifa Italia, sì, ma tifa anche Maradona. Che furbescamente ne approfitta. Prima della gara divide ancora di più la tifoseria, dicendo grosso modo che solo nell’ora del bisogno l’Italia si ricorda di Napoli.
La vendetta dei tifosi azzurri è in finale, a Roma, dove l’inno argentino viene impietosamente fischiato tra le lacrime e gli insulti leggibili dal labiale di Diego. Vincerà la Germania (per l’ultima volta Ovest), grazie a un rigore inventato a 5′ dalla fine.
Gli occhi di Schillaci
L’Italia è però ipnotizzata dallo sguardo di Totò Schillaci. L’attaccante viene dal Cep di Palermo, il Centro di edilizia popolare ribattezzato in gergo Centro elementi pericolosi. Per aiutare la famiglia ad arrivare a fine mese fa i più disparati lavori, finché non sfonda con il calcio e arriva fino alla Juventus. Ai mondiali Italia ’90 ha rischiato di non andarci nemmeno, ma l’allenatore Azeglio Vicini alla fine ha l’intuizione giusta e lo chiama come quinta punta, perché ha caratteristiche diverse dagli altri.
Scala rapidamente le gerarchie. Totò entra nel secondo tempo della partita d’esordio contro l’Austria e la sblocca con un colpo di testa in mezzo a difensori che gli danno almeno dieci centimetri. Poi segna contro la Cecoslovacchia, agli ottavi con l’Uruguay, ai quarti con l’Irlanda e illude con il provvisorio vantaggio in semifinale con l’Argentina. Nella finale terzo posto contro l’Inghilterra segna il rigore che vale medaglia di bronzo e titolo di capocannoniere.
Oltre ai tanti gol, Schillaci conquista i tifosi per la veracità, per lo sforzo, per l’impegno genuino che mette in ogni azione, perché la tecnica di base in realtà è piuttosto scarsa. E i suoi occhi allucinati sono sicuramente iconici, fanno simpatia, così come le sue interviste ai limiti dello scempio grammaticale. Perché comunque dà l’impressione di essere vero, quasi puro.
Peccato sia stato solo una emozionante meteora, incapace in seguito di ripetersi agli stessi livelli. Ma anche questo ha alimentato il mito di Totò e di notti, grazie a lui, un po’ più magiche.