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“Ha fatto anche cose buone”

Ogni 25 aprile riaccende la discussione, mai realmente sopita, sul fascismo e su come trattare l’argomento, tra mezzi tentativi di riabilitazione del Ventennio, minimizzazioni per la distanza temporale e varie considerazioni sommarie.

Non tutti i Paesi hanno fatto realmente i conti con la Seconda Guerra Mondiale, vincitori e vinti. Stati Uniti e Unione Sovietica sono i principali “buoni” della narrazione. Nessun dubbio che fossero dalla parte “giusta”, ma anche loro hanno faticato molto a riconoscere gravi crimini come i campi di concentramento per civili giapponesi già residenti in America, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l’eccidio di Katyn’.

Ancora più difficile è trattare un passato scomodo sotto tutti i punti di vista, senza nemmeno la (fragile) giustificazione di combattere i Paesi aggressori. Italia e Germania hanno intrapreso, in tal senso, diversi percorsi per arrivare a una sorta di pacificazione nazionale.

Se per anni si è parlato del “tabù Adolf Hitler” che avevano i tedeschi, quasi a voler completamente rimuovere 12 anni di Storia – pochi sì, ma ben concentrati. Ma al tempo stesso hanno affrontato il Processo di Norimberga, gestito dagli Alleati, e altri come quello di Francoforte sugli orrori di Auschwitz, il primo davanti a una corte tedesca e che risale al 1963.

Hitler e Mussolini alla Biennale di Venezia nel 1934

Per cui, anche se chiaramente neonazisti e nostalgici di un passato mai vissuto esistono ancora, la Germania ha abbastanza risolto il rapporto con i suoi fantasmi. In Italia tutto questo non è mai avvenuto completamente.

La Resistenza ha fatto sì che l’Italia fosse vista come una via di mezzo tra vincitore non proprio al rango di Alleato e Paese aggressore al pari di Giappone e Germania, che infatti hanno subito pene molto più severe.

Da noi anziché processi come Norimberga o quello di Francoforte (per quanto tardivo), c’è stata l’Amnistia promulgata da Palmiro Togliatti e frutto dell’accordo tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Non che perdonare e andare avanti non possa essere un bel gesto, ma si è tolta tutta una parte di discussione che anno dopo anno continua a provare a uscire fuori, ma senza un vero costrutto.

Il Fascismo in senso stretto è un fenomeno italiano, anche se si parla di “fascismi” per indicare dittature e autocrazie di ispirazione fortemente destrorsa, nazionalista (nelle sue derive peggiori) e razzista. La stessa forma del fascismo italiano non è univoca già dalla nascita, più si aggiungono i cambiamenti che l’ideologia ha intrapreso nel corso degli anni.

Gerardo Dottori, “Le città della rivoluzione”. Nonostante una certa identità di vedute e un appoggio nei primi temi, il Futurismo non è esattamente sovrapponibile al fascismo

È abbastanza noto che Mussolini “nasce” socialista, scala rapidamente le gerarchie romagnole, finché il passaggio da posizioni neutraliste a interventiste durante la Prima Guerra Mondiale gli costa l’espulsione dal partito. Il fascismo “diciannovista”, nato appunto nel 1919, risente ancora degli strascichi socialisti del suo ideatore.

Ma è contemporaneamente una reazione al Partito Socialista, oltre che al Partito Popolare di don Luigi Sturzo – progenitore della DC – le due principali forze politiche dell’allora Stato Liberale. Mussolini disprezza fortemente le loro posizioni in merito alla Grande Guerra, in più c’è la questione dell’irredentismo, per i disattesi esiti bellici: la famosa “vittoria mutilata”, così definita per i territori promessi e non assegnati all’Italia.

Mussolini dovrà faticare per mettere insieme sotto la sua guida le diverse squadre dedite alla violenza contro operai e braccianti socialisti. È il “biennio rosso” 1919-20, una stagione di forti proteste, scioperi e occupazioni dei lavoratori, ma non incombe una vera minaccia sovietica sull’Italia. I russi stanno rinunciando a esportare la rivoluzione, uno spauracchio fa comunque comodo.

Il simbolo unificatore è il fascio con la scure, che nell’antica Roma rappresentavano la giustizia – più che altro la punizione corporale, tramite fustigate o decapitazione. Nel tempo sarà un emblema utilizzato anche nella Rivoluzione Francese e nelle proteste dei lavoratori siciliani che a fine Ottocento chiedevano migliori condizioni.

Quando Mussolini intende trasformare questi movimenti in un partito di massa inserito nella realtà politica italiana, incontra le resistenze degli squadristi come Italo Balbo e Roberto Farinacci, che non vogliono snaturarsi. La sintesi è un partito armato e militarizzato, di cui comunque Mussolini ottiene il ruolo di guida indiscussa.

Emilio Gentile, storico e accademico, principale studioso italiano del fascismo riconosciuto a livello internazionale

Un altro falso mito è la deriva totalitaria dopo l’omicidio Matteotti, la prospettiva è esattamente opposta. Scrive lo storico e accademico Emilio Gentile, riconosciuto anche a livello internazionale come massimo studioso italiano del fascismo: “questo episodio non è la causa, bensì la conseguenza di un sistema che ha monopolizzato il potere e usa contro gli avversari sia la violenza legale, come la persecuzione poliziesca, sia quella illegale, come le aggressione della milizia”.

Così come non è vero che in fondo siano state le “cattive amicizie” a provocare lo spostamento del fascismo su posizioni antisemite . È vero che all’inizio la questione degli ebrei non interessa a Mussolini, al contrario del programma hitleriano che da subito si basa sulla purezza della razza ariana e identifica nel giudaismo la radice di molti mali – e dopo la crisi economica del 1929 sarà ascoltato dalla popolazione a caccia di un capro espiatorio. Ma appunto, il fascismo non è mai stato un blocco monolitico completamente identificabile con Mussolini.

La scelta delle leggi razziali non risente però delle influenze naziste, è presa in totale autonomia da Mussolini che, scrive Gentile, “si è convinto che la nascita dell’Impero (la conquista dell’Etiopia, ndr) imponga agli italiani il culto della razza pura e di evitare qualsiasi forma di meticciato. Per giunta si è fatto spazio nella sua mentalità il convincimento che gli ebrei, a cui appartengono molti antifascisti e oppositori, non possono essere veramente italiani”.

Il testo di Francesco Filippi sulle mistificazioni del fascismo anche per quanto riguarda i buoni risultati ottenuti

Il rapporto di forza è anzi per molti anni l’opposto di come sia stato in guerra. È Hitler che ammira e subisce pesantemente il fascino di Mussolini, con un certo complesso di inferiorità anche estetica – ad esempio si parla di come al loro primo incontro Mussolini fosse vestito di tutto punto al contrario dello sciatto omologo tedesco. Del resto è una questione temporale, Mussolini è arrivato undici anni prima al potere, Hitler ha tutto da imparare.

Ma Hitler è poi stato più veloce nel porre in atto il piano di espansione verso est, per cui Mussolini in fondo non aveva avversione, essendo più interessato al sud. Mussolini credeva che almeno fino al 1942 non ci sarebbero state guerre e puntava ad essere pronto per quella data, poi è stato smentito dall’alleato (mai completamente fidato).

Il predominio tedesco emerge evidentemente negli ultimi anni della guerra, con l’invasione di un Paese alleato e la creazione della Repubblica Sociale di Salò, guidata sì nominalmente da Mussolini, ma di fatto in mano tedesca.

Parallelamente alla tesi che vede Mussolini succube di Hitler, altrimenti sarebbe stato “solo” un rigido statista, c’è quella classica di “ha fatto anche cose buone”. Per citare un vecchio monologo di Roberto Benigni, quando ancora faceva il comico, tutti hanno fatto cose buone, “anche Hitler e Stalin avranno costruito una strada, un ponte. Pure il mostro di Firenze avrà detto buongiorno e buonasera a qualcuno”. E perfino su queste “cose buone” di Mussolini si può discutere.

Lo fa lo storico Francesco Filippi, nel testo Mussolini ha fatto anche cose buone – Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo. A partire dal sistema pensionistico, per la prima volta introdotto da Francesco Crispi nel 1895 e gradualmente esteso negli anni fino all’obbligatorietà imposta alle aziende nel 1919 da Vittorio Emanuele Orlando.

Anzi, secondo Filippi, il raggruppamento in un’unica Cassa Nazionale voluto dal fascismo avrebbe addirittura appesantito il sistema, rendendolo meno efficiente. È stata la propaganda di regime, continua Filippi, ad essersi appropriata del risultato di decenni di lotte sindacali.

La macchina della propaganda nel fascismo, come in ogni regime, passa dal controllo totale dei media e dell’arte

Le prime case popolari sono del 1903, autore della legge Luigi Luzzatti, così come molti progetti urbanistici sono preesistenti. Anche i vanti dell’autarchia economica sono labili, di fatto il divario tra classi sociali si acuisce, sia per problematiche insite nel sistema che per fattori esterni come la crisi del ’29. Se ora, sottolinea Filippi, il reddito medio italiano è pari al 90% di quello francese, all’epoca era il 33%.

Infine le bonifiche, fiore all’occhiello del regime come vittoria dell’uomo sulla natura. Riporta Filippi che fu completato solo il 25% del piano iniziale, 2 milioni di ettari effettivi contro gli 8 previsti, per di più grazie anche a lavori antecedenti il 1922. Senza considerare lo spreco di denaro pubblico, in molti casi finito nelle tasche di amici e amici di amici.

Che poi, anche fossero tutti veri meriti del fascismo, altri Paesi ottennero risultati analoghi senza per questo instaurare una dittatura. In una bilancia ideale (per fortuna il simbolo della giustizia è cambiato), non è difficile immaginare quale sarebbe il braccio più pesante.

 


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