Da un po’ di tempo a questa parte si sta guardando a vecchi film o serie TV con i parametri di giudizio attuali e contenuti popolari come Friends o How I met your mother sono stati subissati di critiche – da una parte del pubblico – per i presunti messaggi sessisti, omofobi, transfobici e grassofobi.
Da una parte è accettabile e per certi versi giusto analizzare prodotti del passato con gli occhi di oggi, per capirne gli aspetti migliorabili. Dall’altra, l’ondata censoria (a dire il vero minoritaria) del politicamente corretto, che pure nasce da movimenti fondamentali per la società, in molti casi non poggia su basi solide. Perché bisogna soprattutto capire il contesto, sia temporale che narrativo, attribuendo un giusto peso a quello che è l’intrattenimento puro. Insomma, non c’è una realtà univoca.
Premessa. Nei cambiamenti radicali, violenti come la Rivoluzione francese o quella russa, non violenti (con pochissime eccezioni) come quelli per ogni tipo di parità, bisogna aspettare del tempo prima di un assestamento equilibrato. Lo stesso vale per il politicamente corretto, non tutti hanno chiaro come, quando, perché applicarlo. È estrema la posizione di chi lo usa come controllo del linguaggio, è altrettanto sbagliata la posizione di chi lo rifiuta a prescindere (come un Feltri qualsiasi) per il “diritto” di insultare.
Il problema è che valutare il contesto e le intenzioni caso per caso costa molta più fatica che dire “mai usare questa parola e punto”.
Finita la premessa, possiamo dunque pensare di essere nella fase di adattamento da un tipo di società a un altro, in cui, per reazione a problemi oggettivi di discriminazioni, si passa a una sorta di giustizialismo sommario che non risparmia nemmeno serie TV all’apparenza innocenti come Friends e How I met your mother di cui sopra.
La questione non è difendere le serie TV, non cambia il fatto di averle viste o meno, di averle gradite o meno, è importante il modo di ragionare in base ai contesti.
Il primo è quello temporale, appunto. Alcune serie TV sono di una ventina di anni fa, quindi rispecchiavano un’altra società, certo non lontanissima nel tempo ma comunque diversa. Per un’analisi oggettiva e completa non basta limitarsi al proprio modo di pensare attuale, che va certamente applicato, ma solo nei limiti della nostra contemporaneità spazio-temporale. È un lavoro difficile, ma andare avanti a certezze granitiche porta a poco.
Per assurdo, se applicassimo lo stesso metodo alle opere immortali del passato, ne resterebbero veramente poche. Niente femminicidi shakespeariani, aggravati dai futili motivi come il banale sospetto per un fazzoletto. Niente Carmen, anzi, se ne riscrive il finale come a Firenze nel 2018 con polemiche annesse. Niente catarsi.
Certo, paragonare questi capolavori a Friends o How I met your mother non ha molto senso. Ma a maggior ragione, proprio l’intento comico, leggero e tutto sommato effimero delle serie TV è un’ulteriore discolpa.
Poi bisogna tenere conto delle regole di scrittura. Una sceneggiatura funziona meglio, a tutti i livelli, se c’è conflitto, se i personaggi hanno una certa tridimensionalità (la retorica buoni contro cattivi ormai regge meno, la distinzione non è sempre netta).
Nella comicità, funziona veicolare il messaggio per contrasto, arrivare a una specie di morale ridendo del suo opposto. Anche questo è catartico, sennò rimaniamo nel fastidioso moralismo didascalico, cosa cui magari ambire nella realtà, ma non nella finzione. E leggere tutto alla lettera esclude tutta una parte fondamentale della questione.
Esempi pratici. Una delle puntate di Friends “incriminate” vede uno dei protagonisti, Ross, contrario all’assunzione di un baby-sitter uomo, ritenendolo un lavoro da donna e insinuando la possibile omosessualità del ragazzo. Detta così è certamente deplorevole.
Peccato che: altri protagonisti siano indifferenti al sesso del bambinaio, molto bravo e qualificato; la puntata smonti lo stereotipo del maschio sensibile quindi omosessuale; alla fine Ross stesso cambi opinione.
Guardare una puntata in cui un bambinaio si candida per il lavoro, lo ottiene perché qualificato, tutti, giustamente, trovano la cosa normale, non suscita il minimo interesse. Perché mai uno spettatore dovrebbe guardarla? Fermarsi all’omofobia iniziale di Ross è riduttivo e semplicistico.
Allo stesso modo, le accuse di grassofobia – Monica da adolescente è sovrappeso ed è vittima di prese in giro e battute – cadono quando, in un episodio che ipotizza una realtà parallela, Monica non dimagrisce e finisce comunque per fidanzarsi con Chandler, con la (magari scontata) morale che l’aspetto fisico non è l’unico metro di giudizio.
Transfobia: Chandler si vergogna del padre che, dopo il cambio di sesso, si esibisce sui palchi di Las Vegas come drag queen. Data per scontata la libertà individuale di fare qualunque cosa legale, quanti accetterebbero così alla leggera non tanto la transessualità del genitore, quanto un lavoro onestamente tendente al trash – anche se facesse esibizioni stile Corrida vestito da uomo? E ripetiamo, senza antagonismo non c’è interesse nel seguire una storia.
Tanti difensori di Friends ricordano inoltre come la serie abbia parlato, sia pure nei suoi toni leggeri e divertenti, di temi come maternità surrogata, adozione e matrimoni omosessuali.
Il discorso non è specifico per Friends (non avendo mai visto How I met your mother non mi addentro, ma varranno le stesse logiche), ogni processo creativo va valutato in maniera diversa da come si fa con la realtà.
Il dibattito sull’influenza e le responsabilità che hanno le varie forme di intrattenimento nei confronti del pubblico forse non finirà mai, ma senza un esercizio costante e fino in fondo della capacità critica, personale prima ancora che collettiva, non si otterrà molto.