Il coronavirus avrà tanti difetti, ma sta portando anche tanti cambiamenti che potrebbero seriamente aiutarci a migliorare le nostre vite. L’unico problema è che dipende tutto da noi…
L’ultima volta avevamo parlato del cambiamento che più ci sta a cuore, quello che vede intere società investite da un generale “ribaltamento di stereotipi”. Il secondo lato positivo che ci teniamo a sottolineare è quello relativo all’ambiente. Secondo solo perché è spesso necessario partire dall’uomo, ma l’ambiente viene sempre prima di tutto.
“Emozionati per la fauna selvatica che si aggira per le strade desolate, molti cittadini hanno detto che la natura ci sta parlando; che ciò che è accaduto ha messo in scena ciò che potrebbe accadere se non dovessimo affrontare la crisi climatica; e che è tempo di reindirizzare i nostri sforzi verso economie sostenibili, se siamo ancora tempo”, scrive un giornale colombiano in un articolo in cui raccoglie le opinioni di alcuni scienziati in merito a questa “sensazione popolare”.
“La discussione su quanto COVID-19 abbia a che fare con i cambiamenti climatici si sta sviluppando con sempre maggiore intensità”, ma ancora qualcuno perde tempo a sottolineare che non abbiamo abbastanza evidenze. Come riporta l’Isde, “sulla base dei risultati di una moltitudine di lavori scientifici nessuno può negare che sia sostanzialmente cambiata la composizione dell’atmosfera, e sarebbe altrettanto sciocco negare che la qualità dell’aria che respiriamo influisca sulla nostra salute. Il carico di malattia dovuta a rischi ambientali è (già) ratificato dall’OMS”. L’International Society of Doctors for Environment sottolinea tre evidenze in particolare:
- “I cambiamenti climatici sono un fattore determinante per la diffusione di malattie infettive, poiché alterano le condizioni ambientali favorendo la replicazione dei vettori che trasmettono il patogeno, cioè gli insetti”. I dati raccolti finora permettono di ritenere ragionevole che il trend è in costante aumento di pari passo con l’aumento delle emissioni di gas serra: per esempio negli ultimi 10 anni è stato registrato un forte incremento globale nella capacità di alcune zanzare di trasmettere il virus Dengue. “All’aumentare della temperatura, infatti, il metabolismo degli insetti accelera. Il risultato finale è un aumento delle popolazioni” che sono così in grado, o così costrette, a spostarsi in nuovi territori perché, in una catena infinita, il cambiamento climatico impatta anche sul cibo e i predatori (v. il nostro caro pipistrello, che soffre lo stereotipo peggiore, trasformandosi da miglior amico a peggior nemico dell’uomo a causa della deforestazione selvaggia).
- “Il cambiamento climatico determina un cambio delle precipitazioni atmosferiche, con sempre più frequenti eventi estremi, come inondazioni e siccità: questo influenza le interazioni tra parassiti, piante e nemici naturali. D’altra parte è stimato che più del 60% delle malattie infettive presenti nella specie umana si sia originata da specie animali selvatiche e domestiche: pipistrelli, topi, maiali, scimmie, gatti” che anche loro, se fossero trattati come si deve, o lasciati in pace, o addirittura non macellati, non provocherebbero alcunché.
- Il cambiamento climatico deriva anche da “l’uso massivo dei combustibili fossili: si brucia sempre più legna e derivati, rifiuti urbani, agricoli, industriali. L’impatto documentato è su un numero di malattie che solo qualche decennio addietro era ritenuto impensabile: tumori di varie sedi, malattie cardio e cerebro-vascolari, nervose, oltre a quelle respiratorie, che rendono le persone più suscettibili ad ammalarsi e più fragili di fronte a malattie di altra origine, come è il caso del Covid-19. Di molti legami tra perturbazioni ambientali e salute abbiamo prove convincenti, di altre abbiamo ipotesi solide che vista la posta in gioco dovrebbero essere affrontate con approccio precauzionale”.
Una proposta radicale (come affermano molti scienziati, di queste abbiamo bisogno ora) immagina l’unione tra la Medicina e l’Ambiente, “in una strategia integrata di prevenzione” basata sul rifinanziamento, ampliamento e coinvolgimento più attivo della sanità territoriale, come primo e quindi più importante presidio sanitario. Si propone cioè un vero e proprio investimento formativo sui medici che a oggi “non sono preparati a occuparsi in modo approfondito di salute in relazione all’ambiente: tale competenza non è inserita nei loro compiti e non è insegnata nel corso di medicina”. Interessante sottolineare che questa idea di dare maggiore impulso alla sanità territoriale che possa così portare, anche, a diagnosi più veloci è anche l’orientamento del Cts, il Comitato Tecnico-Scientifico che sta guidando l’emergenza oggi in Italia. Le due idee potrebbero perfettamente trovarsi nel perseguimento del medesimo obiettivo.
Il crollo del prezzo del petrolio, così come delle azioni delle imprese petrolifere, ci spinge finalmente verso un’economia indipendente dalle fonti dannose come petrolio e carbone, spingendo anche il “turismo di massa“, ormai bloccato, a trovare una strada veramente sostenibile. Se prima questa opzione sembrava una scelta, adesso si mostra come un obbligo. Allo stesso momento l’economia circolare associata all’economia digitale diventa una vera priorità. Ma non è vero che non si stava facendo nulla: le auto per esempio stanno investendo in più elettrico già da prima. Ogni impresa aveva già l’interesse a ridurre “il rischio ambientale”, per la loro stessa sopravvivenza, ma da oggi questa tendenza diventerà ancora più forte.
Per la prima volta, insomma, sembra ci sia più accordo di intenti tra “scienza”, “imprese” e “governo”. Mentre vecchi poteri sembrano in difficoltà: “Dobbiamo puntare al più presto su una nuova ‘normalità’, dice la prima (nelle parole del Snpa, Sistema Nazionale Protezione Ambiente); “già da tempo ormai sappiamo, e i cambiamenti climatici ce lo ricordano in ogni area del Pianeta, che la nostra priorità è costruire un modello di sviluppo ambientalmente sostenibile. È necessario invertire in maniera drastica e immediata l’abitudine al sovra inquinamento, al sovra consumo e sfruttamento delle risorse naturali. È un modo di vivere non più accettabile e tollerabile“, ha detto il nostro ministro dell’Ambiente, Sergio Costa.
Di certo anche in Italia ci siamo accorti, in un solo giorno, che l’aria che respiriamo è più pulita. Non foss’altro perché è sparito il maledetto traffico. È sparito lo smog. Non si tossisce più sotto la puzza dei tubi di scappamento. Molte industrie sono ferme. Il cambiamento climatico vede per la prima volta una battuta d’arresto in termini di emissioni di inquinanti e Co2. Al di là delle incredibili mappe che fotografano la zona di Wuhan e della Pianura Padana (l’inquinamento si è dimezzato in circa un mese), tutto intorno a noi è visibilmente più pulito, senza bisogno che qualcuno ce lo dica. Compresa l’acqua dei fiumi e quella del mare.
Le immagini di Venezia (e così numerose altre città) sono simboliche e inequivocabili. Purtroppo non i delfini che invece sono stati avvistati a Cagliari, Trieste e Reggio Calabria, ma l’acqua torbida che è tornata cristallina con relativi pesci in questi giorni è una realtà, anche se purtroppo non possiamo goderne! Ben ci sta, verrebbe da dire, a tirare troppo la corda… si sa che la corda si spezza. Il caso di Venezia è particolarmente assurdo. Una gemma preziosa che nonostante abbia da sempre il vanto di essere una delle poche città al mondo libera dalle automobili, quindi senza traffico, quindi pulita? Macché, vaporetti tremendi che appestano l’aria, per non parlare delle navi da crociera, che non le hanno mai permesso di spiccare tra le città più sane di Italia. Anzi, a gennaio 2020 Venezia era in quarta posizione per l’aria più cattiva. In poco più di un mese già si registra un’aria moderatamente buona, e così tutto il resto d’Italia. Certo, sarebbe da fare il grande salto ora e tornare a un’aria buona, come dovrebbe essere, come ce l’hanno in Austria, tanto per nominare un nostro vicino. Il tutto si può esplorare da questa fantastica mappa qui sotto. Le differenze pre-post coronavirus sono evidenti. Hanno ragione i colombiani, questo lato positivo riescono a scorgerlo tutti.
Basta respirare. E camminare lungo città calme e pacifiche, mai viste prima in quel modo, nemmeno ad agosto. Si possono percepire differenze sottili, ma sostanziali che forse avevamo dimenticato: si sente il canto degli uccelli, prima assorbito dal rumore del traffico, si sentono gli odori della natura, della terra, dei fiori, del verde, prima impossibili da percepire sotto la coltre di smog. Si sentono di nuovo gli odori del cibo che si disperdono dalle cucine delle case. Si sentono le campane. Si sente il silenzio. Si sentono le voci. Si sente cantare. Si sente la musica.
Come dicono i cileni, da tempo in lotta contro il neo-liberismo (e relativi “side-effect” come selvaggio consumismo e fredda competitività) che hanno portato tutto questo malessere fisico e psicologico… se tornare alla “normalità” significa tornare allo schifo di prima, sarebbe più corretto pensare a “come evitare di tornarci”, come molti dal popolo, dalla scienza e dai governi, stanno dicendo a gran voce. La normalità che voglio ritrovare è squisitamente sociale. La possibilità di abbracciarci, di stare insieme, di condividere la realtà. Ma se questa realtà sarà di nuovo corrotta in nome degli interessi di pochi, quasi preferisco rimanere più o meno così, con “poco ma buono”, o quasi mi consolo con la morte. In questo periodo di grandi rivolgimenti, sono arrivata anche a questo paradosso. Se l’uomo non saprà cambiare nemmeno stavolta, almeno prima o poi la smetterò di dover guardare a questo sfacelo. Buono, no? Ma prima penso che se tutti lo vogliamo davvero stavolta, stavolta cambiamo.