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I lati positivi del coronavirus

E se a qualcuno può sembrare inappropriato, bisogna sempre ricordare che perfino un omicidio può avere delle attenuanti. Figuratevi un virus…

Si sta dicendo e ascoltando di tutto (e da tutti) in questi giorni. E, come al solito, dichiarazioni di tipo diametralmente opposto: dalla “stronzata” ai complotti, dalla “semplice influenza” allo sterminio di massa… ma al di là di tutto questo frastuono rimane un fatto: il virus c’è e sta ammazzando persone.

Se poi si vogliono fare i fastidiosi distinguo che girano: “sì, ma uccide solo quelli anziani o con problematiche”, “sì, ma ci sono più morti per l’influenza stagionale” (al 24 marzo 2020 a dichiararlo non è uno qualsiasi, ma Donald Trump), con quel vago “e quindi chissenefrega” di sottofondo… diciamo subito che, se perfino a chi non ne è toccato in prima persona, procura malessere questo sottile tentativo di sminuire la portata sulla pelle di altri… cercate di figurarvi chi ne è direttamente coinvolto. E per almeno tre, semplici, motivi:

  1. Non è che la gente che ha già delle problematiche o una certa età è meno importante… o ci siamo già nazistizzati?
  2. Tutti abbiamo dei genitori, zii, nonni, amici con le suddette problematiche. E sono persone che stanno bene.
  3. Ipoteticamente, anche se non arrivo a schiattare, si può arrivare alla respirazione assistita (non so se avete mai provato cosa significa non sentire di respirare bene, anche solo per 1 secondo…), quindi, sinceramente, me lo eviterei ben volentieri pure il minimo dubbio di poter essere intubata… non scordandoci che ci sono anche casi come quello del “paziente1”, nientemeno, 38enne, che non aveva alcuna “problematica”, anzi era uno sportivo, ed è rimasto intubato per 1 mese. E solo di due giorni fa la notizia di un 35enne sano di Roma, purtroppo deceduto, sul quale si attendono i risultati dell’autopsia svolta ieri.

Intanto il nostro primo chissenefrega interiore (ed esteriore) è arrivato quando il 4 gennaio 2020 tutti abbiamo sentito la notizia: “misterioso virus” in Cina. “E ti pareva”. “Tanto sempre lì succede”. “Con tutte le schifezze che si mangiano”. E via a continuare la nostra vita, protetti dal nostro giudizio infallibile, con la solita notizia tragica di sottofondo che oramai non tocca più nessuno. Ci siamo abituati per spirito di sopravvivenza. Ma ecco che, 27 giorni dopo, il 31 gennaio 2020 esce la notizia Il virus colpisce l’Italia. Ma si trattava ancora di cinesi: i due “famosi” turisti a Roma. Una settimana dopo, invece, è la volta del primo italiano. E oggi, un mese e mezzo dopo, l’Italia supera la Cina per numero di morti: oltre 6mila. Da non crederci.

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Da Il Foglio un grafico che illustra la notevole differenza tra una situazione epidemica gestita attraverso l’isolamento sociale o quarantena, oppure senza far nulla (tipo “business as usual” come cercava di fare inizialmente il Regno Unito): è la stessa differenza che c’è tra il poter garantire assistenza per tutti, e il dover decidere tra i pazienti chi potrà avere le cure e chi no…

Ma ecco come magicamente, e in pochissimo tempo, smettemmo di guardare male la povera famigliola cinese di turno che saliva sugli autobus, e iniziammo a guardarci male (anche se meno) tra noi. Quel lontanissimo virus cinese era entrato nelle nostre case. Kung flu lo chiama oggi Trump, sempre quello che non perde un’occasione di alimentare polemiche e divisioni. E chissà perché poi le statistiche dicono che in America c’è una corsa all’armamento… soprattutto da parte di famiglie asiatiche.

Ecco, quello che sta facendo questo virus, a livello sociale, è un bello schiaffo in faccia. Che ci siamo cercati e che ora non può lasciarci stupiti. Sono anni, decenni che l’umanità parla e straparla sul cambiare, migliorare, creare sostenibilità… non che non si sia fatto nulla fino a oggi, i cambiamenti sono tanti e tangibili, ma sono lenti e non omogenei. E solo per un motivo: non sono radicali. Sì la leggina, la raccolta differenziata, i filtri per le fabbriche, le auto elettriche, i pannelli solari, le pale eoliche… tutto questo insieme qualcosa fa, ma non è abbastanza. Da domani mattina ci dovrebbe essere un decreto d’urgenza, tipo quello sanitario che stiamo vivendo ora, che dica: adesso si converte tutto. E non di certo, o non solo in senso sanitario, in mascherine e gel disinfettante. Ci si converte per diventare, tutti, davvero “sostenibili”.

Perché sennò, a forza di aspettare, ci pensa la natura, lei sì una maestra di scelte radicali. Se l’uomo non si decide a cambiare, la Terra ci mette un attimo a scrollarci di dosso. In altre parole il cambiamento climatico non è una cosa che dà fastidio a noi, il fastidio è tutto dentro l’ecosistema, e l’ecosistema, proprio essendo tale, un sistema lo trova per ritrovare il proprio equilibrio vitale! Siamo troppi, e abbiamo troppe esigenze che vanno ridimensionate o semplicemente gestite in altro modo. Tra terremoti, uragani e virus, è un attimo che si fa piazza pulita…

Ma noi qui volevamo parlare dei lati positivi del coronavirus e li vogliamo elencare tutti in questi giorni. Intanto quello che noi riteniamo il più importante, ed è proprio lì che stiamo andando a parare.

Una delle tante foto che stanno girando in questi giorni e che testimoniano la verità di quel detto che azzera ogni stereotipo: “tutto il mondo è paese”. Se i nostri assalti alle stazioni vi sono sembrati così assurdi, anche quando i francesi ci sbeffeggiavano (per poi ritrovarsi nella medesima situazione 2 settimane dopo…) “Migliaia di malesi sopportano lunghe code per entrare a Singapore prima che anche la Malesia entrasse in quarantena” il 18 marzo 2020. Foto EPA-EFE (da scmp.com)

In pochi giorni un nemico invisibile ha reso visibili tutti gli stereotipi che normalmente ci governavano senza accorgerci di nulla. Non solo visibili, li ha resi anche reciproci, e per questo insopportabili. In una catena infinita tutti ci siamo guardati dall’alto in basso, quando tutti dovevamo guardare in alto, al piccolo, invisibile virus che ci stava schiacciando. Per cui siamo partiti con tutto il mondo che si è complimentato con sé stesso per non essere come la Cina, poi si è ben vantato di non essere come l’Italia, poi come la Spagna, la Francia, l’Europa intera, l’America che non si è mai sentita come nessun altro, e nel frattempo il virus era dappertutto. Livellando tutto: estrazione sociale, lavoro, genere, età, provenienza, religione… lasciandoci nudi dalle caratteristiche che, molto illusoriamente, ci facevano sentire diversi dagli altri.

Allora pensiamo ai nostri nonni, ma non per fare paragoni (ottundenti) con la guerra. Questo è niente rispetto a quello che hanno vissuto loro. Al di là di tutte le persone che sono in prima linea con il loro lavoro e a cui va il nostro primo pensiero, ci stanno solo chiedendo di essere prudenti, in modo tale che, tutti, potremo liberarci prima da questa vita a metà – e soprattutto perché stanno finendo i posti in terapia intensiva, e non penso che ci sia qualcuno che desideri arrivare a decidere tra persone, tra chi merita “di più” di vivere. La situazione più che da guerra è da “arresti domiciliari”, ma non è niente di tragico per chi sta bene, come scrivono su Kotiomkin, e quando ci ricapita di salvare il mondo senza far niente?

Se il mondo sta meglio, anche noi staremo meglio. Ricchi di un bagaglio nuovo che ci ha accompagnato in questi giorni di incertezza, contatti minimali e tanto silenzio. Ogni cosa ha cambiato la sua prospettiva, e finalmente siamo costretti a guardare l’altra faccia della medaglia. Comunque andrà, questo virus ci ricorda che le cose non sono mai solo in un modo. Esso ha attaccato tante certezze che pensavamo di avere, tutti gli stereotipi che ci hanno alienati e divisi. In fondo, noi non potevamo non “stimarlo” per questo, da ovunque provenga, perché quando la situazione è già tragica, l’unica cosa che ci rimane da fare è guardare all’effetto.

Nel nostro mondo di prima stereotipi di qualsiasi tipo venivano pronunciati, vissuti, reiterati senza problemi o grosse conseguenze. Nel mondo di oggi appena qualcuno li pronuncia e li attua, poco tempo dopo li vede smentiti. Non era mai successo prima. Vedere sé stessi diventare un bersaglio nello stesso momento in cui si stava bersagliando qualcun altro. Improvvisamente, non è più possibile additarsi perché il dito è puntato verso di noi. E ora, finalmente, siamo tutti uguali…

(continua con Il coronavirus e il ritorno alla (nuova) normalità)

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Il fumettista Stefano Tartarotti su Il Post. Dai saluti buffi all’addio a “dolorosi rituali estetici”, dalla ribalta degli asociali allo “starnuto anticoda”, dal “sesso a distanza senza sbattimenti” alle “scuse a prova di fidanzata”, dalla pigrizia smodata alla cucina creativa… un piccolo aiuto per rimanere positivi
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