Siamo abituati a pensare che internet prima e i social network poi abbiano rivoluzionato e democratizzato il mondo dell’intrattenimento e dell’informazione, rendendo obsoleto ogni altro media antecedente. Ovviamente non è così, non del tutto almeno. Perché se il mezzo è certamente più rapido e capillare, le dinamiche alle spalle sono grosso modo sempre le stesse.
Il primo falso mito è quello dell’ “uno vale uno”. È vero che potenzialmente chiunque può far sentire la propria voce, creare un sito o un blog di successo, raggiungere milioni di persone o far circolare contenuti virali. Però è solo una versione più aggiornata del classico “sogno americano” dove il fattorino diventa Megadirettore Galattico. Non è impossibile, ma statisticamente improbabile.
Rispetto a televisione, radio e stampa è più facile per una persona qualunque dare vita al proprio progetto a costo quasi zero. Ciò non vuol dire che per lo sviluppo dello stesso servano qualità imprenditoriali e il rispetto di regole in costante evoluzione, per l’agognata ottimizzazione nei motori di ricerca che permetta di raggiungere le le fatidiche visualizzazioni che consentono di monetizzare.
Per cui non è detto che ad emergere sia chi abbia le cose più interessanti da dire, potrebbe essere banalmente il più bravo a sfruttare le leggi del mercato (forse l’uso del condizionale è superfluo). Esattamente come per radio, giornali e televisione.
Pure tralasciando il lato economico, non è che i social siano un megafono uguale per tutti. Anche lì vige una rigorosa gerarchia basata sui numeri (e sul guadagno di una certa reputazione). Per cui il messaggio di chi ha milioni di follower avrà una risonanza sproporzionata rispetto a una (eventuale) genialità pubblicata di chi ne ha 100. Anche in questo caso, non è automatico che più follower corrispondano a migliore qualità dei contenuti.
Un altro aspetto che non vede grosse differenze tra vecchi e nuovi media è la diffusione delle fake news – anche se in fondo le fake news non sono il solo problema. Le notizie false sono esistite dall’alba dei tempi, già nell’Eneide si parlava della Fama come di un mostro in grado di seminare il falso e le maldicenze. Semplicemente sono aumentati i diffusori.
Seguaci e detrattori dell’informazione su internet si rinfacciano la stessa colpa, cioè di essere inattendibili. TV e giornali perché devono compiacere qualche editore, il web perché non ha un controllo di veridicità. Entrambi possono essere mendaci o rispettabili, si tratta sempre e solo di uno strumento, l’uso cambia a seconda dell’utente. Verità e falsità non sono sbilanciate su un mezzo o su un altro, c’è più fluidità di quanto si pensi.
Quello che non è vero è che grazie a internet ci sia una maggiore informazione. Potenzialmente sì, perché anziché dieci, venti o cinquanta giornali o canali principali troviamo migliaia di siti, aggiornati in tempo reale, ed è facile anche accedere alla stampa estera, senza andare all’aeroporto o alla stazione centrale per poi trovare quelle poche testate da Stati Uniti, Francia e Inghilterra.
Ma oltre all’eccesso di notizie, che rende difficile una loro metabolizzazione e approfondimento, di fatto si creano solo bolle di informazione personalizzata o quasi, basate sull’assunto che l’utente medio preferisce rassicurarsi invece che mettersi in discussione e che ciò lo spinga a rimanere sulla pagina, cliccare contenuti simili consigliati ecc. ecc. Gli aggregatori ad esempio ti selezionano direttamente le notizie da leggere, in base alle scelte passate. Cosa che alla lunga va a limitare l’attiva ricerca e la curiosità di scoprire argomenti che pensavamo non ci sarebbero interessati.
Un contenitore televisivo, che pure subiamo passivamente, ci viene invece proposto come pacchetto indivisibile – poi chiaro che c’è il telecomando. Certe volte (ma solo certe volte) avere meno scelte consente, paradossalmente, di spaziare sulle tematiche più di quanto non si faccia con le piattaforme che offrono mille titoli (e tanto rimaniamo nella solita nicchia). Solo che siamo più portati a lamentarci per un menu di programmi ristretto che non per il bipolarismo alle urne (ma è un altro discorso…).
Chiudiamo con la gratuità del mezzo. Diamo per scontato che tutto debba essere a libera disposizione, spesso rifiutandoci di pagare quote di iscrizione per servizi che, sarà certo fastidioso quando il resto è gratis, rispettano le normali leggi economiche: fornisco un qualcosa in cambio di un corrispettivo. Invece ormai la navigazione o l’uso dei social è assurto a diritto fondamentale.
Facciamo un passo indietro. Negli anni Settanta diventa legale la trasmissione di emittenti private in concorrenza alla pubblica RAI, nasce la TV commerciale. Nessun pagamento di canoni, perché i proventi arrivano dalla pubblicità. Lo spettatore concede minuti del proprio tempo guardando un maggior numero di interruzioni per i consigli degli acquisti, divenendo esso stesso la merce di scambio, un numero che aggiusta i prezzi di mercato.
I social usano la stessa tecnica. All’apparenza sono gratuiti, ma è la nostra presenza che porta pubblicità e soldi. Con una piccola differenza rispetto alle TV commerciali: queste ultime devono produrre, investire tempo e risorse per pagare i diritti della partita, del film di cartello, per ideare uno spettacolo (bello o brutto che sia).
Sui social non avviene nulla di tutto questo, perché i contenuti li produciamo direttamente noi utenti e la struttura deve “solo” realizzare algoritmi efficaci – che ci chiudano ancora più nella nostra cerchia ristretta – e vendere i dati personali, visto che persino quelli hanno un prezzo.
Contribuiamo a generare guadagni ma non prendiamo parte alla redistribuzione degli stessi. Siamo come dipendenti, sempre reperibili, senza sindacati e non pagati se non in visibilità – praticamente come i neolaureati in materie umanistiche o gli artisti alle prime armi. Garantire l’accesso gratuito al social network è il minimo, nemmeno il minatore dell’Ottocento pagava per estrarre carbone – ovviamente è un’iperbole, postare non è certo un lavoro usurante, almeno.
Il discorso è sempre lo stesso, la tecnologia non è sempre vero progresso, principalmente perché rimane uno strumento manipolabile da umani che rispondono sempre alle solite logiche. Non si sta meglio ora grazie all'(ab)uso di internet, non si stava meglio prima senza di esso.
Non a caso tutti i media presentano più o meno le stesse criticità. Basti pensare al senso di Citizen Kane (Quarto Potere) e Network (Quinto Potere) sulla portata rispettivamente di giornali e televisione per capire come, in fondo, poco o niente sia cambiato.