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Se il farmaco è un essere vivente

“È l’alba di una nuova epoca medica”. Dai classici farmaci chimici stiamo passando a quelli “bioviventi” che hanno costi ancora esorbitanti, ma un’efficacia sempre più comprovata e diffusa. L’obiettivo è renderli presto una terapia accessibile a tutti che possa curare la maggior parte delle malattie più insidiose che l’uomo conosce…

Dal composto chimico alla cellula vivente. Francesca Ceradini dell’Osservatorio Terapie Avanzate (Ota) inizia a presentarci il quadro. Dalla scoperta del Dna nel 1973, da cui nacque la biotecnologia, oggi siamo qui a raccogliere i frutti di questa lunga ricerca. “È l’alba di una nuova epoca medica”, proprio da quell’antico farmacon che significava insieme “rimedio” e “veleno”, siamo arrivati oggi a “nuovi farmaci ‘bioviventi’ per curare malattie genetiche degenerative e tumori, con effetti a lungo termine”. Innovativi perché “non si basano su molecole prodotte per sintesi chimica”, come i classici farmaci, “bensì su Dna o Rna, cellule e tessuti”. Terapie che vengono utilizzate anche per trattare malattie croniche e gravi ustioni o lesioni.

Le terapie avanzate ad oggi sono di quattro tipi:

  1. Terapia genica per trattare malattie date da geni difettosi: il farmaco è il Dna (o Rna) stesso, e quale miglior veicolo esiste dei virus? (Organicamente parlando). Sviluppata dagli anni ’80-’90 per approdare al 2012, anno che segna la prima terapia avanzata di questo tipo, funziona più o meno così: “se ho una malattia genetica, il gene sano viene trasportato nel paziente attraverso un vettore virale in vivo oppure ex vivo”. Nel primo caso la correzione avviene all’interno dell’organismo del paziente tramite iniezione, nel secondo caso le cellule vengono prima prelevate, modificate geneticamente, e solo dopo iniettate.
  2. Editing genomico: “la correzione del difetto viene effettuata direttamente all’interno del Dna”. Potrebbe segnare il futuro dell’intera terapia genica.
  3. Terapia cellulare (sviluppata a partire dagli anni ’60, dal primo trapianto di midollo osseo) e ingegneria tissutale, medicina rigenerativa attraverso cellule staminali, la cui ultima frontiera riguarda gli organoidi, modelli cellulari in 3D.
  4. Immunoterapia e CAR-T (Chimeric Antigen Receptor): terapia che si fonda sul “potenziamento del sistema immunitario attraverso terapie personalizzate”. Il primo grande problema del cancro infatti, e quello che spiega anche la sua “forza”, è proprio la sua capacità di rendere “dormiente” o “frenato” il nostro sistema di difesa.

Da qui l’idea geniale di provare a “risvegliarlo” tramite ulteriori agenti esterni. “Una delle strategie di immunoterapia utilizzate oggi, chiamata ‘inibizione dei checkpoint immunologici‘, si basa sull’impiego di anticorpi per disinnescare i freni del sistema immunitario e aumentare così la capacità dei linfociti di fronteggiare i tumori. L’idea, nata negli anni ’90 e arrivata alla prima applicazione terapeutica nel 2011, si è meritata l’assegnazione del premio Nobel per la Medicina nel 2018”.

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Nobel per la Medicina 2018 a James P. Allison e Takusu Honjo “per la scoperta di una nuova terapia per il cancro tramite inibizione della regolazione immunitaria”

Anticorpi, inibitori, vaccini e trasferimento adottivo di cellule (Car-T)…” sono quindi questi i diversi approcci attualmente studiati in ambito immunoterapico, come sottolinea Annalisa Bonfranceschi, giornalista scientifica di Galileo. Quella di ultimissima generazione, denominata Car-T, si basa sull’ingegnerizzazione genetica dei linfociti T in maniera tale da potenziarli per combattere i tumori. Le Car-T sono dei veri e propri “killer delle cellule tumorali: una proteina non esistente in natura viene inserita nelle cellule del sistema immunitario che ovviamente le riconosce attaccandole, rilasciando così nuovi antigeni che scatenano la risposta (dormiente) del sistema immunitario. Ne esistono di vari tipi”.

Di certo le nuove terapie sono di tale portata che è possibile comprendere i toni epici, usati da tutti. Maria Visigalli del Good Laboratory Practice del San Raffaele di Milano, sottolinea: “siamo passati dalle molecole ai farmbio fatti di geni e cellule”, usando i “virus come cavalli di Troia e i geni come farmaci”. Un po’ come sfruttare le capacità del nemico a proprio favore: passando “dall’infezione alla trasduzione” e cioè la proprietà dei batteri di passarsi materiale genetico, la stessa che permette la terapia genica. Ci voleva una certa fantasia e voglia di osare solo per immaginare queste terapie e i loro meccanismi. Poi per realizzarle. Ma le terapie geniche oggi possono superare altre pratiche, come il trapianto: “le cellule staminali utilizzate sono ematopoietiche” (stessa morfologia) “per evitare trapianti allogenici” (da donatori) e relative conseguenze come “il rischio di rigetto”. Risolverebbero anche l’annoso problema delle “liste d’attesa”, garantendo “disponibilità per tutti i pazienti”.

Michele De Luca, direttore del Centro di Medicina Rigenerativa di Modena e Reggio Emilia, prima si sfoga un po’ con noi giornalisti che non sempre facciamo bene il nostro lavoro, alimentando stereotipi e fake news. Talvolta anche il linguaggio è errato o troppo alla ricerca della sensazione. Raccontando di interviste millimetriche che non permettono il giusto approfondimento che serve per capire le cose: “finalmente siete tutti qui e dovete ascoltarmi”.

Il metodo scientifico ha una sequenza specifica: domanda, ipotesi razionale, esperimenti riproducibili, analisi e verifica, pubblicazione. I giornalisti dovrebbero intervenire solo dopo: chi ha intenzione di fare una sperimentazione non dovrebbe nemmeno essere pubblicato, per non creare illusioni. Il metodo pseudo scientifico, invece, parte da un pregiudizio (malafede) e porta alla strategia retorica della post-verità: a quel punto la verità è di secondaria importanza. Così si è creato il caos xylella e quello dei vaccini”.

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Da dove arrivano le cellule staminali embrionali? (da Focus.it)

Quindi, riguardo le terapie avanzate, capire “il target della terapia genica è fondamentale, e sono le cellule staminali”, stem cells, “altrimenti non si avrebbero effetti duraturi”. Queste cellule “sono tantissime”, per esempio “le embrionali” che “danno origine a tutti i tessuti dell’organismo, e sono le uniche. In Nord Europa e Usa stanno già conducendo sperimentazioni su queste embrionali. Poi ci sono le somatiche già specializzate (la cellula della pelle dà pelle, sangue fa sangue ecc.)”. Anche in questo caso si tratta di “esseri viventi che diventano farmaci”.

Nel 1957 fu condotta la prima terapia cellulare con cellule staminali. Nel 1984 la prima con cellule staminali coltivate”. Il che però è tutto molto diverso dal famigerato “metodo stamina”: “diffidate da chi si sveglia la mattina e ha una nuova terapia”, sottolinea De Luca. Per fare ricerca “ci vuole tempo, sudore, lacrime e sangue: dal 1997 al 2005 ho lavorato alle cellule staminali limbali e relativa rigenerazione corneale, occhi rigenerati da cellule staminali, in tutto ci abbiamo messo 18 anni, ma la cornea si può coltivare”. Oppure racconta della storia di Hassan, un bimbo siriano con una forma gravissima di epidermolisi bollosa, una malattia genetica. La stessa genetica gli è allora arrivata in soccorso: il team di specialisti ha di fatto coltivato una nuova pelle in “fogli” che poi gli è stata applicata. “La malattia non è guarita, ma la sua pelle è stata curata, da 4 anni sta bene, questa terapia è one shot and forever”.

Ci vogliono soldi. Il problema è che questo “shot”, questa specie di “magia”, per via della sua risolutezza e personalizzazione e alta ingegneria ha dei costi elevatissimi. Sono infatti “terapie che hanno ‘risposte durature’ (in circa il 40-50% dei casi), ma non funzionano per tutti” sottolinea Bonfranceschi. “Per esempio, se non ci sono abbastanza linfociti da prelevare. Hanno anche effetti collaterali importanti, per esempio potrebbero provocare una risposta infiammatoria grave. Quindi sono terapie di fatto, ma ancora considerate sperimentali. E molto costose: si parla di una media di 320mila euro. Cifre che pochissimi possiedono ma, almeno in Usa, vale il concetto del “payment at results“: vengono pagate solo se la terapia ha funzionato.

Ci vuole tempo. Si tratta del “tipico trentennio per l’evoluzione di una terapia avanzata”: dagli anni ’80 solo nel 2017 è arrivata l’approvazione alle terapie avanzate da parte della Fda statunitense (Food and Drug Administration). Approvazione che ad oggi riguarda “solo alcuni tumori ematologici (leucemie, linfomi, carcinomi, tumori del sistema nervoso), ma si sta andando verso i tumori solidi. Una terapia comunque complessa, anche se è ‘solo’ un farmaco”. E una promessa anche per l’emofilia e la Sla. “Per la distribuzione di un farmaco è fondamentale la sicurezza e l’efficacia, ma molti oggi vogliono guardare solo alla sicurezza. Servono nuove regole cucite addosso alle terapie avanzate. Per me bisogna essere più stringenti sui razionali”, commenta De Luca.

Risultato immagini per terapie avanzatePer andare sul concreto, dal 2012 a oggi sono già state approvate 14 terapie avanzate, di cui 3 italiane. “La prossima sfida sarà la loro sostenibilità”, dice Cerandini, essendo farmaci ancora innovativi “dai prezzi spesso esorbitanti e ancora non coperti dai sistemi sanitari, escluse pochissime eccezioni”. Per non parlare di tutte le questioni bioetiche che essi innalzano, non tanto riguardanti il gene editing somatico generalmente accettato, quanto quello germinale, molto controverso poiché fatto pre-nascita.

Dove si può fare?I centri si trovano soprattutto in Usa e Cina, ma anche in Italia”. Qui i criteri sono definiti dall’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) e poi individuati dalle Regioni: “sono una decina, ma di fatto 6-7 già pronti”. Per andare nel dettaglio, a ottobre 2019, e cioè a due mesi dall’uscita dei primi due farmaci (Novartis per leucemie e linfomi, e Kite Pharma per linfomi dell’intestino), “erano sette le regioni che avevano già deliberato sulle terapie Car-T: Liguria, Lombardia, Lazio, Toscana, Abruzzo, Umbria e Emilia Romagna. I centri già qualificati o in fase di qualifica per studi clinici presenti o in programma, sempre al tempo, erano invece dieci: Humanitas, IRCCS Istituto Nazionale Tumori (Int) e San Raffaele, a Milano; Fondazione Monza e Brianza per il bambino e la sua mamma a Monza; Città della salute e della scienza e l’ospedale infantile Regina Margherita a Torino; Sant’Orsola a Bologna; Bambino Gesù, Policlinico Gemelli e Umberto I a Roma”.

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Opuscolo che spiega l’immunoterapia per curare la leucemia presso il Bambin Gesù di Roma

Ad oggi i centri già pronti a erogare il prodotto commerciale sono: cinque in Lombardia, uno in Emilia Romagna, due nel Lazio e altri che sono in via di definizione (come in Piemonte, Veneto e Toscana). Attualmente in Lombardia sarebbero dodici le strutture accreditate o in fase di accreditamento. Anche l’Ospedale di Bergamo PGXXIII, starebbe già erogando le terapie. Altri Ospedali, come il Niguarda di Milano, sono invece in fase di qualifica e saranno pienamente operativi tra pochi mesi sempre secondo quanto riferito dal clinico. C’è poi l’ospedale Moscati di Taranto, specializzato in onco-ematologia e dotato della certificazione del Centro Nazionale Trapianti e dell’accreditamento Jacie per trapianto allogenico, unico centro in tutta la Puglia. In Toscana quattro le aziende ospedaliero-universitarie per eseguire la terapia CAR-T: Careggi e Meyer a Firenze, l’Aou di Pisa e quella di Siena. Infine, anche la Regione Sicilia ha individuato i suoi centri prescrittori: l’azienda Ospedali Riuniti Villa Sofia di Palermo, la clinica La Maddalena di Palermo e il Policlinico Vittorio Emanuele di Catania”. Per conoscere ogni aggiornamento basterà seguire il sito dell’Osservatorio Terapie Avanzate.

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