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Il cuore aperto di Palermo

Palermo ti rimane negli occhi. Il sole, i colori, i profumi, i fiori, il mare, l’arte, le persone… tanto che ti dici “vorrei vivere qui”. Poi ti soffermi, cercando di dismettere i classici occhi da turista innamorato, e intravedi gli stereotipi. Ma se la città perfetta non esiste, esiste sempre quell’andare dove ti porta il cuore…

Dopo Genova e Portogallo, un’altra immersione negli “stereotipi geografici“, sempre più o meno veri, di una grande città del sud Italia.

Mondello a fine novembre con due coraggiosi bagnanti

A Palermo fino a Natale ci si fa ancora il bagno”. Questo l’avevo sentito dire da vari amici siciliani, e in effetti essere andati a Palermo verso l’inverno è stato perfetto. Mentre il resto d’Italia è già sotto i freddi e i grigi e le piogge, a Palermo sonnecchia ancora uno scampolo d’estate: ci sono fiori e verde ovunque, il mare è cristallino e se vai a Mondello, davvero puoi vedere con i tuoi occhi la leggenda: “a Palermo fino a Natale ci si fa ancora il bagno”. In effetti possiamo testimoniare la presenza di qualche coraggioso che affronta l’acqua fredda confidando nella controparte (calorosa) del sole. Ma va anche detto che non sono tutti palermitani, anzi, sono più inglesi ubriachi o gente dell’Europa dell’est abituata a climi più freddi…

I giardini in fiore del Palazzo dei Normanni

I palermitani sono gentili e non hanno fretta”. E di certo questo sì che è un bello stereotipo! Poi, la gentilezza si avverte (e scalda ancora di più il cuore) se vieni da una città che non ha proprio quella come primo stereotipo. Tipo, venendo da Roma, che è più famosa per essere una città piuttosto indifferente nella sua grandezza (in tutti i sensi negativi, ma anche positivi, da sopravvivenza, come la grande filosofia dello sticazzi – da pronunciare in modo “vero e originale”, tono basso e affermativo con impercettibile movimento di mento, e non in formato “copiato” con tonalità entusiastico-esclamativa alla lombarda). Perché non è solo una gentilezza formale (quella che dicono abbiano i piemontesi, comunque piacevole), ma una vera e propria tendenza a conversare, rispondere senza fretta, condividere senza particolari interessi.

Un giorno eravamo in un’edicola per comprare dei biglietti dell’autobus, e l’edicolante si è voluta informare su dove andassimo. “Mondello”, rispondiamo, e aggiungiamo (proprio perché è la città che ti induce ad aperture che normalmente non avresti) “c’è un tale sole che ci viene proprio voglia di andare in spiaggia”. E lei era così contenta che è stata 10 minuti a cercare nel suo tablet una foto di Mondello che aveva fatto il giorno prima, a voler sottolineare quanto fosse giusta la nostra scelta. “Mi dispiace, vi sto facendo perdere tempo…” diceva mentre scartabellava, e noi pensavamo che sì, forse era un po’ inutile vedere una foto di Mondello se stavamo andando proprio lì. Ma era così bello farsi coccolare da qualcuno che non ha fretta. Mentre sta lavorando per giunta, servendo altre persone, che alla fine conosce tutte perché vengono dallo stesso quartiere del Capo. Ma neanche loro hanno quella fretta scostante e innervosita, sebbene sembrano tutti studenti e lavoratori.

Conversare in piazza Marina con i giardini Garibaldi sullo sfondo, il mercato dell’antiquariato, il carro di Santa Rosalia, la patrona di Palermo descritta come una “ribelle” e “sognatrice”

Perché a Palermo, come immaginiamo in tutto il sud a questo punto, si ama intervenire nelle conversazioni. Anche se queste avvengono tra persone diverse e che non si conoscono. Questa è una cosa che già avevamo notato girando mezza Italia, e che possiamo riassumere descrivendo una classica scena che infatti ci è capitata più volte. Due persone che si conoscono stanno discutendo di qualcosa in un luogo pubblico, come un bar o sui mezzi pubblici. Al sud, e senza alcun preavviso, chiunque si sentirà autorizzato a intervenire se è un argomento che ritiene interessante o su cui ha qualcosa da dire, e dunque condividere. Questo ci è successo a Napoli come a Palermo. E a chi non è abituato può sembrare una grande “cafonata”.

Al nord, infatti, tu non vedrai mai succedere una cosa del genere, c’è molto rispetto della privacy, e quindi, anche se tutti abbiamo orecchie per sentire conversazioni altrui, una persona del nord farà sempre finta di nulla. A Roma, che ha il vizio di stare sempre in mezzo tra due realtà, la faccenda si pone chiaramente in medio: tendenzialmente non si interviene, ma con un segno di “via libera”, che può essere sorridersi o lanciarsi un’occhiata, anche a Roma possono verificarsi queste fantastiche situazioni in cui si crea comunicazione con persone che non si conoscono. Nonostante il riserbo sia un valore importante è secondo me più forte e valido il punto contrario: se parli di un argomento in pubblico significa che non hai problemi a farti ascoltare (altrimenti ne parleresti a casa tua), di conseguenza non dovresti neanche aver problemi a sentire altre opinioni. Anzi!

Un murale al mercato della Vucciria che cita il noto film che contestava a Palermo un serio problema di traffico e di… banane (Johnny Stecchino di Roberto Benigni del 1991)

Palermo è sporca e puzzolente”. Abbiamo visto stereotipati lanci di mondezza in strada, ebbene sì, e un affollamento di motorini “Euro sottozero” che rendono i mercati di strada (dove tra l’altro si mangia) delle vie a gas. D’altra parte, sarebbe sbagliato pensare che questa è “la normalità”. Il sindaco Leoluca Orlando ha in realtà imposto il divieto di mezzi inquinanti vicino al cibo di strada, attuando anche una pedonalizzazione importante (quasi tutto il centro è girabile nel silenzio e nell’aria pulita). Inoltre, non ho mai visto una città con così tanti cartelli (auto-prodotti) che richiedono pulizia, civiltà, piacere di condividere gli stessi spazi… puliti. Gente civile che prende di petto gli incivili. D’altra parte, non si notano tanti cassonetti in giro. Eppure in una settimana non ho visto neanche un topo (e non potrei dire lo stesso a Roma dove, da qualche tempo, ne vedo almeno uno al giorno, non foss’altro quello sotto casa mia). Palermo poi, non è tra le città peggiori a livello di inquinamento da Pm10 (quello del traffico). Da leggersi con la classica “r” schiacciata, il problema più famoso (e stereotipato) di Palermo.

Se ognuno fa qualcosa allora si può fare molto” Una targa dedicata al martire della mafia Don Giuseppe Puglisi nei giardini di fronte il Palazzo dei Normanni

Quando gente (più o meno mafiosa) afferma cose tipo “Aeroporto Falcone e Borsellino… un errore, così tutti pensano che qui è solo terra di mafia”, non è una frase del tutto campata in aria. A Palermo quasi ogni monumento, graffito, street art è legato alla mafia, e la cosa di certo colpisce. Facendo pensare che, da una parte, possono anche capitare associazioni (semplicistiche) di questo tipo, da parte di “estranei” (decisamente superficiali). Dall’altra, c’è una differenza sostanziale in ciò che Palermo vuole comunicare davvero, ed è quello che dà veramente fastidio ai mafiosi. Perché l’equazione non è Palermo=mafia, ma proprio il contrario, Palermo=anti-mafia. E cioè una città che è andata a picco con la mafia, ma da essa sta solo risalendo. Anche riempiendo, letteralmente, la città di immagini, pensieri e ispirazioni, legate soprattutto al sacrificio dei suoi due più grandi eroi. Ricordarli in ogni angolo, in un Paese come l’Italia che in fondo non è così portato a erigere monumenti che tengano sempre sveglia la memoria delle persone sulle cose importanti, è fondamentale ed è bello. E non inficia l’immagine di Palermo, semmai ne sottolinea il grande coraggio. E porta al pensiero altri grandi di Palermo, del passato e di oggi, da Peppino Impastato (che ancora adesso ispira tante realtà artistiche e sociali improntate alla “bellezza”) a Don Giuseppe Puglisi, da Emma Dante a Letizia Battaglia.

Friggere a vista… qualsiasi cosa!

A Palermo si mangia bene e pesante”. Per concludere non si può a questo punto non citare il cibo, o meglio il “nutrimento” che Palermo regala. Sì, è vero, qui è quasi tutto fritto o al sugo, ma quanto è buono? E grande? Ed economico? Quasi mi commuovo a ripensare alle mie mattine che iniziavano scendendo al mercato, con un bicchiere di spremuta (fatta a mano) di arancia e melagrana… a 1 euro. Roma, città in cui la spremuta d’arancia vale oro, oscillando dai 3 ai 6 euro, non sa nemmeno che significa questa bellezza. Quell’Italia “vecchio stile” che ancora si ritrova qua e là, e fa poco “shabby chic” probabilmente, ma non si dovrebbe mai dismettere completamente per ritrovarsi poi a rimpiangerla. E quando li vedi partire, i palermitani, l’effetto non cambia. La massiccia presenza di cabaret (di paste) all’aeroporto è stata rivelatrice. L’immagine finale più bella. Non ci era sinceramente mai capitato di vedere, e davvero in mano a ogni singolo viaggiatore, un vassoio di quelli per le paste (o chissà arancine, mi raccomando a Palermo sempre al femminile!), avvolto nella sua classica carta con nastro dorato. Carte di tutti i tipi e di tutte le grandezze, a sottolineare che a Palermo i posti buoni sono davvero tanti. A quel punto ci sentivamo quasi degli idioti a non averne uno anche noi.

Un murale nel quartiere della Kalsa cita un pezzo del motto del Genio di Palermo che la dice lunga sul suo spirito accogliente…: “Panormus conca aurea suos devorat alienos nutrit” (Palermo conca d’oro divora i suoi e nutre gli stranieri)

Palermo nutre gli stranieri”. Questa è dunque la grande magia di Palermo, città che ha vissuto un tale andirivieni di popoli di ogni provenienza, dal nord e dal sud, che si è ben presto arresa al quieto vivere, attingendo da ognuno un pezzo di cultura. Questa caratteristica non è campata in aria, quell’aria ancora si respira, e risiede nel suo simbolo pagano più antico, presente in molte piazze e strade: il Genio di Palermo, un essere barbuto che abbraccia e nutre un serpente dal petto. Il cuore aperto di Palermo.

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