Qual è la più grave piaga del mondo? Si potrebbe rispondere “il traffico”, come in un noto film. Già, perché non è solo Palermo a soffrirne, anzi, in Italia non è neanche tra le città peggiori. Ovunque c’è traffico e infatti, dopo impianti industriali e inceneritori, sono le macchine a produrre il 25% dell’intero inquinamento atmosferico che ci ritroviamo. Percentuale altissima che però può facilmente abbassarsi subito, se non annullarsi del tutto. Bastano le nostre scelte, il più possibile orientate alla nascente “mobilità sostenibile”, migliore per la salute, ma anche per il portafoglio…
In un mondo appena nato e in rapida crescita come quello della mobilità elettrica è facile trovare opinioni discordanti. E’ quello che è successo durante un incontro sulla Mobilità sostenibile organizzato da Aci (Automobile Club d’Italia). Di seguito le affronteremo tutte, ma intanto è meglio partire da alcuni dati oggettivi. Ce li fornisce il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) tramite l’ingegnere Francesco Petracchini che senza mezzi termini afferma subito che “per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico l’Italia è tra i primi posti”, con relative morti premature superiori a quelle europee. Strano da scoprirsi per il Paese del sole e del mare, dove nei secoli scorsi i “nordici” venivano a svernare o a curarsi dalle malattie. Tre sono i valori da considerare, ma noi in particolare “siamo in infrazione (con l’Europa) per due inquinanti”, il Pm10 (particolato di metalli pesanti) e l’No2 (diossido di azoto), proprio quello che “viene dal traffico”. Oltre a Roma, molti capoluoghi non rispettano i limiti europei come Torino, Firenze, Milano e Napoli. Così come alcune capitali europee: Londra, Parigi, Madrid…
L’analisi modal split ha individuato le città più o meno virtuose. Quelle che, nonostante tutto, privilegiano il TPL (Trasporto Pubblico Locale) come Milano al 38% e Genova al 30%, e in Europa Parigi al 68%; e quelle dove si utilizzano di più le macchine, Cagliari al 78% e Reggio Calabria al 76%, con Bruxelles e Stoccolma al 44%. Tra le città dove si cammina di più Napoli (19%) dove però si registra un parco macchine peggiore, rispetto ad altre città, per la presenza di molte Euro 0, 1 e 2; mentre in Europa si cammina di più a Stoccolma e Madrid (29%). Da notare quanto cambino le percentuali da Italia a Europa, per cui, anche per quanto riguarda la bici, una Firenze che può risultare abbastanza virtuosa con il suo 9%, rispetto alle altre città italiane, se confrontata con Copenaghen, che sta al 30%, deprime un po’ la prospettiva “positiva”. D’altro canto sono solo Roma, Torino e Milano le città che offrono più km ciclabili (oltre i 200), mentre in altre città come Messina, Catania e Bari non si raggiungono nemmeno i 20 km. In generale poi l’Italia acquista molte macchine, infatti il tasso di motorizzazione di auto private è più alto della media europea.
Monossido di carbonio, metano, azoto. Oramai è “acclarata la correlazione tra la presenza di inquinanti e l’aumento delle temperature medie”, così come anche la correlazione di questi con certe maledizioni del secolo, come il cancro, che può tranquillamente portarci ad affermare che “le macchine ci stanno uccidendo“. Il trasporto impatta su questo inquinamento al 25%: significa che “il fotovoltaico deve triplicare e l’eolico raddoppiare entro il 2030”. Roma ha aderito all’acquisto di soli veicoli a zero emissioni, ma al momento i 227 nuovi bus appena arrivati non sono di quel tipo. Ma di certo migliori rispetto al passato, vista l’alimentazione ibrida a gasolio e metano. Il punto è sempre quello: l’impietoso confronto con il resto d’Europa. A Copenaghen, per dire, già l’85% dei veicoli sono a impatto zero, mentre Parigi ha tutta la logistica a basse emissioni. “Chiediamo la messa al bando del motore a scoppio entro il 2030 come negli altri Paesi”. Sì perché sembra incredibile definirlo così, fa molto 1854, ma da allora a oggi le automobili quel tipo di motore utilizzano, chiamato anche “a combustione interna”.
Da drivers a movers. Ma veniamo al succo del discorso. Anzitutto c’è da notare una nuova tendenza sociale, come sottolineata dal capo tecnico di Aci, l’ingegnere Enrico Pagliari: “se nel passato prendere l’automobile era sinonimo di libertà, oggi c’è una voglia anche maggiore di spostarsi, ma in altro modo”. Tant’è che se prima si tendeva a prendere la patente molto presto, oggi non si registra lo stesso trend tra i più giovani che ancora a 20, 30, 40 anni, non hanno ancora o non intendono prendere la patente. Nel frattempo sono entrati in gioco nuovi players, uno su tutti “Mobility as a Service” (MaaS) di cui si inizia a parlare già dagli anni ’90, ma solo nel 2015 ha preso ufficialmente piede, e cioè “il passaggio dai modi di trasporto di proprietà personale verso la mobilità fornita come servizio” (Wiki). Soprattutto, stanno entrando in gioco “veicoli molto diversi dal passato che un domani saranno completamente autonomi”. Questi scenari contemporanei muovono i loro passi da un generale “desiderio di sostenibilità che deve essere sicura, rispettosa dell’ambiente ed economicamente sostenibile, pianificata in base ai comportamenti e alle nuove tecnologie”.
Tre tipi di veicoli, cinque livelli di automazione. Dimenticate “la classica macchina”, totalmente “manuale”. Oggi si va dall’auto connessa, con guida assistita, nel mezzo c’è quella automatica (il massimo della guida assistita), fino ad arrivare all’auto autonoma (come la metro C per capirsi). Quest’ultimi due aggettivi vengono spesso confusi per similitudine, ma sono completamente diversi. E la teoria deve ancora incontrare la pratica: “di fatto in commercio stiamo ancora al livello 2 con Tesla”, e cioè un’automazione ancora parziale. C’è ancora molta strada da fare per quanto riguarda l’efficienza nel tempo e altre caratteristiche fondamentali come il freno automatico di emergenza. Considerando che già l’airbag ha una scadenza, e cioè si raccomanda un controllo dopo due anni perché altrimenti non c’è modo di sapere (prima) se effettivamente si azionerà in caso di incidente… nell’automazione questi aspetti sono ancora più impellenti, vista l’assenza di intervento umano. Basti pensare al classico dilemma estremo a cui nessuno sa ancora rispondere, figurarsi una macchina: in caso di attraversamento improvviso di persone lungo una strada urbana come si comporta l’automobile autonoma? Andrà addosso ai pedoni o andrà addosso al muro?Entrambe le scelte hanno un notevole peso etico (e non solo).
Il grande salto da Euro 3 a Euro 4. In questo recente passaggio, avvenuto nel 2006, “gli inquinanti si sono dimezzati e questo è un fatto oggettivo”. Oltre che una bella notizia! Oggi siamo arrivati a Euro 6 con conseguente invecchiamento del parco autovetture, ma solo una macchina su tre è pre-Euro 4, e cioè più inquinante e più pericolosa. E anche se “siamo sopra il valore medio in Europa” è comunque un’altra buona notizia che fa solo rimanere ancora più increduli nel ripensare ai recenti scandali sulle falsificazioni delle emissioni condotte da alcune, e pure rinomate, case automobilistiche. Come osservato da un giornalista, “un vero e proprio autogol”, alla luce di questi dati oggettivi. “Solo dal 2014 al 2018, con un settore elettrico in costante salita, siamo passati dai 37 ai 39 milioni di autovetture in Italia”. Se però mettiamo insieme i veicoli elettrici e quelli ibridi non raggiungiamo nemmeno l’1% dell’intero parco auto italiano… “evidentemente i costruttori non hanno ancora fatto una scelta definitiva”. In ogni caso, anche se “è probabile che il veicolo di domani sia elettrico, si deve partire da un Euro 4 omogeneo, con la dismissione definitiva da 0 a 3”, come già stanno facendo altre città nel resto del mondo. D’altra parte i limiti alle emissioni stabiliti dalla Comunità Europea parlano chiaro: i 130 gr di Co2 per km consentiti in partenza sono già in progressivo abbassamento. Nel 2030 si consentirà infatti un’emissione di soli 59,37 gr.
Diesel VS elettrico. Per quanto riguarda l’alimentazione delle macchine del futuro, una delle grandi preoccupazioni dei consumatori, secondo Pagliari “in questa fase di transizione c’è una criminalizzazione interessata sul diesel poiché tutti i players stanno investendo in sostenibilità”. Oltre all’elettrico ci sono infatti le possibilità del biometano e del biodiesel. Secondo lui la soluzione migliore sarebbe “sfruttare l’energia dell’acqua e il biodiesel possibilmente ricavato dai rifiuti”. Considerando l’intero ciclo di vita l’impatto dei nuovi veicoli elettrici può essere controverso: “L’Eurodiesel di seconda generazione ha la stessa valutazione e comportamento di un’elettrica e su certi numeri quest’ultima può addirittura risultare più impattante”.
Su questo punto non è affatto d’accordo Mauro Vergari di Adiconsum che ci tiene a sottolineare che loro non sono players orientati al business, ma un’associazione a difesa dei diritti dei consumatori. Parla alla platea in prima persona come utilizzatore di auto elettrica. Senza andare a scomodare il “traffico”, esorta a “provare ad accendere il diesel o l’elettrica per due ore nel proprio box auto…” di certo in un caso ti sei suicidato, nell’altro sei ancora vivo e in perfetta salute. Inoltre “l’elettrico ha più autonomia del metano”. “Oggi abbiamo 10mila utilizzatori di Ev (Electric vehicle) in Italia e l’obiettivo è renderle il più possibile simili alle macchine tradizionali”. Ma quali sono i bisogni dei consumatori nel settore auto elettrica? Secondo Vergari riguardano cinque aree.
- Ricarica e costi energia
- Abitudini
- Sharing
- Vendita veicoli
- Incentivi
“Una volta provata l’auto elettrica nessuno torna indietro“. Nella prospettiva di questi utilizzatori di primo pelo “sarebbe pure meglio rimanere in pochi, perché l’Ev non ha un solo difetto, solo pregi…”
(Continua con I (veri) incentivi delle auto elettriche)