Il turismo di massa sta indiscutibilmente rovinando l’integrità paesaggistica o identitaria di numerosi posti in tutto il mondo. Da una parte il degrado e l’inquinamento di luoghi incontaminati, che siano spiagge, boschi o montagne; dall’altra la spersonalizzazione delle città, con esercizi commerciali sempre più standardizzati che sembrano riportare al non-luogo teorizzato da Marc Augé e rendono quasi inutile viaggiare.
Perché fare ore di volo per mangiare in note catene di fast food o acquistare souvenir che di tradizionale non hanno nulla, se non lo stereotipo? – tipo bottiglie di limoncello dalle forme falliche o improbabili pacchi di pasta tricolore tirati fuori dal cilindro di presunti esperti in marketing.
Ma come avviene quasi sempre con i problemi del mondo, si punta il dito sui responsabili sbagliati: compagnie aeree low cost e piattaforme di affitti basati sulla sharing economy. Ovvero coloro che, pur con i loro difetti da correggere, hanno permesso di viaggiare e pernottare a prezzi contenuti. Ovvero coloro che hanno in un certo senso democratizzato la possibilità di visitare posti nuovi. La controindicazione è che è aumentata esponenzialmente la platea di utenti, vero, ma è la proverbiale coperta corta.
Una radice della questione è il sovrappopolamento del pianeta. Il tasso di crescita degli umani è impressionante, se pensiamo che appena nel 1975 eravamo 4 miliardi e ora siamo già quasi il doppio. In pratica aumentiamo di un miliardo a decennio, mentre in passato ci volevano secoli per ottenere lo stesso incremento.
Il fenomeno è ingestibile sotto diversi punti di vista, dall’economia allo sfruttamento delle risorse e dell’ambiente, di conseguenza si riversa su migrazioni e – meno importante ma solo fino a un certo punto – sul turismo.
Siamo semplicemente troppi e visto che è improbabile che la metà di noi decida di suicidarsi per il bene collettivo, ci si ingegna a trovare soluzioni che, appunto, nella maggior parte dei casi vanno nella direzione sbagliata. Anche perché, a essere maliziosi sia chiaro, sembrano difendere interessi di corporazione (ricezione turistica, ristorazione ecc.) e non del popolo.
Altra radice sta nei cambiamenti geopolitici. Non si possono più mantenere quelli che sono stati privilegi economici e geografici. Se a viaggiare non può essere solo il più ricco, non può nemmeno più essere solo l’europeo o il nordamericano. Sempre più gente dal centro-sud America, dall’India o dall’estremo oriente viaggia, bisogna aspettarsi prima o poi anche il vero boom dall’Africa. Chiaramente i turisti aumentano, contribuendo alla massificazione, ma come si fa a stabilire chi ha diritto di spostarsi e quando? Specie tenendo conto del passato coloniale…
Città come Venezia accolgono effettivamente un numero di turisti eccessivo rispetto alla superficie, niente da contestare su questo punto. Ma sentire lamentele sul fatto che molti turisti non spendano abbastanza soldi è ridicolo, classista, elitario e snob. Usare il censo come unità di misura riporta indietro di almeno cento anni, quando poteva votare solo chi guadagnava almeno una certa somma e potevano viaggiare solo i nobili. Tanto i ceti più bassi non potevano permettersi più del riposo domenicale, altro che settimana di ferragosto.
Non che la cultura debba essere completamente gratuita, le spese di gestione e conservazione ci sono ed è più che giusto. Ma la fruibilità deve essere il più vasta possibile e non destinata a pochi eletti, sulla base di cosa poi?
Alcuni di quelli che si lamentano del turismo di massa, che provengono anche dall’area di estrema sinistra, sarebbero tra i primi esclusi dalla mannaia del turismo elitario a cui evidentemente anelano. Oppure hanno la presunzione e l’arroganza di essere intellettualmente più meritevoli di altri per poter soggiornare in amene località, che il popolino non potrebbe capire e apprezzare appieno – cosa che sarà anche vera, ma condurrebbe a un immobilismo sociale senza possibilità di emancipazione dal basso. Ragionamenti che di sinistra hanno ben poco.
La discriminante non può quindi essere attitudinale, perché sarebbe impossibile la rilevazione. E men che mai può essere economica, perché vorrebbe dire cadere nell’assioma povero=cafone ignorante e ricco=intellettualmente elevato e ben educato, cosa che ovviamente è fuori dalla realtà. Per dire, nell’esclusiva Capri un Emilio Fede qualsiasi trovava il codazzo di residenti e turisti pronti a seguirlo per strappargli una foto insieme.
Si può non disporre di un gran budget e avere rispetto delle città, dell’ambiente, degli usi e delle tradizioni e non avere quindi un impatto negativo. E al contrario avere a disposizioni grandi somme e fregarsene di tutto o cercare la standardizzazione spersonalizzata di cui sopra. Anzi, proprio il turismo di lusso favorisce maggiormente l’odiata gentrificazione.
Se da un lato è chiaro che la questione è di civiltà, di educazione basilare dei singoli, dall’altro bisogna responsabilizzare anche e soprattutto le amministrazioni locali. Se nel centro di città come Roma proliferano esercizi turistici scadenti a scapito di servizi base per residenti – come un banale idraulico o elettricista, per non parlare di raccolta e smaltimento rifiuti – o se nella laguna di Venezia approdano mostruose navi da crociera, sproporzionate rispetto ai caratteristici canali, dipende dalla Ryanair o da chi avrebbe dovuto vigilare e far rispettare le regole? Lo stesso discorso vale oltreoceano, che sia Aruba o Acapulco. Qualcuno avrà pur dato le licenze e approvato piani urbanistici che prevedono alberghi da dieci piani in riva al mare. Sarà stata la compagnia aerea Spirit?
Il cambiamento è qualcosa che fa sempre paura, il turismo di massa è solo un prodotto delle trasformazioni sociali, economiche, geografiche. Adeguarsi costa tempo, risorse e fatica, è molto più comodo, nel nome di un altrettanto insostenibile status quo, accusare quelli che consentono a chi, fino a pochissimi decenni fa, non poteva permettersi che gite fuori porta di girare e conoscere qualcosa in più.