Alice nel paese delle meraviglie è stata edita, tradotta, adattata e riadattata per ogni media, milioni di volte. Si loda la dolce versione piuttosto fedele della Disney, si condanna quella di Tim Burton che l’ha incredibilmente “americanizzata”. E ogni anno arriva qualcosa di nuovo, come la recente versione acrobatica dei Momix. Gotica, semplificata, pop-up. Alice l’abbiamo davvero vista e letta in tutte le salse. Ma pochi – anche se parliamo dell’ordine di centinaia di persone – l’hanno vista interpretata a teatro da chi quei ”paesi” li conosce bene…
(continua da Il Teatro “pathos-logico” che cura le emozioni)
Il viaggio di Alice è stato una tre giorni unica e irripetibile, dal 26 al 28 giugno 2019, nella bellissima sede immersa nel verde del Teatro Sociale di Roma, sostenuto all’epoca dalla Provincia, oggi dalla Regione (e sempre dedicato a Stefano Cucchi, a proposito di “soliti reclusi“…). Ma a proposito di emozioni, sono state centinaia le persone che si sono emozionate con un semplice spettacolo di fine corso. A quanti sarà mai capitato? Il corso in questione si chiama “Teatroterapia innovativa” ideato dal Teatro Patologico di Roma in collaborazione con l’Università Tor Vergata, lo spettacolo si intitola Il viaggio di Alice e gli attori sono pazienti psichiatrici che così si sono laureati. Un’opera degna di Lewis Carroll, preparata in poco più di due mesi, e con tutti i crismi – musica, scenografie, costumi, ingegni tecnici semplici ma di grande effetto. Una vera follia!
E’ proprio questa la sede del Teatro Patologico, un palco ideale per uno “spettacolo in cinque quadri”, già ideato in modo diverso e sconfinato rispetto all’ordinario, coinvolgendo anche gli spazi intorno, dalle stanze al giardino, come veri e propri mondi stra-ordinari. Per l’adattamento e la regia di Riccardo Ballerini e Francesco Giuffré, semplice e breve, ma estremamente fedele e dritta al punto. Mai spettacolo è stato meno noioso, non foss’altro perché ti fa alzare, e cioè muovere, e cioè cambiare prospettiva. Uno degli insegnamenti fondamentali di Alice che, come una piccola musa, letteralmente ci accompagna per mano nel suo viaggio tra suoi incontri emblematici, dal Brucaliffo al Cappellaio Matto, dal nero al rosso, dal piccolo al grande.
“Il viaggio di Alice è un lavoro che mi è piaciuto personalmente”, confessa il direttore del Teatro Patologico Dario D’Ambrosi. E poi chi l’ha detto che gli attori più bravi sono solo i professionisti? È chiaramente uno stereotipo che ha la sua logica, ma talvolta in nome del professionismo si dimentica dell’espressività delle persone. E ripenso a tanti vecchi film che sono stati grandi anche grazie ai loro “attori del popolo”. L’espressività è molto più vera ed è perfetta per un personaggio come Alice che, cambiando sempre, giustamente cambia anche le sue attrici che devono interpretarla! Sono ben tre, una più intensa dell’altra e ognuna con i suoi “viaggi”. C’è la prima, dal sorriso dolce ed enigmatico, la seconda con lo sguardo da bambina forte e ostinata, fino alla terza impudente e divertita. Tutte e tre sono Alice, perché Alice stessa afferma che “sono cambiata così tante volte che non so più chi sono”. E nel libro aggiungeva: “non chiedetemi di ieri, ero una persona diversa allora”.
Col Teatro patologico infatti, “l’adattamento” non è solo nel testo, “c’è stato un interessante lavoro di adattamento tra patologie e personaggi, cioè capire il potenziale o non potenziale dei ragazzi, a seconda delle loro nozioni e possibilità emotive”. Da qui l’assegnazione del personaggio che in questo modo risulta particolarmente adatto nel percorso di analisi, crescita e consapevolezza della specifica persona. Qui non si decide di reprimere le follie, al contrario si esorta a tirarle fuori, eventualmente esagerarle, per poterle così usare e manipolare. Per poterle vedere e riconoscere. In una parola, gestirle. “La prima Alice che appare durante lo spettacolo ha una grave forma di autismo”, continua D’Ambrosi, “all’inizio era completamente catatonica, non guardava in faccia nessuno, invece a piccoli passi, ma in poco tempo, l’avete vista anche voi com’era”. Bellissima. Lo sguardo alto sul pubblico. Un’espressione e un sorriso furbetto sul viso che trasmettevano delicatezza e curiosità. In una parola, Alice!
“Anche la Regina di Cuori è stata una grandissima sorpresa. Anche lei inizialmente poteva sembrare preoccupante, non voleva fare niente. Poi un giorno venne un grande coach”, Mario Pizzuti (tra gli altri segue Penelope Cruz in persona), “e le fece molti complimenti, chiedendole se fosse un’attrice professionista”. Il che mi rende particolarmente felice e orgogliosa. Perché la Regina di Cuori, oltre ad aver interpretato anche il Brucaliffo, la conosco bene. E fin da adolescente rivelò una grandissima capacità attoriale – la ricordo ancora a teatro quando con la sua piccola compagnia interpretava una ragazza cieca: nessun attore professionista che ho visto, prima o dopo, nella parte di un non vedente riuscì a essere così credibile come ci riuscì lei. Poi stette male e come tanti altri anche più “sani” si è ritirata dai suoi talenti. Ora spero che questo sia il suo nuovo battesimo. Come concludeva lo Stregatto non conviene avere paura di noi stessi e degli altri, è solo controproducente, piuttosto “incontriamo la follia e prendiamola per mano”.