Il gelato affonda le sue radici nel mistero, come spesso accade a tutte quelle cose che, con qualche variante, si sviluppano parallelamente nei più disparati luoghi del mondo.
Vuole la leggenda che a realizzare il primo gelato in senso stretto sia stato il fiorentino Bernardo Buontalenti, in occasione della visita del re di Spagna Carlo V presso la corte dei Medici. Era il lontano 1559, da lì a diventare una vera e propria istituzione gastronomica ne sarebbe trascorsa di strada.
Ma, come detto, la refrigerazione e conservazione dei dolci era già nota a varie popolazioni, da millenni. Dall’Egitto al Giappone, dalle Ande all’Anatolia passando per l’antica Roma, ghiaccio e neve venivano “conditi” con latte, frutta o miele.
La diffusione e circolazione della ricetta del gelato inizia comunque nel Rinascimento, quando sono effettivamente i Medici a esportarne verso la Francia. È a Parigi che a metà del Settecento apre la prima gelateria, il Café Procope, del palermitano Francesco Procopio. Pochi anni dopo un altro italiano espatriato, Filippo Lenzi, fa lo stesso ma negli Stati Uniti.
Come succede spesso, la fama oltreoceano si trasforma in fama mondiale e c’è un progresso anche nella tecnologia. Si deve a Nancy Johnson l’invenzione della prima macchina a manovella, perfezionata con un sistema meccanico nel giro di pochi anni da William Young.
A inizio Novecento nasce il primo cono, sempre opera di un italiano emigrato. La disputa in materia è tra Italo Marchioni di New York e il britannico di adozione Antonio Valvona. Nel 1920 è la volta del primo caratteristico furgoncino che resta tuttora un’icona per tutti i nipoti di zio Sam, grandi e piccini. Il padre è Harry Burt di Youngstown, Ohio.
Gli Stati Uniti hanno sicuramente i grandi numeri, ma per quanto riguarda il culto del gelato devono giocarsela con molti altri – tolta l’Italia, che sta a un altro livello rispetto tutti quanti: solo per rendere l’idea al 2016 delle 60 mila gelaterie europee, 39 mila sono nello Stivale. Cuba è agli antipodi degli Stati Uniti praticamente su tutto, tranne che per l’apprezzamento di dolci freschi e cremosi.
Fidel Castro era il primo sostenitore del gelato, tanto da farsi spedire il prodotto dal Canada per aggirare l’embargo imposto da Washington. Quasi un tallone d’Achille, già che si narra che addirittura la CIA pensasse all’avvelenamento proprio dei suoi dessert preferiti.
Il líder máximo vuole superare i nemici storici per qualità dei gelati e decide di investire fortemente nella produzione. Per farlo bisogna implementare l’industria casearia e allo scopo il governo importa migliaia di bovini dal Canada, mischiati alle razze locali per ottenere una specie in grado di sopportare il clima dell’isola. Nasce l’incrocio Ubre Blanca, che nel 1982 va dritto nel libro dei record per quantità di latte, ben 110 litri al giorno. Ma non tutti gli esemplari sono così e i successivi esperimenti sono alquanto fallimentari.
Il simbolo del gelato castrista è il Coppelia, progettato dall’architetto Mario Girona senza badare a spese. Il locale è pensato per accogliere fino a mille clienti, in modo da coprire buona parte del fabbisogno, grazie anche all’ampia varietà di gusti.
Si dice che la storia della Cuba comunista si rifletta su quella del gelato – o viceversa? Il declino sovietico è il declino delle importazioni di latte, così l’alternativa è produrre con l’acqua. Inoltre viene introdotta la doppia moneta, una per cubani e una per turisti, c’è la doppia fila al Coppelia con tanto di trattamento differenziato, privilegiato per gli stranieri. Ma sembra che alla gente del luogo in fondo non dispiaccia aspettare anche ore per la ricompensa, la cosiddetta ensalada da ben cinque gusti e quindici palline. Narrano gli autoctoni che per ingannare l’attesa si lascino le scarpe a far la fila in loro vece…
A confermare questa teoria del legame a doppio filo, anche la combinazione del decadimento di Fidel e del Coppelia, che ha perso in quantità e qualità degli ingredienti. In contemporanea la Nestlé guadagna consensi soprattutto tra i giovanissimi.
Ma può un gelato migliorare i rapporti e diminuire la tensione tra popoli? Ovviamente no, ma qualche piccola eccezione forse c’è. Tanti israeliani sfidano il divieto di oltrepassare il confine con la Cisgiordania solo per gustare il particolare prodotto di una gelateria di Ramallah, la Rukab, dove dagli anni ’40 si può trovare una crema filante. Si chiama dondurma, di origine turca, realizzata con il mastice o gomma arabica.
Un po’ come a Cuba, è però difficile scindere tutto dalla politica, dalle tensioni nell’area o dalle decisioni internazionali. Più la situazione precipita, peggio vanno gli affari, del resto sarebbe assurdo il contrario.
L’idea del gelato per andare oltre le differenze – tema ricorrente nelle arti, sport o gastronomia – è venuta anche alle Officine del Sapore, che hanno organizzato a Roma il Gelato World Heritage, utilizzando questo dessert come simbolo di pace e di scambio interculturale. A vincere la prima edizione, il gusto burro d’arachidi degli Stati Uniti. Per la pace nel mondo invece bisogna aspettare ancora un po’.