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Studenti-atleti, lo sfruttamento nel basket NCAA

… [continua dalla scorsa settimana] Una delle situazioni più criticate nello sport riguarda la gestione (o meglio, sfruttamento dei cosiddetti studenti-atleti) del basket statunitense da parte della NCAA (National Collegiate Athletic Association), l’associazione a cui, praticamente da sempre, fa capo lo sport universitario a stelle e strisce.

Bisogna puntualizzare. Anche se solo anticamera del professionismo, la pallacanestro universitaria ha numeri che escono dalla logica di tutti i Paesi che non siano gli Stati Uniti. Un torneo, diciamo di calcio per il livello di popolarità, con Sapienza, Bocconi, Politecnico, Federico II e/o tutte gli altri atenei pubblici e privati difficilmente terrebbe incollati allo schermo milioni di spettatori per un mese.

Al contrario il March Madness, il campionato di pallacanestro organizzato dalla NCAA, è uno degli eventi dell’anno di sport. Nel 2018 è andato in onda in praticamente tutto il mondo, +28% di spettatori rispetto all’anno precedente, 70 milioni di reazioni sui social, una stima di 135 milioni di dollari di introiti per San Antonio, la città che ha ospitato le final four (semifinali e finale). Mentre la NCAA, per la prima volta nella stagione 2016-17, ha sfondato il tetto del miliardo di rendita, quasi esclusivamente grazie al basket (761 milioni di dollari).

Mark Emmert, presidente della NCAA

Ma di questi gli atleti non vedono un centesimo, a parte i soldi per la retta del college. Non percepiscono neanche i diritti di immagine, eppure sono quelli grazie a cui il campionato si regge. Peggio del calcio femminile, dove almeno al dilettantismo delle maggior parte delle ragazze non si accompagnano guadagni stratosferici per i club di appartenenza. E a queste, per quanto poco rispetto ai colleghi maschi, qualcosa in tasca da spendere resta.

La storia della NCAA è lontano dall’essere limpida. Già nel 1930 l’associazione fu indagata, attraverso il rapporto Savage, per eventuali irregolarità sullo sfruttamento economico e l’incuria nei confronti della salute degli atleti. Ci sono sempre state ombre insomma, emerse a intervalli regolari, anche se alla fine non è cambiato molto, non a livello sostanziale almeno.

L’ultimo scandalo in ordine temporale, stagione 2017-18, ha visto investigare nientemeno che l’FBI. I federali hanno smascherato un sistema di reclutamento alimentato dalla corruzione, finalizzata al portare gli studenti-atleti presso l’agenzia ASM Sports, che ne avrebbe curato il passaggio verso il professionismo. Parallelamente si è scoperto che il direttore esecutivo del marketing per Adidas esercitava pressioni affinché i giocatori vestissero quel marchio e che molti atleti ricevevano compensi in nero per i trasferimenti.

fbi corruzione basket ncaa
L’FBI spiega il giro di corruzione legato al basket universitario NCAA

L’immagine della NCAA ha subito un ulteriore colpo e le critiche sono arrivate persino dall’ex presidente Barack Obama che, come noto, è un grande sostenitore della pallacanestro a tutti i livelli. Per Obama bisogna distinguere la carriera studentesca da quella atletica, organizzando leghe apposite – come poi avviene nel resto del mondo e negli altri sport statunitensi.

Tanti addetti ai lavori sono ormai apertamente schierati contro la NCAA, dal campione LeBron James al commentatore sportivo Jay Williams, che invita al boicottaggio del March Madness, fino all’allenatore John Calipari, che auspica a questo punto l’introduzione di ingaggi per gli atleti, magari con delle restrizioni, limiti o l’affidamento della gestione economica alle famiglie.

Anche perché la natura dilettantistica è venuta meno da tempo. Sia perché lo studio universitario rimane spesso subordinato al lato sportivo, sia per il giro di affari in costante aumento, a cui però non corrisponde un adeguamento per gli “operai”, cioè quelli che fanno il lavoro sul campo.

Dal canto suo, la NCAA ovviamente si difende. Il presidente Mark Emmert ha riconosciuto alcune falle, ma sostiene che in fondo le regole vengono rispettate e chi non lo fa deve essere allontanato. Anzi, la NCAA sarebbe in prima linea nel combattere la corruzione che le si è creata intorno, istituendo una commissione indipendente di indagine.

Coach Mike Krzyzewski. della Duke University, il più pagato del campionato di basket NCAA

Ma il problema resta strutturale, al di là dei singoli scandali. Ovvero, il giro di denaro da cui i giocatori sono legalmente esclusi. Abbiamo visto come tra sponsor, diritti TV, botteghino (non parliamo di 20 euro in curva per la serie A, per una finale sono cifre a tre zeri) merchandising si sfiori il miliardo di introiti, di cui ne beneficiano solo NCAA, università e allenatori, che arrivano a vertiginosi ingaggi multimilionari come i quasi 9 milioni annui per Mike Krzyzewski, della Duke University, il più pagato di tutti. Nell’indotto si aggiungono vari extra, tra viaggi, case e convenzioni varie.

Altro episodio che negli Stati Uniti ha fatto parlare tantissimo è stato l’infortunio di Zion Williamson della Duke durante la partita con North Carolina. Niente di grave, per fortuna, ma tante considerazioni.

Williamson ha preso solo una storta, nel fare perno ha sfondato una scarpa ed è caduto male. La calzatura in questione era della Nike, che si è precipitata a difendere la qualità dei suoi prodotti, ma non è tanto questo il punto. Williamson, in quanto dilettante, non può prendere soldi dalla multinazionale, che invece paga profumatamente le università. Per esempio, irrora le casse del college della North Carolina con 9 milioni l’anno per dieci anni di contratto.

In più, qualora l’infortunio fosse stato serio e non roba di poche settimane, Williamson si sarebbe bruciato la carriera per nulla, se non arricchire qualcun altro.

L’infortunio di Zion Williamson con rottura della scarpa Nike che ha fatto discutere sui contratti tra multinazionali e università, che escludono gli atleti

Da più parti si chiedono riforme: togliere il passaggio obbligato dal college per i giocatori (recentemente introdotto), che a quel punto avrebbero bisogno solo di un anno di pausa dopo le scuole superiori; tagliare fuori intermediari come la NCAA, magari spingendo gli atleti a farsi le ossa in Europa – da dove l’NBA attinge quando fiuta il campione – oppure creando le leghe di categorie inferiori di cui sopra.

L’idea di dilettantismo fu concepita insieme allo sport stesso. Nell’antica Grecia le Olimpiadi erano una questione di onore e appartenenza, non di soldi. La stessa idea di fondo di Pierre de Coubertin, che osteggiava il professionismo in quanto mercificazione del corpo e pensò alle Olimpiadi moderne come kermesse internazionale amatoriale.

Che si sia d’accordo o meno, le cose sono andate diversamente, sarà stato l’avvento di una società più specializzata o dei media che hanno aumentato il peso dell’intrattenimento, anche sportivo, per popolarità. Purtroppo sono rimaste delle zone d’ombra, delle ambiguità, che con problematiche diverse hanno investito più discipline, dal calcio femminile agli studenti-atleti del basket universitario. Ma intanto lo spettacolo deve andare avanti.

 


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