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Riti di passaggio, come guadagnare l’età adulta

Diventare grandi è certamente un processo graduale, ma per convenzione si è sempre cercato di stabilire un momento ben preciso in cui avvenisse la trasformazione da ragazzino/ragazzina a membro che contribuisce alla comunità – anche solo attraverso la propria fertilità. Così in tutti i tempi, luoghi (e laghi) i popoli organizzavano celebrazioni pubbliche che sancissero la crescita dell’individuo, denominate dall’antropologo francese Arnold van Gennepriti di passaggio”.

Nelle società preindustriali si trattava di dimostrazioni di forza, coraggio e resistenza al dolore, soprattutto per i maschi. Si andava dai tatuaggi – lo scalpelletto artigianale deve essere stato molto più difficile da sopportare delle macchinette – a cimenti di varia durata. Del resto, per quasi tutti i membri di queste popolazioni non c’erano né meccanizzazione né lavoro d’ufficio o intellettuale: che si fosse agricoltori, cacciatori o guerrieri, serviva più potenza muscolare che cerebrale. E in ottica poco più che animale di conservazione della specie, solo quelli con i geni migliori avevano possibilità di accoppiamento.

Molti popoli come gli ndembu, del gruppo bantu, in Zambia, raggruppavano bambini/adolescenti e li portavano nella foresta. Al loro ritorno (eventuale) dopo un certo lasso di tempo, segno evidente della capacità di cavarsela nelle difficoltà, ci sarebbero state grandi feste nel villaggio.

Arnold va Gennep, antropologo francese studioso e inventore del termine “riti di passaggio”

Anche diverse polis dell’antica Grecia prevedevano l’allontanamento collettivo dai centri abitati prima dell’ingresso ufficiale nell’età adulta, con gli oneri e gli onori che ne conseguivano. Tratto comune in più regioni elleniche era mascherarsi da donne. Secondo storici come Mark William Padilla era un’associazione dell’infanzia alla femminilità. Crescendo, dunque, si sarebbero smessi quei panni.

Nella maggior parte dei casi le prove avevano (in qualche caso hanno ancora) carattere estremo. I sateré mawé, che vivono nel nord del Brasile e producevano guaranà prima che fosse mainstream, resistono finché possono alla modernizzazione del Paese. A quelle latitudini non si può essere considerati veri uomini senza aver prima messo una mano in un guanto pieno di formiche proiettile, molto aggressive e velenose, tanto che il dolore non passa prima di ventiquattr’ore. Non ci si può lamentare né piangere, chiaramente.

Sempre meglio che infilarsi dei tubi in gola e farli uscire dal naso, come i matausa della Papua Nuova Guinea, peraltro per i motivi sbagliati. Questo metodo serve a far uscire sangue e muco per purificarsi, già che le donne sono impure per natura e di riflesso lo sono anche i suoi figli maschi.

Stesso concetto di fondo dei sambia, sempre in Nuova Guinea. Essendo le donne impure, i giovanissimi vengono tolti alla madre a 7 anni per vivere una decina d’anni con gli altri uomini. Qui gli vengono indotti sanguinamento dalla pelle e dal naso, vomito e diarrea con l’ingestione forzata di canna da zucchero e poi il tocco di classe: l’assunzione di sperma, che conferisce quel vigore tipicamente maschile (e per niente omosessuale!).

Ragazzo sateré mawé infila la mano nel guanto pieno di formiche proiettile, aggressive e velenose. Per completare il rito di passaggio, il futuro adulto non deve lamentarsi o piangere

Rimanendo in ambito “impurità femminile”, che poi sarebbero banalmente le mestruazioni, i ticuna (o tucuna) dell’Amazzonia isolano le ragazze per qualche settimana all’arrivo del primo ciclo, relegandole in luoghi della casa appositamente costruiti. Qui dovrebbero fare la conoscenza del demone Noo, da cui vengono protette grazie alla pittura nera su tutto il corpo. Superata la prova, via alla festa in cui alla ragazzina viene regalata una lancia scacciademoni. E finalmente sarà adulta.

I riti di passaggio femminili ci sono giunti in maniera minore, anche perché spesso il ruolo delle donne non si discostava da quello procreativo. Ma oltre ci sono eccezioni. Come gli okrika, in Nigeria, che mettevano le future donne all’ingrasso, insegnandole dei canti. Grazie a questo allenamento e all’intervento di un’anziana esperta erano liberate dal rischio di rimanere legate agli spiriti dell’acqua.

Diverse dalle numerose prove di forza, coraggio e resistenza, ci sono le esperienze psicotrope. Quella dei mati, in Brasile, a dire il vero unisce paura, delirio e tanta violenza. Prima gli veniva applicato del veleno sugli occhi, poi si passava alle bastonate, in chiusura venivano sparati con una cerbottana dardi intrisi di veleno di anfibi locali. Il tutto generava allucinazioni, tremore e diarrea.

Tra i matausa della Nuova Guinea c’è la convinzione che le donne siano impure e di conseguenza lo siano anche i loro figli maschi. Che come rito di passaggio all’età adulta si purificano espellendo sangue e muco con un complesso sistema di tubi

Gli algonchini, ormai circoscritti alle riserve per i nativi in Canada, avevano la geniale di idea di celebrare il passaggio all’età adulta con il wysoccan, allucinogeno che fa sembrare l’lsd gazzosa. La giusta quantità è quella che ti fa dimenticare ogni ricordo d’infanzia, sono stati registrati casi di individui che hanno addirittura smesso di parlare. Il mistero è come abbiano fatto a perpetuare dei riti che contemplano la perdita di memoria…

Con le religioni più strutturate i riti di passaggio hanno perso molto del potenziale, rimanendo sul simbolico. I sikh ad esempio si limitano a leggere l’Adi Granth, il loro libro sacro in cui sono esplicati i principi del culto, bere un’acqua zuccherata mescolata col tipico pugnale che poi sarà versata anche su capelli e occhi. Dopo questa iniziazione arrivano i divieti da “adulti”: non mangiare carne halal (cioè dei musulmani), non fumare, non intossicarsi, non tradire il coniuge. Gli ebrei leggono passi di torah nel giorno del bar mitzvah o bat mitzvah a seconda che si sia maschi tredicenni o femmine dodicenni.

Raffigurazione di algonchini che stanno per assumere wysoccan come rito di passaggio: questo allucinogeno in massicce dosi fa dimenticare i ricordi passati

Nelle società occidentali odierne, a parte l’eventuale cresima o i rarissimi balli delle debuttanti e dei cadetti, la differenza la fa la legge. A 18 anni si vota, si guida, si possono regolarmente comprare alcolici o sigarette, ci si assume responsabilità legale, anche se di fatto la vita non cambia così tanto da un giorno all’altro. Non è tutto sincronizzato invece negli Stati Uniti, dove la maggiore età è 16 anni (sweet sixteen party) per guidare e, a seconda degli Stati, per comprare un’arma, ma bisogna aspettare altri cinque anni per una birra.

Misto tra cresima (per età e celebrazione in chiesa), matrimonio (per abbigliamento e presenza di un bouquet), ballo delle debuttanti (ma più popolare e incentrata su una persona) e festa dei diciott’anni (per l’età “matura”) è la quinceañera, celebrata in Messico e in molti Paesi dell’America centromeridionale, esclusivo appannaggio delle ragazze quindicenni (come dice il nome). Simbolicamente la neo-entrata in società porta spesso una bambola, da cedere alla sorella minore – qualora ci sia.

Le società attuali stigmatizzano gli antichi riti di passaggio, sia per le credenze di fondo ormai superate (demoni, spiriti, impurità delle donne) che, soprattutto, per la pericolosità di alcuni di questi.

Quinceanera in tutta la sua sobrietà. Il tipico rito di passaggio all’età adulta delle ragazze del Messico e altri Paesi latinoamericani

Ma il retaggio sopravviverebbe in qualche individuo: secondo studiosi come lo psichiatra Vittorino Andreoli lo stimolo che spinge qualche adolescente a dimostrare sprezzo del pericolo in modi che spesso finiscono in televisione o sui giornali – al confine tra realtà e leggende metropolitane – risponde agli stessi meccanismi ancestrali.

Con la differenza che prima c’era l’imposizione sociale e ora manca il riconoscimento esterno, il ruolo, il senso di appartenenza e identificazione, il protagonismo che se non trovato in sé stessi poteva venire solo dai riti di passaggio.

 


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