C’era una volta la vita poco prima di internet e cellulare. Non è una storia antica, anche se già sembra successo tantissimo tempo fa. La forte accelerazione tecnologica nel passaggio dal Novecento al Duemila rende tutto velocemente obsoleto, compreso il nostro modo di vivere di pochi anni fa. Nel frattempo perdiamo i testimoni di “quelle vite”: quando questo succede si rischia di dimenticare guerre e ingiustizie, ma anche il “come si viveva” rimasto impresso nelle ultime persone che hanno vissuto senza internet, computer e cellulari, almeno per qualche anno. Non a caso sono anche gli unici a dimostrarsi (spesso) in grado di saper gestire “il nuovo” con più consapevolezza. L’ultima generazione che ha avuto questa fortuna è quella degli anni ’80, che è anche la mia, poiché a quei tempi, dopo decenni di ricerche già partite negli anni ’60, la storia di internet per le masse era appena cominciata…
Tutto iniziò proprio nel 1981, quando il primo personal computer (PC) fu messo in commercio. Due anni dopo, nel 1983, è la volta del primo cellulare. Infine il World Wide Web disponibile per tutti a partire dal 1995, dopo essere stato utilizzato esclusivamente in ambito militare. A quel punto la grande rivoluzione tecnologica di fine Novecento era ormai completa di tutti i suoi principali protagonisti, incalzata nella sua veloce e inesorabile innovazione e diffusione in tutto il mondo. Da allora brand, modelli, motori di ricerca, browser e software si sono moltiplicati.
Ma in tutta questa corsa tecnologica, dove non si fa altro che esaltare il bello delle nuove tecnologie, che indubbiamente esiste, c’è però poi qualcuno che si sofferma un attimo su quanto queste stanno cambiando i nostri modi e tempi di rapportarci l’un l’altro? Come al solito posso riportare solo la mia esperienza, ma di sicuro…
…negli anni ’80 eri ancora completamente immerso nella tua vita. Il quartiere, gli amici, la famiglia. Poi c’erano i Tg e i giornali a darti conto di quello che succedeva nel resto della città, della nazione, del mondo. Quando dovevi uscire per andare da qualche parte, invece di aprire Google Maps prendevi lo “Stradario” per capire dove e come arrivarci. Andando a intuizione e vera e propria “tradizione orale”, per quanto riguardava il percorso da fare coi mezzi pubblici. Lo Stradario era uno dei tre oggetti fondamentali presenti in una casa degli anni ’80 insieme alle Pagine Gialle (per gli esercizi commerciali) e le Pagine Bianche (per tutti i numeri di telefono). Quest’ultime ancora distribuite, ma chi le apre più ormai? Però era proprio sfogliando quel librone che si scovavano nomi e cognomi meravigliosi svoltando i pomeriggi a casa senza compiti.
In alternativa c’erano i citofoni, ma anche in questo campo il digitale sta sostituendo l’analogico, e contro-intuitivamente proprio in nome della privacy, la malattia dei Duemila. Gli stessi citofoni che suonavano spesso, perché spesso la gente provava a cercarti di persona. Quando ti davi un appuntamento poi, quello doveva essere, cascasse il mondo, niente buche (a meno che non eri morto) o aggiornamenti improvvisi come oggi permette un Whatsapp. Perché al massimo c’erano le cabine telefoniche, che al massimo ti permettevano di chiamare solo “i fissi”, sperando poi di trovare chi cercavi. Soprattutto ci si vedeva sempre in carne e ossa e si faceva qualcosa per forza, invece di ripiegare, spesso per pigrizia o semplice tentazione tecnologica (che comunque spesso pigrizia provoca), su chattate o telefonate lunghe delle ore. O continui aggiornamenti di profilo, che magari senza volerlo tentano di sopperire a una nostra “vera” presenza.
Soprattutto, quando uscivi di casa eri solo. Solo nel mondo. Anonimo. Invisibile. Una bella sensazione a dir la verità, che oggi è andata completamente persa. Libero da telefonate, posizioni geografiche, obiettivi, notifiche più o meno invadenti e quant’altro. Di conseguenza, quando uscivi eri estremamente presente a te stesso, guardavi il mondo e basta, e pure con una certa attenzione, perché nessuna Maps ti avrebbe “salvato” se non sapevi dov’eri. Però c’era – e ci sarebbe ancora – gente ad aiutarti, a darti delle indicazioni o dei consigli. Il massimo dell’isolamento erano le cuffiette del “walkman” o del lettore cd, con in borsa un giornale magari, o un libro o un fumetto.
Talvolta ho l’impressione che anche i ricordi del passato fossero diversi, più vividi e complessi. Dopo l’avvento di queste tecnologie, spesso a ripercorrere i giorni recenti, in mente rimangono poche “azioni concrete” e molti schermi. Cosa che per forza di cose, allenta la memoria, non solo perché ora c’è il dispositivo a ricordare per te, ma anche perché passiamo molto più tempo a contatto con schermi che con cose “reali”, agganci di memoria molto più efficaci di cellulari, tablet, computer, tv… ogni giorno della vita sta diventando un passaggio (quasi schematico) da uno schermo all’altro. Schermatico: mattina, ufficio, computer; tutto il giorno cellulare; pomeriggio un po’ di tablet, magari una console giochi; sera tv o computer di nuovo. La mattina dopo: si ricomincia da capo.
Anche le frequentazioni dal vivo sembrano calate inesorabilmente, dice che è la vecchiaia, sicuramente anche quella influisce, ma è soprattutto la comodità di usare il cellulare invece di vedersi, che ci giustifica sempre nella “prossima volta”. Reiterando virtualmente ogni possibile evento, perché tanto “ci si aggiorna domani”. Col telefono di casa si era molto ligi agli appuntamenti, anche perché non eri mica così pazzo che ti mettevi a richiamare tutti. Oggi invece ci si dice: “massì intanto comunque ci siamo sentiti”, il contatto c’è stato. Eppure non vedo cosa si possa costruire attraverso telefonate chilometriche – tanto valeva vedersi al bar -, messaggini buttati là ogni tanto, condivisioni di post a caso, messaggi vocali egoici, emoticon e cuoricini. Tutti noi produciamo anche questo, perché il cellulare ci dà anche queste “opportunità”. Non so voi, ma io ho varie chat con diversi gruppi di amici, in cui per lo più ci si manda stronzate, e poi magari all’idea di vedersi o fare qualcosa… neanche ci si risponde. A che serve questo? A me personalmente non mi dà niente. I rapporti si costruiscono facendo cose insieme. O perlomeno usando questi mezzi per quello per cui sono stati pensati: comunicare.
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