Ai gemelli venivano storicamente attribuite capacità sovrannaturali, nel bene o nel male. I parti gemellari erano difficilmente comprensibili con le nozioni di migliaia di anni fa, per cui si doveva sicuramente trattare di fenomeni che preannunciavano eventi infausti o, all’opposto, favorevoli. In ogni caso qualcosa fuori dall’ordinario.
Se la tradizione classica a noi più nota annoverava Romolo e Remo o Castore e Polluce, anche altrove i gemelli godevano di uno status elevato, divinizzato.
In India gli Ashvin, Vivasvat e Saranyu, controllavano l’alternanza fra giorno e notte; in Egitto Shu e Tefnut erano addetti niente meno che all’aria e all’acqua, da loro nacquero altre coppie di gemelli tra cui Iside e Osiride (agricoltura). Nell’America nord-occidentale (odierne Alaska e Columbia Britannica), i tsimshian credevano che i gemelli avessero poteri meteorologici. Ma era così un po’ ovunque nel mondo, dallo Sri Lanka al nord Europa, dall’America alla Persia.
Altri avevano una visione antitetica. Sempre nel nord America che dà sul pacifico, i tlinghit uccidevano i neonati o solo quello meno robusto – a parità di peso, ovviamente, la femmina; intorno allo stretto di Puget i genitori di gemelli venivano banditi dai centri abitati finché almeno uno dei pargoli non fosse morto; i kwakiutl invece impedivano ai genitori di lavorare, cosa che di fatto obbligava i più poveri a uccidere subito i figli. Punizioni comuni a diverse popolazioni del pianeta, dal sud-est asiatico all’Amazzonia, tutte convinte che i gemelli fossero forieri dei dardi dell’avversa fortuna, per dirla alla Shakespeare.
L’incidenza media dei parti gemellari è di circa l’1% a livello mondiale. Ma ci sono molte eccezioni. Linha São Pedro, piccolo villaggio in Brasile, raggiunge addirittura il 10%, tanto da aver alimentato voci al limite del complottismo (forse oltre) che chiamavano in causa esperimenti nazisti. Kodinji e Mohammadpur Umri, in India, raggiungono il 4,5%, stessa percentuale di Igbo-Ora, in Nigeria, che si è guadagnata l’appellativo di città dei gemelli, con tanto di cartello di benvenuto.
Le popolazioni yoruba, nel sud-est della Nigeria, sembrano avere una predisposizione genetica aiutata da una dieta particolare, a base di igname o dioscorea, un tubero ricco di estrogeni che facilita l’ovulazione. Nonostante, statisticamente, ci siano più gemelli a Linha São Pedro, è a Igbo-Ora che si svolge l’annuale festival dei gemelli, orgoglio locale.
Anzi, vero e proprio culto. Quando un gemello moriva in giovane età, gli yoruba dedicavano delle statuette votive chiamate ibeji, raffiguranti fedelmente il defunto, con tanto di distinzione per lignaggio, ma su un corpo da adulto.
Si credeva che in qualche modo lo spirito sopravvivesse dentro la piccola scultura che quindi, dopo degli specifici rituali con oli di palma e estratti di sandalo, veniva accudita come se si trattasse di un essere vivente. Sono retaggi ormai passati, ma non del tutto: resistono ancora degli ibeji realizzati però in materiali industriali.
Retaggi ottocenteschi, non antichi. Prima i gemelli erano una maledizione anche tra gli yoruba. Potevano seminare morte, soprattutto uccidere il genitore dello stesso sesso, erano posseduti da spiriti maligni e per questo dovevano essere eliminati. Tutto perché una nascita multipla veniva associata ai parti degli animali o a pratiche sessuali perverse.
Nel 1820 un decreto regio impedì l’infanticidio, ma il cambiamento fu soprattutto culturale, perché il più delle volte non basta una legge per sradicare credenze millenarie, non immediatamente almeno. Le prime statuette ibeji conosciute dal buon civilizzatore bianco risalgono già al 1854, acquisite dal British Museum.
Non si sa bene a cosa fosse dovuta questa svolta repentina – si dice alla protezione del dio del tuono Shango. Anche perché “ci sono due cose nella vita per cui non saremo mai preparati”, diceva l’umorista statunitense Josh Billings: “i gemelli”.