Il primo ad addentrarsi nella mente criminale con un tentativo di approccio scientifico è stato Cesare Lombroso, alla fine dell’Ottocento. Registrato all’anagrafe come Marco Ezechia, Lombroso è il teorico del “criminale per nascita”, che si distingue dall’occasionale, dall’abitudinario, dal passionale e dal pazzo.
Si tratta di studi decisamente superati, basati sugli stereotipi della fisiognomica e un tantino razzisti (i meridionali sarebbero stati più predisposti al crimine rispetto alle persone del nord Italia). Tuttavia Lombroso apre la strada a ricerche sistematiche e approfondite in materia, anzi in materie. La criminologia non può prescindere dall’interdisciplinarità, tra antropologia, psicologia, psichiatria, sociologia, neurologia, diritto penale e carcerario eccetera.
Dal pensiero lombrosiano si forma la corrente positivista, in contrapposizione alla classica, di derivazione illuminista. Il positivismo assume il principio di casualità come fondante: compiere il reato non è propriamente una scelta, è più una predisposizione naturale. I classicisti invece danno peso al contesto sociale e al libero arbitrio, esonerando per questo gli affetti da patologie psicologiche in quanto non precisamente in grado di conferire un valore morale o etico alle proprie azioni.
Queste dottrine influenzano anche l’idea di diritto penale, castigo, rieducazione, recidività. Se il positivismo riconosce una forza superiore a quella della mente dell’individuo, nulla può cambiare il corso degli eventi né può essere recuperato.
Tra le due correnti principali se ne formano anche di intermedie, che considerano fattori medici così come l’appartenenza a subculture. Negli anni Cinquanta del Novecento, Fontanesi&Ponti iniziano l’osservazione dei detenuti e nel 1966 realizzano una nuova classificazione basata questa volta sulla possibilità di recupero e non sulla potenzialità criminale del soggetto.
Secondo loro si possono riscontrare:
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individui antisociali, senza possibilità di risocializzazione, verso i quali nessun trattamento potrebbe dare risultati;
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individui che necessitano un trattamento specializzato secondo specifiche esigenze personali;
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individui re-inseribili in società senza particolari misure
A metà anni Ottanta Ferrando Mantovani pubblica Il problema della criminalità, dove si indicano cause individualistico-biologiche, psicogenetiche, psicosociali, sociologiche e sociologiche-causali (cioè legate a gruppi più prossimi all’individuo, come famiglia, scuola, amici e lavoro), più un indirizzo multifattoriale che può includere più cause.
La vera novità introdotta da Mantovani sta nella codificazione del criminale per ideologia. Secondo lui, concorrono più elementi: il materialismo utilitarista, che priva l’uomo della tridimensionalità spirituale per ridurlo a semplice “mezzo”; la crisi di valori del relativismo storicistico; il determinismo, che toglie libero arbitrio nelle azioni; l’avidità del consumismo; il libertarismo permissivo che non contempla autocontrollo.
Negli anni Novanta Carlo Cazzullo aggiorna la classificazione delle ragioni dietro il comportamento criminale: carenza affettiva; carenza di identificazione; identificazione in modelli anomali; immaturità emotivo-affettiva; reazione a situazioni conflittuali.
Quindi nel 2000 Vincenzo Mastronardi distingue tra:
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delinquenti professionali (che vivono dei proventi del crimine) e criminalità organizzata;
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delinquenti occasionali, socialmente integrati, che compiono reati di scarsa gravità;
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delinquenti in situazioni critiche, di disagio, che agiscono per bisogno;
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delinquenti per indisciplina sociale – corruzione e reati nella pubblica amministrazione;
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delinquenti per colpa e non per dolo, come gli incidenti stradali
Più o meno contemporaneamente agli studi di Lombroso nasce, un po’ in sordina, la figura del profiler – termine traducibile in italiano con “profilatore”, neologismo che sta prendendo piede e che indica chi esegue un’analisi investigativa per stabilire il profilo psicologico del criminale. Non solo tipizzazioni generali, ma lo studio del singolo caso.
Il lavoro non può avere valenza scientifica e oggettiva al 100% ma può risultare importante a seconda della competenza e delle intuizioni di chi lo svolge. Thomas Harris, autore del libro Il silenzio degli innocenti, si informa il più possibile alla facoltà di Scienze Comportamentali di Quantico prima di dare vita al personaggio Buffalo Bill, quello che si stava confezionando l’abito di pelle umana, più specificamente femminile.
Antesignano del profiler, esattamente un secolo prima del Silenzio degli innocenti, è Thomas Bond. Nel 1888 Londra è sconvolta dalla serie di omicidi perpetrati da Jack lo Squartatore. L’ultimo è particolarmente efferato, perché anziché in strada, la povera Mary Jane Kelly viene brutalizzata tra le mura domestiche e la scena del crimine è più atroce del solito. Jack ha tutto il tempo per dare sfogo a quella che dal suo punto di vista è probabilmente un’arte.
Bond è “solo” un anatomopatologo, ma per la prima volta si utilizza un nuovo metodo. Immedesimarsi, fare un viaggio nella mente del criminale osservando i dettagli e mettendo insieme i pezzi. Alcune conclusioni sono apparentemente più scontate: l’assassino avrebbe una forza fuori dal comune; l’asportazione dei genitali e il mestiere di prostituta delle vittime lasciano supporre attacchi di violenza collegati a una follia erotica; forse c’è affezione da satiriasi anche se non appaiono segni di violenza sessuale.
Bond capisce anche che la mano è unica, c’è “armonia” nel crimine, nel senso che ogni particolare lega con gli altri, nulla è lasciato al caso.
Secondo lui il colpevole è una persona tutto sommato insospettabile, se non altro perché riesce a passare inosservato in un periodo in cui, per via degli omicidi, c’è molto sospetto in strada, probabilmente ha un mantello per nascondere il sangue. Ma è al tempo stesso improbabile che nessuno, nella cerchia di amici e conoscenti, non si sia mai accorto di qualche stranezza, impossibile da nascondere tanto a lungo. Infine dev’essere un individuo agiato o con una rendita che gli permetta di non lavorare, o non passerebbe notti insonni.
Peccato solo che senza conoscere la vera identità di Jack non si sa quanto del profilo tracciato da Bond sia giusto o meno.
Rispetto a cento anni fa non cambia molto nella procedura, i presupposti d’analisi sono gli stessi. A patto che si svolgano indagini affidabili e che la scena del crimine non venga alterata con errori anche banali.
Letteratura e cinematografia ci hanno abituato troppo bene, nella realtà dei fatti è difficile tracciare profili tanto accurati o investigare senza errori, con la piena certezza scientifica o con le proverbiali 48 ore per risolvere un caso. Così si sono idealizzati profiler, detective e killer, seguendo il classico copione…