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Etica del suicidio nelle società

… [segue da “La condanna a morte per iniezione letale non è più ‘umana’”] Il giuramento di Ippocrate vieta la somministrazione di farmaci mortali o il loro suggerimento, anche se richiesto dal paziente. Eutanasia e suicidio assistito “aggirano” queste disposizioni perché trattamenti specifici destinati a casi in cui il recupero e la guarigione sono impossibili, dando dignità al trapasso.

Eutanasia e suicidio assistito

Eppure la questione etica è sempre viva, tanto che queste pratiche sono consentite solo in una minoranza di Paesi. L’eutanasia – somministrazione diretta del farmaco da parte del personale specializzato – è legale solo in Olanda, Belgio e Lussemburgo e occasionalmente in Colombia, su disposizioni della Corte Costituzionale.

Il suicidio assistito – il medico procura il farmaco al paziente – è legale in Svizzera e in parte degli Stati Uniti, tollerato in Germania e Svezia. Infine l’eutanasia passiva – l’interruzione delle cure – è ammessa anche da Canada, Australia, Messico, India, Ungheria, Spagna, Francia, Finlandia e Norvegia, con diverse modalità da Stato a Stato.

Biasimo sociale e normativo

maya dea del suicidio
Ixtab, la dea Maya del suicidio, nota anche come “signora della corda”

Il fine vita ha da sempre interessato i legislatori. Non solo per i casi ben definiti di malattie degenerative e condizioni irreversibili, come Eluana Englaro, Dj Fabo, Piergiorgio Welby e Luca Coscioni, solo per citare quelli che hanno avuto risalto mediatico e infiammato il dibattito italiano.

Anche il suicidio non dettato da circostanze mediche irrecuperabili è stato biasimato e considerato reato fino a relativamente non troppo tempo fa, con la secolarizzazione del XIX secolo. Gli ultimi ad adeguarsi sono stati Regno Unito e Irlanda, nel 1961 e 1993!

Vita come dono

Alla base c’è la concezione religiosa della vita come dono divino. E che fai, butti un regalo? Non è carino. Non è una prerogativa solo del cristianesimo o delle confessioni monoteiste (già, pure il Corano vieta i suicidi come gli omicidi), anche i culti orientali stigmatizzano il suicidio, ma senza un’effettiva condanna.

suicidio socrate
Jacques-Louis David, la morte di Socrate. Per Platone era uno dei pochi casi accettabili di suicidio, anche se obbligato da una sentenza

Nel buddhismo entra in gioco il karma, che influirebbe negativamente sul futuro, ma non è una lettura così univoca, ci sono delle deroghe. Altrimenti i bonzi tibetani che si sono dati fuoco per protestare contro l’occupazione cinese non l’avrebbero fatto. Nell’induismo si crede invece che l’anima del suicida vaghi sotto forma di fantasma finché non sopraggiunge la data di quella che sarebbe stata la morte naturale. Poteva andare peggio, insomma.

Culti che nobilitavano il suicidio

Le religioni più ancestrali davano maggiore nobiltà al suicidio. I vichinghi ammettevano nel Walhalla i trapassati di morte violenta, suicidi compresi. Tanto che le saghe norrene contemplano spesso storie di impiccati o autotrafitti con la spada. I Maya avevano una divinità, Ixtab o “signora della corda”, che accoglieva i suicidi nel loro esclusivo aldilà.

L’epoca faraonica dell’Egitto viene convenzionalmente fatta finire col suicidio di Cleopatra, che non può sopportare l’onta della cattura e consegna ai romani. Aspide o meno, darsi la morte era considerato senza dubbio più degno della sottomissione.

Greci e Romani

Non erano molto d’accordo i greci, che amputavano la destra del suicida e seppellivano il corpo al di fuori della polis. I pitagorici pensavano inoltre che il gesto contaminasse l’armonia corporea. Alcune fonti affermano però l’opposto, ovvero che Pitagora si sarebbe lasciato morire.

Manuel Dominguez Sanchez, Il suicidio di Seneca

Platone, pur contrario all’idea di suicidio in sé, acconsentiva l’atto se dettato da malattia, miseria o eroismo, come Socrate che bevve la cicuta – anche se era stato obbligato da una sentenza. Lo stoicismo invece accettava il suicidio come atto naturale e razionale e lo stesso Seneca terminerà la vita per mano propria.

I romani faranno propria la legittimità del suicidio, fin tanto che questo non recasse danno ai padroni di schiavi o al settore pubblico, per cui non era concesso ai militari o ai contribuenti. Nel Medioevo la parte relativa ai beni rimane essenziale, veniva infatti prevista la confisca degli stessi da parte del potere centrale.

Il Bushido

La cultura giapponese è stata certamente la più scrupolosa nel dare disposizioni dettagliate per il suicidio rituale. Il bushido, conosciuto anche come codice dei Samurai, ha dettato le regole comportamentali dei guerrieri fino al XIX secolo, quando la Restaurazione Meiji diede vita al Giappone moderno.

suicidio rituale giappone
Il Seppuku o Harakiri, suicidio rituale giapponese prescritto dal bushido, il codice guerriero in vigore fino a metà XIX secolo

Solo il Seppuku o Harakiri (non c’è sostanziale differenza se non di grafia e di ordine soggetto-complemento) con tutto il suo lungo cerimoniale poteva lavare il disonore delle sconfitte. La lama doveva penetrare rigorosamente nello stomaco, perché era lì che aveva sede l’anima, che così poteva così purificarsi. Le donne invece avevano il Jigai, dove il taglio era alla gola e non sul ventre.

Sociologia contemporanea

Nella sociologia contemporanea, lo studio più significativo è stato svolto da Émile Durkheim, che nel 1897 ha pubblicato Il Suicidio, ricerca scientifica che punta ad inserire una scelta individuale in un contesto sociale. Secondo i dati da lui raccolti, i suicidi aumentano in relazione a sconvolgimenti delle società, politici, economici o culturali.

Secondo Durkheim esistono tre tipi di suicidio, altruistico in nome di certi valori; egoistico, in virtù di esclusione e marginalizzazione; anomico, per insofferenza alle regole opprimenti di una società. La sua ricetta per la prevenzione del gesto sta nel senso di appartenenza e riappropriazione delle regole sociali.

Filosofia

Tipologie di suicidio nel lavoro del sociologo Durkheim, ricerca che punta a inserire un gesto privato nel contesto sociale

In filosofia (contemporanea) il tema è trattato su tutti da Arthur Schopenhauer. A differenza della fiducia nel progresso di positivismo, idealismo e marxismo, il filosofo tedesco anticipa l’anomia di Durkheim, riconoscendo in cambiamenti come la Rivoluzione Industriale la perdita di determinati punti di riferimento e la creazione di nuovi problemi – urbanizzazione selvaggia, degrado, lavoro minorile eccetera.

L’infelicità deriva così dall’appagamento mancato o solo temporaneo dei desideri, che finiscono col non soddisfare più la volontà personale. Secondo Schopenhauer ci si presenta una scelta etica – alla fine ruota sempre tutto intorno all’etica – tra accettazione e rinuncia della vita.

O, come disse il comico statunitense Bill Maher, “il suicidio è il modo che hanno gli uomini di dire a Dio: ‘non puoi licenziarmi, sono io che me ne vado!’”.

 


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