La canapa o cannabis è una pianta millenaria unica nel suo genere, sia in termini biologici sia per le innumerevoli applicazioni, mediche, tessili e industriali, che può fornire. L’uomo iniziò a scoprire presto queste sue enormi potenzialità, furono i soli interessi economici (di altri prodotti) a demonizzarla definitivamente a partire dal Novecento, riempiendo le persone di bugie, che solo oggi cominciano a essere contestate, svelando le antiche verità. Anche se l’ignoranza del proibizionismo è sempre dietro l’angolo…
È recentemente uscito in libreria un interessante libro di Matteo Gracis, “Canapa. Una storia incredibile” (Chinaski Edizioni) che, raccontando la sua storia in prima persona, da giovane consumatore a grande editore sul tema, svela una serie infinita, effettivamente incredibile, di stereotipi su una pianta innocua se non miracolosa, che ci sono stati inculcati dai piani alti, agli inizi del Novecento in circa trent’anni, e che ancora oggi fatichiamo a superare. La narrazione è davvero coinvolgente e sconvolgente, e rimandiamo al libro per ogni approfondimento. Ma a noi non poteva non colpire, rivelando storie mai sentite sul perché, per più di un secolo e ancora oggi, ci stiamo privando di una pianta che in ogni sua parte, dai semi al fusto, fiori e foglie, potrebbe praticamente salvare il Pianeta, dando un aiuto consistente sia in termini di lotta al cambiamento climatico, che alla diffusione della plastica, come elemento edile in grado di prevenire i danni irreparabili dei terremoti fino a sostituire i combustibili dannosi. Potrebbe anche dare un lavoro sano a milioni di persone.
Anzitutto cos’è. Una pianta dalle caratteristiche foglie a 7 punte che sopravvive sul Pianeta da 15mila anni, per le sue notevoli proprietà che la rendono dura e flessibile al tempo stesso, resistente a ogni clima e di poche pretese. Essa infatti è anche diffusa in ogni parte del mondo, dalle zone asiatiche e sub-tropicali dove nasce la qualità indica dal fusto alto fino a 6 metri; da quelle europee, africane e tropicali dove nasce una più piccola sativa; e infine la ruderalis, un vero e proprio cespuglio in grado di resistere ai climi rigidi di Russia e Cina.
Ma le proprietà della canapa non si esauriscono qui. Anzi sono appena iniziate. La canapa infatti è impareggiabile in natura anche per quello che può offrire all’uomo. Per altrettanti millenni è stata utilizzata come medicinale e rimedio spirituale, come fibra per carta e tessuti, combustibile (che ha il pregio di bruciare con una particolare lentezza) e materiale da costruzione. Utilizzi che oggi in alcuni Stati del mondo sono ancora o sono tornati a essere scontati, in altri si continua a combatterli. Veniva utilizzata già dagli Assiri per il dolore (compreso quello mestruale), i Romani per corde e vele, gli arabi già la utilizzavano come rimedio per l’epilessia, 5 secoli prima del nostro “Occidente”. In Cina dov’era presente nel testo fondativo della millenaria medicina cinese la parola “anestesia” si scrive ancora con due caratteri che indicano “intossicazione” e “cannabis”. In India, dove più è stata studiata e utilizzata avevano tre composti a seconda dell’utilizzo di foglie (il più leggero), fiori e resina (il più forte) che venivano somministrati a seconda di ciò che andava curato. Tre nomi famosi: bhang, ganja e charas.
Una volta che, tra il 1700 e il 1800, anche l’Occidente scoprì questa “Pianta Magica”, come spesso veniva chiamata, si può dire che a quei tempi la canapa era davvero amata e benvoluta ovunque, e soprattutto portava ricchezza senza dimenticare la qualità. Tanto che negli Stati Uniti si arrivava al paradosso: in alcuni stati infatti “a essere incarcerato non era chi coltivava, ma chi si rifiutava di farlo!” Il via vai delle navi dall’India si moltiplicava di anno in anno con infiorescenze che venivano trasformate in sciroppi e sigarette già rollate, dai nomi tipo “Miracle Elixir, sulle cui confezioni i cannabinoidi erano definiti il ‘rimedio istantaneo contro molte afflizioni‘”. Il terzo presidente americano Thomas Jefferson “nei suoi diari annotava:
‘Anche se la migliore Canapa e il migliore tabacco crescono sullo stesso tipo di terreno, la prima è necessaria al commercio e alla navigazione, in altre parole al benessere e alla protezione del paese, il secondo invece non è utile, anzi è addirittura dannoso. Il suo valore dipende dal semplice piacere e dalle imposte cui è soggetto. Ė vero che la Canapa necessita di più lavoro rispetto al tabacco, ma essa offre materie prime per ogni tipo di industria e può costituire un valido sostentamento per un considerevole numero di persone. Per questo in un paese molto popolato si deve scegliere la Canapa‘.”
Non a caso nel tempo si è guadagnata il soprannome di “maiale vegetale“, “poiché come per il suino, della canapa non si butta via niente”. Infatti, oltre a foglie e fiori utili ai preparati medici e ricreativi, dai semi si ricavava l’olio da bruciare nelle lampade per avere luce, e le farine per mangiare, mentre da fusto e corteccia si ricava ogni materiale e cellulosa adatti a creare ogni tipo di carta (molto più resistente di quella che conosciamo), fili e cordame e strutture per costruzioni. Il primo jeans Levi’s da lavoro aveva le tasca cucite in canapa, l’unica “capace di non cedere sotto il peso delle pepite raccolte dai cercatori d’oro”; la famosa prima Bibbia stampata da Gutemberg era in canapa; le vele e le corde della Niña, la Pinta e la Santa Maria erano di canapa, sennò non ci arrivava Colombo in America; le tele dei grandi pittori, da Van Gogh a Rembrandt, se ci sono arrivate fino a oggi, è solo perché erano fatte di canapa. Sennò pure quelle ce le scordavamo.
Ma quindi cosa diamine andò storto se tutto era così bello? Ma è il capitalismo, baby! Che come al solito strappa l’anima a tutto. Le prime avvisaglie di problemi arrivarono infatti con i suoi prodromi: la Rivoluzione Industriale che in sé già aveva i due principali interessi del capitalismo, guadagno e risparmio. Con l’arrivo di nuovi macchinari agrari le imprese si buttarono a capofitto su cotone e schiavismo da una parte; mentre dall’altra era arrivato il trincia legna che rendeva, pur utilizzando un maggior numero di piante, una carta di minore qualità (si doveva anche sbiancare chimicamente!), ma anche questa procedura costava meno grazie ai nuovi macchinari e “l’immensità” delle foreste. E tanto “il nuovo affare erano i quotidiani”. E via all’inizio della deforestazione. In un sol colpo due settori a leadership canapa erano stati schiacciati: “la sua proverbiale resistenza era diventata un difetto“.
Ma il mondo non era ancora così sciocco da farsi sfuggire una pianta dalle mille risorse come la canapa. Nel 1917 arrivò l’innovazione tecnologica adatta a lei, “il decorticatore in grado di trattare la sua fibra resistente”, e 20 anni dopo già si parlava di come sostituire la plastica (imperante!) con fibre di canapa, la possibilità di creare ‘oltre 25mila articoli diversi, dalla dinamite al cellophane, passando per tutti gli oggetti di uso quotidiano. Con la sua polpa si produrrà ogni qualità di carta e si è calcolato che 10mila acri a canapa produrranno quanto 40mila acri di foresta‘. E poi la chicca, le ricerche condotte in gran segreto, a partire dal 1929, da Henry Ford in persona: egli era infatti “profondamente convinto che l’auto del futuro dovesse essere costruita e alimentata con elementi biodegradabili: fibre naturali tratte da lino, canapa e paglia e alimentata interamente a etanolo di canapa. Ancora qualche mese e il prototipo sarebbe stato presentato al mondo”. Cose quasi impensabili oggi, figuratevi un secolo fa.
Il problema è che a quel punto il capitalismo stava nascendo, e il settore petrolchimico pure: la canapa poteva pestare i piedi a certi interessi. Per impedirlo si verificò “un’alleanza naturale tra industria cartaria, chimica, petrolifera e farmaceutica, tutte assolutamente determinate a utilizzare il proprio potere economico e politico per togliere di mezzo quella pianta”. A chiudere la ricetta non poteva mancare anche un po’ di “sano” giornalismo venduto. Cosa successe, i cui strascichi sentiamo ancora ora, è raccontato nel libro del giornalista americano Jack Herer, Emperor wears no clothes che Gracis riassume nel suo libro. Sarà lui a spiegarvi cosa mettono insieme William Hearst (ufficiale creatore del yellow journalism, ovvero le prime fake news), l’imprenditore chimico Lammot Du Pont, il banchiere Andrew Mellon, e infine John Rockefeller in persona, non solo banchiere ai tempi, ma anche proprietario della principale compagnia di benzina degli Stati Uniti. Un classico esempio di “fumo dello stereotipo che genera mostri“. Una vera e propria cospirazione, come nei migliori film thriller, nascosta da “banale” guerra alla droga, che partendo dall’America riuscì ad approdare all’Onu nel 1961: a quel punto la guerra alla cannabis era stata diffusa al mondo intero.
Furono insomma trent’anni di nero proibizionismo, facenti spesso leva sul razzismo – siate tutti contro il “fumo omicida” dei messicani, scrivevano i giornali dell’epoca, gli stessi messicani che ci hanno invaso mentre da noi non c’è lavoro: odiamoli. Capro espiatorio. Solita storia da Casal Bruciato contro i rom a 100 anni di distanza. Ecco un pezzo da un articolo del San Francisco Examiner del 1930: “La prima sigaretta di Fumo assassino dona sogni strani e stranamente belli, ma dopo le prime sigarette ci vuole sempre più Fumo per riprodurre il sogno e improvvisamente i nervi torturati cedono e il fumatore omicida deve tagliare e accoltellare, picchiare e sparare, per soddisfare la fame tormentata creata dalla droga”. Nessun americano capì che si stava parlando della stessa cannabis che ognuno di loro conservava nei cassetti di casa. Bastò chiamarla marijuana, come la chiamavano i messicani. Una sola, piccola differenza lessicale, un grande effetto proibizionista che ci pesa ancora oggi, creando danni al Pianeta in termini ecologici e di inquinamento.
Gli effetti di quelle bugie infatti hanno influenzato un sacco di generazioni. Anche in Italia, dove fino al fascismo (incluso) la canapa era coltivata ovunque come “bene autarchico” che dà lavoro a tante persone – tanto che “l’Italia diventò il secondo produttore di Canapa al mondo a livello quantitativo, dopo la sterminata Russia, e il più rinomato a livello qualitativo” – improvvisamente, e sempre sotto Mussolini divenne la “droga dei negri”. Tale Harry Anslinger, a capo della Narcotics americana era la sponda politica di tutto questo. Nel 1936, di fronte al Senato ebbe il coraggio di dichiarare: “circa il 50% dei crimini gravi nel paese sono commessi da messicani, latinoamericani, filippini, negri e greci, e queste azioni sono inderogabilmente da imputare al consumo di Marijuana. Il jazz e lo swing sono una conseguenza del consumo di Marijuana e le donne bianche che la consumano sono indotte a cercare rapporti sessuali con i negri”. Stai a rosicà? Si potrebbe dire oggi, peccato esistesse ben poca malizia in un mondo puritano come quello.
La buona notizia è che oggi si inizia a rivedere la luce. Dopo decenni di mistificazioni su una pianta utile, anzi prodigiosa, ci sono nuove prove scientifiche e nuove aperture, anche in materia legislativa. I semi sono legali praticamente ovunque ormai, e dalla relegazione a medicina “alternativa” (che ha sempre quel non so che di dispregiativo) in molti Paesi è riconosciuta come medicina ufficiale a tutti gli effetti. Anche in Italia la cannabis terapeutica è legale, dopo la legge di Livia Turco, o almeno a parole. Poi prova a farti fare una ricetta: la maggior parte dei medici ancora la svaluta o ha paura. E comunque se, e solo se, tutto il resto non ha funzionato.
Le ricerche scientifiche a livello medico però parlano chiaro. Ad oggi è stato riconosciuto che la canapa può essere un valido aiuto per molteplici problematiche come l’Alzheimer, “i suoi componenti infatti aiutano a eliminare la proteina tossica che causa questa forma di demenza. Indiscutibili anche le evidenze nel trattamento di un’altra malattia degenerativa, la Sclerosi Multipla”. Trattamento dell’epilessia refrattaria, del dolore associato all’HIV, fibromialgia, artrite reumatoide, morbo di Parkinson… si sono perfino raccolte valide risposte nel trattamento dell’autismo. “Nei casi di cancro, invece, l’uso dei derivati della canapa è già una realtà consolidata per alleviare i disturbi del sonno, dolore, debolezza, nausea e mancanza di appetito”.
La canapa è inoltre un bioaccumulatore, “significa che è in grado di assorbire le sostanze chimiche presenti nel terreno e trattenerle al suo interno, rivelandosi un agente fondamentale nelle pratiche di fitodepurazione dei terreni”. In questo senso sono già state utilizzate piantagioni intorno a Taranto, nei pressi dell’Ilva, e sperimentate la prima volta addirittura a Chernobyl, dopo il disastro nucleare. Ebbene sì, la canapa è in grado di assorbire perfino radioattività, senza peraltro compromettere il fusto che potrebbe perfino essere riutilizzato. La canapa unita alla calce può essere efficacemente utilizzata in bioedilizia: “secondo gli studi, infatti, le case costruite con questa tecnologia sono del tutto antisismiche e anche in caso di scosse tremende, oltre i 7 gradi della scala Richter, garantiscono ampie possibilità di sopravvivenza grazie al fatto che i muri si frantumano senza rovesciarsi”. Infine, i sogni di Ford sono oggi già realizzati, il biocombustibile è realtà. Ed è vero che le fibre di canapa possono facilmente sostituire la plastica, e questa è forse la notizia più bella. Per qualsiasi aggiornamento sul tema basta seguire Dolce Vita, il sito che tratta di “stili di vita alternativi” curato da anni dallo stesso Gracis.
Proprio in America, inoltre, sono già stati smentiti alcuni stereotipi ancora imperanti, e soprattutto in Italia. Il primo è la cosiddetta “teoria del passaggio“, cioè la propaganda del tempo: “i drogati muoiono per l’eroina, ma iniziano dalla canna”. Cioè “una bufala totale, smascherata già ai tempi del ‘rapporto La Guardia’”, sindaco italiano a New York dal 1934, un faro antiproibizionista ai tempi, “ma viene diffusa impunemente ancora oggi”. V. infatti la legge Fini-Giovanardi dell’altro ieri, 2006, che proprio su questo puntava, e infatti fu ritenuta incostituzionale. Ultima legge vergognosa dopo la precedente stretta di Craxi che annullò completamente il tentativo di allentamento di Aldo Moro. Ci vollero i Radicali col loro referendum del 1993 a dare una svolta diversa alla storia della canapa in Italia: “oltre 19 milioni di elettori seppellirono la riforma Craxi, stabilendo che il consumo di Cannabis e di ogni altra sostanza non dovesse essere considerato un crimine“. E oggi Salvini ci riprova…
L’altro stereotipo smentito è la classica correlazione che si fa tra cannabis e psicosi. “Invece è stato dimostrato che il cannabidiolo è un efficace anti-psicotico e il cbd può ridurre o bloccare i sintomi del disturbo ossessivo compulsivo”. La cannabis è inoltre un buon coadiuvante per depressione, ansia e stress. Rimanendo vero che andrebbe evitata qualsiasi assunzione prima dei 21 anni, e cioè quando il cervello è ancora in formazione, perché, e soprattutto su soggetti predisposti, è questa pratica che può far insorgere patologie psichiatriche più o meno latenti.
Insomma, per circa un secolo politica, informazione e forze industriali hanno cercato di separarci da una tradizione millenaria che nel tempo ci ha solo portato beneficio e potrà portarne ancora molto, e solo per farci sottostare agli interessi economici di pochi. Ma non poteva durare. D’altra parte, come scriveva Gracis nel suo diario, “per alcuni, molti, quasi tutti, i soldi sono tutto. Ma non è colpa loro. È colpa dei soldi”. Lo sappiamo quali sono le cose importanti. Basta che non ci facciamo fregare un’altra volta.