… [segue da “In barba alle mode”] Oltre alla cura dello stile, la figura del barbiere – rivalutata dalla moda hipster degli ultimi anni – si è storicamente occupata di tanti altri aspetti che apparentemente hanno poco a che fare con forbici, rasoi e schiuma da barba.
Sembra che già le nelle società del paleolitico, quando furono introdotte le prime tecnologie grazie a degli strumenti in pietra, fosse in voga tagliare i capelli. Diverse popolazioni credevano che i capelli avessero un’anima, quindi solo determinate classi, praticamente dei sacerdoti, potevano permettersi di eseguirne il taglio.
Anche nell’antico Egitto il barbiere godeva di grande reputazione. I sacerdoti del tempio di Amon ricevevano una rasatura rituale e totale ogni tre giorni, in segno di purificazione.
Come già detto tra gli antichi greci non era consuetudine rasarsi, se non i baffi. Però esistevano rasoi a mezzaluna e botteghe di barbieri, luoghi di ritrovo dove si praticavano anche rimozione calli e manicure. Con l’avvento dell’epoca macedone ci si iniziò a radere con più costanza e anche il barbiere cominciò ad aumentare il proprio prestigio. Ma più per ospitare simposi, dove non si beveva ma si poteva discutere di vari temi, politica, filosofia o argomenti più comuni.
I contatti tra ellenici e italici introdussero gli esercizi dei barbieri intorno al III-IV secolo a.C., a partire dalla Sicilia. Alcuni erano itineranti (circitores), altri, detti tonsores, lavoravano nel loro laboratorio. Dove oltre a sbarbarsi si chiacchierava, esattamente come vuole lo stereotipo tuttora attuale del gossip sulla poltrona girevole.
Orazio scrisse in una sua opera satirica che un qualcosa poteva essere conosciuta lippis et tonsoribus, dai miopi e dai barbieri – quindi da tutti. Gli Elio e le storie tese, due millenni dopo, hanno scritto il verso “l’accenna il giovanotto dal barbiere/ e dopo un po’ la sa tutto il quartiere” (da La bella canzone di una volta).
Quelli che potevano permetterselo, avevano uno schiavo adibito a barbiere.
Con le invasioni dei cosiddetti barbari, anche le altre popolazioni dell’Europa centro-orientale scoprono la figura del barbiere. Ma ad esempio in Francia, ancora nel XIII secolo, non ci sono botteghe e i professionisti esercitano per strada, nelle piazze. In quell’epoca diventano una corporazione, posta sotto la giurisdizione del barbiere del re. A metà del XV secolo l’Inghilterra, per volere di Edoardo IV, seguirà l’esempio.
Più o meno in tutta Europa, il barbiere amplia le proprie competenze diventando anche chirurgo – per operazioni più semplici e salassi – e dentista, o meglio estrattore di denti. Prima erano prerogative dei sacerdoti, unici ad avere un’istruzione migliore degli stessi nobili. Dal 1123, con il Concilio Lateranense I, il clero è sollevato da compiti medici, per non cadere in chissà quale peccato. Piano piano i barbieri guadagnano gradi e tra il Cinque e il Seicento Enrico VIII permette loro di ricevere rudimenti di anatomia.
Il palo da barbiere, quel cilindro girevole a strisce bianco, rosse e blu, diventa iconico quanto lo è ora la croce degli ospedali e delle farmacie. Inizialmente, nella versione britannica, c’erano solo il bianco e il rosso, a rappresentare le bende e il sangue, i protagonisti dei salassi. Sul blu c’è più incertezza. Potrebbe essere il colore delle vene o, essendo stato aggiunto in seguito negli Stati Uniti, solo un richiamo alla bandiera nazionale.
Originariamente l’insegna non ruotava ma era apposta su un palo, anche questa motivazione non è del tutto chiara. La ragione potrebbe essere trovata nelle pagine dell’Orbis Pictus di Comenio, antesignano dei sussidiari delle scuole elementari. Nell’immagine del barbiere-chirurgo, si vede il paziente stringere un bastone durante il salasso, per tenere il braccio sotto sforzo e teso.
Nel 1745 c’è la successiva svolta. Per volere di re Giorgio II, in Inghilterra il barbiere è privato del suo ruolo polivalente, per occuparsi solo di barba e capelli. Dopo pochi anni la Francia farà lo stesso.
Il “declino” viene fermato alla fine del XIX secolo, quando negli Stati Uniti aprono le prime associazioni e unioni professionali per barbieri, per garantire istruzione, formazione adeguata, licenze, insomma per soddisfare degli standard di qualità.
Il barbiere è tornato a quel ruolo di socializzazione e conversazione, uniformandosi un po’ in tutto il mondo grazie o per colpa della globalizzazione. Andrew Esiebo è un fotografo nigeriano che ha realizzato il suo progetto “Pride” girando tra le botteghe dell’Africa occidentale. “I barbieri aiutano le persone a guadagnare un’identità”, dice al The Guardian. L’aspetto, il taglio di capelli dei clienti, “influenzano il modo in cui loro si sentono e come vengono visti dagli altri”.
Anche a quelle latitudini Esiebo spiega che la gente chiacchiera, discute, si rilassa, stringe rapporti e perfino affari. Ed è così in varie città del continente, senza grosse differenze regionali o nazionali. Anche se non sono mancati casi particolari. “C’era un negozio in Mali dove vicino alla foto di Barack Obama c’erano Osama Bin Laden e Mu’ammar Gheddafi. Questi ultimi due erano apprezzati dal barbiere (discutibilmente), il primo era messo lì perché rappresentante del “potere nero”, racconta Esiebo.
Ovviamente c’è anche chi resta immune al fascino della figura del barbiere. Lo scrittore, giornalista e aforista statunitense Ambrose Bierce disse al riguardo che “le sue sevizie inflitte alle guance passano in secondo piano se confrontate al ben più grave tormento della sua conversazione”.