La barba, pur non avendo un’utilità fondamentale per la sopravvivenza della specie, trascende la propria reale essenza per assumere un significato simbolico. Sostanzialmente come i capelli, ma ancora più circoscritta.
Escludendo la quasi totalità delle donne – salvo cure ormonali, volontarie per il cambio di sesso o involontarie per far vincere le Olimpiadi alla Germania Est, lieve eccesso di peluria facciale o esplosione pilifera da freak show – nemmeno tutti gli uomini hanno la possibilità di scegliere tra crescita e rasatura, per via della predisposizione genetica.
Sembra che il DNA dei cinesi e dei nativi americani abbia subito una mutazione del gene EDAR circa 35 mila anni fa, comportando una diversa densità e spessore di peli e capelli. Così è più difficile vedere un cinese con la barba o affetto da calvizie. Per chi fosse interessato, la rivista scientifica Nature Communications ha pubblicato uno studio molto dettagliato sulle correlazioni in questione.
In quasi tutte le civiltà del mondo, la barba rappresentava il passaggio all’età adulta. Anche raderla poteva essere considerato virile, perché un gesto da uomo, una cosa che un bambino non poteva permettersi di fare. La foltezza, a vedere il bicchiere mezzo pieno, era segno di saggezza. Ad essere negativi, soltanto di vecchiaia e trascuratezza.
Le più alte cariche assire sfoggiavano barbe lunghe e curate, arricchite da oli essenziali o addirittura metalli preziosi. Nell’antico Egitto, invece, farsela crescere era da stranieri poveri, che non potevano permettersi di pagare un barbiere. È forse l’influenza semitica a spingere le dinastie più recenti a non presentarsi ben rasate ma a ricorrere anche a una barba posticcia.
I dettami dell’ebraismo, contenuti nel Levitico, vietavano di radersi le guance, forse perché associato a pratiche idolatriche. Anche in una sunna islamica – codice di comportamenti – si spiega al dettaglio come portare la barba: accorciare fino alla lunghezza di una spanna, sfoltire, ma non rasare sulle guance. Dall’usanza dei “saggi” di allungarsi all’eccesso la barba, nasceva il detto popolare “lungo di barba, corto d’ingegno”.
I greci iniziarono con il tagliarsi i baffi, talvolta liberando anche il labbro inferiore. L’usanza si è persa nel tempo, se non parzialmente tra gli spartani. Secondo quanto riportato da Plutarco, questi obbligavano i vili a lasciare la barba su una sola guancia. Dall’età macedone ci si iniziò a rasare, ma i saggi filosofi conservavano l’aspetto irsuto con fierezza.
È probabile che gli etruschi, essendo venuti a contatto con i greci, si siano ispirati al loro stile, tanto che nell’arte locale appaiono figure acconciate come gli eroi omerici, con la barba ma senza baffi. Nei bronzetti e nelle maschere del VII-VI secolo a.C. compaiono invece personaggi sbarbati. La moda di radersi fu adottata dai romani intorno al III secolo a.C., pare Scipione l’Africano sia stato il primo personaggio di un certo livello a farlo quotidianamente, almeno secondo Plinio.
C’erano delle regole ben precise: i più giovani non radevano la prima peluria, ma aspettavano una vera e propria barba e fino ai 40 anni si conservava la cosiddetta barbula. Diversamente da molte culture, la barba non era associata al vecchio saggio ma al giovane. Adriano evitava la rasatura per celare dei difetti, ma fu un’eccezione, seguita da Giuliano l’Apostata. Questo fu perfino autore di un’opera satirica che prendeva di mira proprio i detrattori della barba, i Misopogon.
Nel protocristianesimo la barba non la faceva da padrona. Perfino figure come Cristo e Noè appaiono rasate, le rare eccezioni come Pietro e Paolo erano influenzate dalle fogge romane. Anche il clero tendeva a differenziarsi dal monachesimo orientale, più ascetico e caratterizzato dalla folta barba. Non tanto per convinzioni spirituali, quanto per rispettare alcune norme igieniche. Fino al XVI secolo si tratta di restrizioni imposte direttamente dai concili ecclesiastici. I papi iniziano a presentarsi barbuti dal Cinquecento, tornando alle origini solo nel XIX secolo.
Nell’est Europa era comune portare barba e baffi, anche intrecciati, come si intuisce ad esempio dalle monete che rappresentavano principi locali. Dai contatti con i romani si iniziarono a importare rasoi. Pure i popoli nordici si presentavano irsuti, come confermato dagli storici dell’epoca e dai racconti tradizionali. In Europa centrale l’usanza della barba andò a spegnersi intorno al XII secolo, quando i cavalieri dovevano rispondere all’idea di giovane sbarbato ed elegante, al contrario di contadini e pellegrini. Oltremanica c’era forse la maggior fantasia e la barba aveva le più svariate forme, specialmente in epoca elisabettiana.
Nel Risorgimento italiano barba e baffi erano segno di rivolta, tanto che spesso le forze dell’ordine arrivavano ad arrestare i presunti ribelli solo per non essersi rasati. Quando invece il fermo era giustificato da un reato contro il potere costituito, si provvedeva alla rasatura forzata.
La barba del resto era spesso associata alla lotta, alla battaglia, dall’antichità fino a Cuba, per l’idea di virilità, appunto. Ma non fu così nella Prima Guerra Mondiale, quando l’introduzione di armi chimiche portò anche all’uso di maschere antigas, per mettersi le quali era controproducente portare folte barbe.
Come detto all’inizio, il DNA è differente nelle diverse parti del mondo e la predisposizione a far crescere la barba cambia. È più frequente che popoli est asiatici o sub-sahariani siano più refrattari, ma poi i popoli si mischiano e le situazioni si livellano. I giapponesi hanno avuto molti contatti con la Siberia orientale, così la rasatura è più un fatto culturale che genetico, come invece per cinesi e coreani. Lo stesso i mongoli, i guerrieri unni di un tempo pare avessero il volto cicatrizzato dalle ferite, inflitte dalle loro stesse madri con armi da taglio, per abituarli al dolore ed evitare la ricrescita pilifera, considerata antiestetica.
L’alternanza delle mode ha reso più o meno popolari diversi stili, che fossero rasatura, mosca, pizzetto o l’attuale ritorno prepotente della barba. Che ha trascinato con sé la figura del barbiere, ridandogli quel valore di artigiano/artista che si era persa…
[segue “La figura del barbiere e la sua centralità nella Storia]