“Dove sono gli italiani che si vedono negli spot della schiuma da barba? I miei clienti sono un po’ vecchi e con la pancetta”. Luna, all’anagrafe Batuna, è una ragazza albanese scappata dall’assenza di un futuro dignitoso e sbarcata in Italia con l’idea (distorta dal filtro della TV) di sfondare nello showbiz. Lo spettacolo, quello vero, è Luna – gli italiani visti dalla luna, andato in scena al teatro Belli di Antonio Salines, a Roma.
Scritto e interpretato da Barbara Bovoli, l’atto unico parte dall’incontro tra un ispettore e la protagonista Luna, che finisce con il ripercorrere la propria vita quasi a mo’ di alibi. Sopratutto per quanto riguarda l’inizio della “carriera” di prostituta, dopo essersi fidata di Ninì, il “solito” contatto in Italia che avrebbe dovuto aiutarla appena arrivata, con i documenti e il lavoro.
La sceneggiatura risale a circa dieci anni fa, ma tutto sommato non lo dimostra. È vero che la questione dell’immigrazione albanese in senso stretto si è sgonfiata, le rotte migratorie si sono però moltiplicate, insieme ai motivi che spingono alla fuga. E sullo sfruttamento della donna, quella più vulnerabile perché non ha nulla in partenza, non è che siano stati fatti tutti questi passi avanti.
Dietro il marchio indelebile di prostituta c’è la ragazza, anzi la ragazzina, che tra i pochi svaghi della provincia di Valona ha quello di guardare la patinata TV italiana degli anni ’90, in particolare Non è la Rai. Ma con la morte del padre la vita tranquilla finisce, Batuna va a lavorare a sedici anni in fabbrica con la madre, che verrà a sua volta lentamente uccisa dai fumi tossici del posto di lavoro. Per non fare la stessa fine, Batuna decide di tentare la sorte, affidandosi al Caronte dell’epoca, quello che attraversava l’Adriatico fino alla Puglia e non il Mar Libico.
Sfuggita alla polizia, non riuscirà a sfuggire al controllo dell’aguzzino Ninì, quello che idealmente uccide Batuna e fa nascere Luna, nome che può avere maggiore presa sui clienti. I clienti: alla fine l’unica idea che Luna/Batuna riesce a farsi degli italiani e dell’Italia, quella vera, non quella vista dal tubo catodico. E il quadro che ne esce non è certo lusinghiero.
Lo spettacolo è stato definito satirico, la descrizione può rientrare tranquillamente in quello che è o dovrebbe essere il concetto di satira. Non perché vengano citate un paio di frasi (realmente dette) da politici di spicco dell’epoca – uno dei due ancora resiste, arranca ma resiste. Silvio Berlusconi, in una delle sue solite battute di classe, disse all’allora presidente albanese Sali Berisha di poter fare un’eccezione al blocco degli sbarchi solamente “per le belle ragazze”.
La satira dello spettacolo è diretta soprattutto all’italiano medio. Perché uno degli equivoci che si perpetua è che la satira debba colpire solo il potere, politico o ecclesiastico che sia. In realtà è più che ammissibile che vada contro il pensiero comune popolare, quello dominante, specialmente se è poco articolato e contraddittorio.
Così il cliente tipo, quello che fu chiamato “consumatore finale”, è innocente perché auto-assolto, perché ignora di perpetuare il circolo vizioso dello sfruttamento. E quando gli viene chiesto aiuto, di andare dalla polizia che in fondo non rischia niente, gira la testa dall’altra parte. Per mantenere lo status quo, il suo soprattutto. Nel migliore dei casi scambia la prostituta per una psicologa cui raccontare i propri problemi e frustrazioni. Come se l’interlocutrice fosse pure in grado di accollarsi altra roba.
Si indigna pure, ogni tanto, ma per cinque minuti, poi torna a pensare a cosa ordinare a pranzo. È un po’ razzista e xenofobo, finché appunto non si tratta di andare con una bella ragazza, in quel caso fa niente se immigrata irregolare. Non è che come mentalità si discosti dal Berlusconi di turno – a proposito di bersagli della satira.
Lo spettacolo cresce con il passare dei minuti, man mano che i pezzi vanno a comporre l’immagine finale, con tanto di colpo di scena. Soprattutto ha il grande merito di trattare argomenti da non perdere mai di vista, alternando la dovuta serietà a momenti più divertenti e ironici.