Siamo in piena epoca peak tv, letteralmente il picco della televisione (considerando la totalità dei dispositivi che consentano la visione). Visto che si conia una definizione per tutto, John Landgraf, il presidente dell’emittente del gruppo Fox Fx Network ha descritto così la sovrabbondanza di produzioni. Era il 2015, i soli Stati Uniti avevano messo in onda ben 421 serie tv. Ora sono già più di 500.
Il successo è facile da spiegare. Grandi storie, grandi registi e attori – una volta sarebbe stato quasi declassante passare dal grande al piccolo schermo (tranne per David Lynch), ora ci trovi da Martin Scorsese al premio Oscar Matthew McConaughey; la trama orizzontale, che ricollega ogni episodio al successivo tenendo incollato lo spettatore per anni, finché non si esaurisce l’ultima stagione. I successi anni ’70-’80-’90 a trama verticale, da Strusky & Hutch a MacGyver a Friends, potevano anche visti in ordine non cronologico senza grandi traumi.
Ma queste sono cose note, quello che è più interessante sono i numeri dietro questa industria che sta spodestando la supremazia del cinema. Basta guardare le pubblicità sui cartelloni per strada o sui mezzi pubblici per avere la percezione che il pubblico è più catturato dalla nuova serie tv che dall’ultimo film nelle sale. Hollywood, che non è necessariamente sinonimo di qualità ma ha fiuto per gli affari, investe seriamente solo sulle storie di supereroi, quelle che danno un ritorno vero considerando anche l’indotto commerciale degli eventi intorno alle pellicole.
Game of Thrones (o Trono di Spade da noi) è costata alla produttrice HBO più di 50 milioni solo per la prima stagione, alla sesta il budget è stato raddoppiato. Mentre gli spettatori sono quadruplicati (parlando solo della diretta), dai 2,5 milioni del primo episodio ai 10 dell’inizio della settima stagione. E la diffusione è da record, in ben 173 Paesi.
Secondo alcune stime HBO ha avuto un ritorno di 252 milioni solo grazie agli abbonamenti nei confini statunitensi. In più c’è il mercato di Dvd e Blue Ray, che porta profitti del 50% su ogni singola unità venduta. Ancora meglio con i download legali, tramite ad esempio iTunes o Amazon. Dei 3,50 dollari per episodio, HBO trattiene il 70%.
Ci hanno guadagnato anche i Paesi dove sono state girate le puntate, Irlanda del Nord e Croazia, l’autore dei libri da cui è tratta la serie, George R.R. Martin, che ha incrementato le vendite con la popolarità televisiva, il compositore della colonna sonora Ramin Djawadi che non ha esitato a organizzare un tour nordamericano da mezzo milione di dollari di introiti.
Amazon nel 2017 ha realizzato un’analisi costi-benefici (come si direbbe ora al governo) relativa a 19 produzioni originali dell’azienda che fa capo a Jeff Bezos. 26 milioni di spettatori negli Stati Uniti, uno ogni tre abbonati a Prime. 5 miliardi di spesa, 200 milioni da destinar solo al Signore degli Anelli, che diventerà serie tv dal 2021. In più è stato messo sotto contratto, direttamente da The Walking Dead, lo sceneggiatore Robert Kirkman.
I più spendaccioni sono ovviamente quelli di Netflix, che oltre a “regalare” l’albero di Natale romano di piazza Venezia, stanno effettuando investimenti di circa 6 miliardi di dollari per accaparrarsi i migliori sceneggiatori. Tra questi Shonda Rhimes di Grey’s Anatomy. Hanno anche convinto il comico David Letterman a tornare sulla scena, dopo il ritiro nel 2015. HBO e Hulu invece spendono “solo” intorno ai 2,5 miliardi di dollari.
Netflix punta a raggiungere i 1000 contenuti entro fine 2019, per quest’anno sono in cantiere quasi 500 produzioni tra film e serie tv. Ma per rendersi conto delle proporzioni, i film costituiscono solo 1/3 delle visualizzazioni. Il direttore Ted Sarandos spiega questi numeri con il fatto che l’azienda acquista la licenza dei lungometraggi e non li produce, buona parte del pubblico li potrebbe già aver visti al cinema. Oppure è la conferma che tirano più le serie tv. Si scoprirà presto, visto che Netflix vuole puntare esclusivamente sulle proprie produzioni.
Anche altre piattaforme stanno per invadere il mercato: Apple, Facebook e Youtube sono pronte a pareggiare o quasi le spese dei rivali in pochissimi anni. Inoltre Apple potrà contare su iTunes, da rimodellare opportunamente per l’esclusiva diffusione dello streaming. Tutte e tre, comunque, hanno già una cospicua base di utenti su cui contare – almeno sperano.
L’esempio Netflix è positivo, 4 milioni e mezzo di abbonamenti fuori dagli USA solo tra luglio e settembre 2018, incrementi sopra le aspettative sia in patria che all’estero che hanno permesso di superare agevolmente i 100 milioni di abbonati. Del resto hanno prodotto Narcos, House of Cards, Orange Is The New Black, solo per fare tre nomi. Nel 2017 i ricavi sono stati vicini agli 11 miliardi.
Reggerà? Da una parte è meglio sperare di no. È vero che l’offerta ampia di contenuti può accontentare tutti i gusti, ma i paragoni fatti con la droga non sono così campati in aria. La dipendenza da serie tv è stata chiamata binge watching, indigestione o overdose da televisione, con tanto di crisi di astinenza al seguito.
È vero che le maratone tv non sono un fenomeno recente e che risale almeno agli anni ’70, ad esempio con Star Trek. Ma avere 500 e passa serie tv non aiuta certo a disintossicarsi e sono sempre più frequenti casi di persone che “divorano” una stagione in un solo giorno, rispetto a una media di uno o due episodi di pochi anni fa. Anche perché prima di internet o compravi i cofanetti o dovevi aspettare la diretta tv, la disponibilità era per forza di cose più limitata.
Va considerato anche che se realmente tra pochissimi anni l’industria vedrà la concorrenza spietata di sei o sette piattaforme, il consumatore medio non potrà tenere il passo con altrettanti abbonamenti, rimanendo automaticamente escluso da una fetta consistente delle produzioni.
Del resto la definizione intrinseca di peak tv implica il fatto che dopo il picco, si scende più o meno vertiginosamente.