La paura è una delle emozioni fondanti di tutti gli aspetti delle nostre vite. Combattuta, esorcizzata, accettata, nella sfera privata e pubblica. Da sempre usata per plasmare la società.
Dal punto di vista scientifico è semplicemente una reazione biologica a una situazione di pericolo, è quindi preziosa per la sopravvivenza degli umani come degli altri animali. È utile perché, essendo spesso la risposta a una sensazione di ignoto, può avere una funzione cognitiva, legata all’apprendimento. Nelle giuste dosi, porta a ideare soluzioni, a studiare le difficoltà e ci prepara a prevedere diverse alternative.
Il nostro organismo, davanti ai pericoli, produce adrenalina. Questo ormone, che funge da mediatore chimico, ci porta a una scelta che in inglese cambia di solo una consonante: il flight or fight, volo (via) o combatto, teorizzato da Walter Bradford Cannon. All’estremo però, la paura conduce anche al freezing, all’immobilità. Sappiamo come alcuni animali si fingano morti per sfuggire ai predatori, noi ci blocchiamo anche metaforicamente. E rimanere attanagliati dall’ansia non è certo il migliore scenario possibile.
Dal punto di vista sociale e culturale, la paura è stata trattata in maniera ambivalente. Da una parte l’epica e la retorica dell’eroe senza macchia e senza paura, del combattente valoroso e sprezzante del rischio e del pericolo, del coraggio a ogni costo. Come recita una nota frase di Franlklin Delano Roosevelt, “l’unica cosa di cui avere paura è la paura stessa”. Insomma, repressione delle emozioni negative che ci distolgono dal traguardo, libri di “auto-aiuto” (che poi sono una contraddizione, essendo scritti da altri) per sconfiggere le “debolezze”.
Dall’altra parte le fiabe, che hanno invece sempre invitato a scavare nel proprio inconscio. Non bisogna fuggire dalla paura, ma affrontarla. È il principale insegnamento (subliminale) è di “entrare nelle proprie emozioni, guardare in faccia le proprie paure e affrontare le difficoltà”, che poi è la “pancia del lupo” di Cappuccetto Rosso.
Nella sfera pubblica e sociale la paura invece tende ad essere uno strumento di controllo, religioso e politico. Guglielmo Ferrero, sociologo e storico vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, lega la paura alla costruzione della società civile e politica. Ai timori “naturali” come la morte e la sicurezza, si risponde con lo sviluppo di una società che garantisca la vita di gruppo.
Posizione che ricalca in parte quella di Thomas Hobbes, ma più ottimista. Per Hobbes il potere è al di sopra della legge e sostenuto dalla forza e della paura, Ferrero limita il potere nel quadro legale e gli conferisce legittimità.
Per Georg Simmel, sociologo e filosofo tedesco di fine Ottocento, la paura è “una forza psicologica che tiene insieme gli uomini e che trasforma un territorio geografico in uno spazio politico”. E gli individui non possono fare a meno della protezione contro “potenze superiori sconosciute”. La paura diventa strumento essenziale di governo, meglio ancora se accompagnata dall’unirsi contro un nemico comune, vero o presunto.
La società di massa non ha arginato il controllo basato sulla paura, nonostante un’apparente razionalizzazione. Anzi, scrive il sociologo francese Michel Maffesoli, oltre il progresso si riscopre una forma di primitivismo. La paura si socializza attraverso il moltiplicatore rappresentato dalla comunicazione di massa.
I media muovono le leve dell’immaginazione collettiva, scriveva Ulrich Beck, sociologo tedesco della seconda metà del Novecento scomparso solo pochi anni fa, descrivendo “l’ irresponsabilità organizzata” di certi gruppi di comunicazione. La cronaca crea condizionamento psicologico, generando “angoscia e smarrimento” ma anche un morboso interesse. Altrimenti determinati argomenti non potrebbero proprio avere successo.
Ma non è tutto, visto che chi instilla la paura si pone anche come soluzione, in un circolo vizioso, con una differenza rispetto al passato. Prima, suggerisce Jean Delumeau, saggista e storico francese novantacinquenne, “i predicatori si industriavano per far capire ai fedeli di non fare affidamento sulla bontà di Dio tanto da dimenticarne la severità”, in una prospettiva futura. Ma in una società votata al presente, la paura impedisce la “caduta di significato del quotidiano e la perdita di attenzione. È un mezzo che crea consenso e legittimità, conserva l’ordine precario abbastanza da evitare che si ipotizzino nuove forme sociali”.