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Bora Milutinović, l’allenatore cittadino del mondo

Racconta Bora Milutinović che prima di quelli che sarebbero stati (per ora?) i suoi ultimi mondiali, nel 2002 da allenatore della sorprendente Cina, entrò in una chiesa. “Cosa vuoi Bora?”, gli chiede Dio. “Segnare come la Francia”, risponde lui. Detto fatto, Francia e Cina chiudono la competizione ultime nel loro girone, con zero reti all’attivo. “Certo che io mi riferivo alla Francia del 1998”, quella campione davanti al proprio pubblico.
Velibor “Bora” Milutinović da Bajina Bašta, città serba al confine con la Bosnia, non ha avuto la carriera sfavillante di colleghi vincenti come Mourinho e Guardiola o gli italiani Lippi, Ancelotti e Capello. Ma più di loro è stato in grado di emozionare quei romantici che del calcio apprezzano le storie particolari, che ne rappresentano l’essenza al di là di tutto il resto. E comunque cinque mondiali con cinque nazionali diverse non è poco, record condiviso con il brasiliano Carlos Alberto Parreira – che uno, quello di USA ’94, se lo porta a casa. Milutinović si “limita” a centrare piccoli grandi traguardi.
La sua storia non può iniziare in maniera banale, così già sul suo anno di nascita è giallo: lui sostiene di essere nato nel 1944, in realtà sarebbe del 1940. Dettagli ininfluenti. Gioca a Belgrado, all’OFK e poi al Partizan, finché nel 1966 inizia di fatto, ma ce se ne accorgerà più tardi, la carriera di giramondo. Un anno in svizzera, cinque in Francia, poi sempre più lontano, in Messico. In campo con il Pumas dal 1972 al 1976 prima di diventarne allenatore e vincere due campionati. I successi lo portano sulla panchina della Nazionale nel 1983.

Bora Milutinović in Messico. Alla guida della Nazionale arriverà ai quarti di finale ai mondiali di casa nel 1986 (record ancora imbattuto) e vincerà la coppa continentale nel 1996

I mondiali 1986 sono stati assegnati alla Colombia, che però rinuncia per difficoltà organizzative. Il Messico li ha già ospitati sedici anni prima, sarebbe troppo presto per il bis, ma proprio per questo ha già tutto pronto e li ottiene. Due vittorie al girone con Belgio e Iraq, pari con il Paraguay e qualificazione facile.
Agevole anche il 2-0 alla Bulgaria agli ottavi e approdo ai quarti dove c’è la Germania. 0-0 e tedeschi che passano solo ai rigori – perderanno la finale contro Maradona, perché dire contro l’Argentina sarebbe riduttivo per il peso che quell’anno aveva il Pibe de Oro.
Il Messico eguaglia il risultato del 1970, sempre in casa, ma con la sensazione che questa volta sarebbe potuta andare anche meglio. Perfino ora che il Messico è entrato stabilmente nel giro delle migliori, non ha più (finora) superato gli ottavi di finale. Tornato allenatore del Messico tra il 1995 e il 1997, Milutinović riuscirà a portarsi a casa la Gold Cup, il torneo continentale nordamericano, nel 1996 negli Stati Uniti.
Nel 1990 altro miracolo calcistico. A pochi mesi dalle “notti magiche” di Italia ’90 gli viene affidata la guida del piccolo Costa Rica. Un anno prima hanno vinto la Gold Cup, ottenendo anche il pass per i mondiali. Però cambiano ugualmente allenatore. Una cosa è vincere a livello locale, diverso è confrontarsi con ben altri palcoscenici, cui il piccolo Paese centroamericano non è abituato.
Il girone è proibitivo, c’è il Brasile, che è sempre condannato a stare tra le favorite. Non è una grandissima squadra, ma a farli fuori più che l’Argentina sarà il sedativo nelle borracce, come si scoprirà anni dopo. Finisce solo 1-0 per i verdeoro, sconfitta indolore perché il Costa Rica batte le due europee, 1-0 alla Scozia, 2-1 alla Svezia con una rimonta nel finale.
Storico approdo agli ottavi, dove però la Cecoslovacchia fa 4-1. Il Costa Rica farà meglio nel 2014, sconfitto nei quarti di finale dall’Olanda ai calci di rigore, ma in un calcio più globalizzato e con livelli di professionismo impensabili solo pochi anni fa.

Bora Milutinović e un ormai implume Alexi Lalas, difensore degli Stati Uniti nel 1994 dove sfoggiava folte chioma e barba

Nel 1991 va più a nord, negli Stati Uniti, per prepararli al meglio ai futuri mondiali di casa. Vince subito la Gold Cup, poi arriva il grande evento. Gli USA erano arrivati in semifinale nel 1930, alla prima Coppa Rimet, ma era una situazione particolare. Poche squadre, si andava a inviti e iscrizioni e non a qualificazioni. Nel 1994 è il vero grande salto per gli americani, non solo per mano di Milutinović, certo. La federazione ha iniziato a investire anche nel calcio, organizzandolo in maniera professionistica.
Al girone gli USA vengono ripescati come migliore terza, pareggiano con la Svizzera al debutto, battono la migliore Colombia di sempre, quella di Escobar (il difensore, non il narcotrafficante da poco ucciso) e perdono con la Romania che pure farà strada grazie al “Maradona dei Carpazi”, Gheorghe Hagi. Agli ottavi si va fuori, ma contro il Brasile che poi sarà campione. L’1-0 è più che accettabile.
Con la Nigeria nel 1998 Bora Milutinović ottiene risultati in linea con il recente passato delle “Super Aquile”. Quattro anni prima gli africani sono usciti agli ottavi per un gol all’ultimo minuto di Roberto Baggio, ripetersi non sembra un’impresa. Però dopo il 1998 per la Nigeria inizia una crisi interrotta solo nel 2014, dove finalmente tornano almeno agli ottavi di finale. E comunque Milutinović, a livello personale, inanella la quarta qualificazione consecutiva agli ottavi con quattro nazionali diverse e più o meno sfavorite.
Il suo ultimo atto mondiale è con la Cina nel 2002. E qui si inverte tutto. Finora Milutinović ha allenato le organizzatrici (Messico 1986 e Stati Uniti 1994) o si è ritrovato in panchina alla vigilia della Coppa (Costa Rica e Nigeria). Insomma, non ha mai fatto le qualificazioni. Con la Cina per la prima volta non riuscirà a superare il girone, ma sarebbe stato troppo perfino per lui. C’è il Brasile di Ronaldo, Ronaldinho e Rivaldo, che poi vincerà il titolo. E c’è la Turchia che arriverà terza con un solido collettivo e qualche individualità interessante.

Bora Milutinović sulla panchina della Cina. La sua ultima impresa è stata la qualificazione ai mondiali del 2002, prima e finora unica partecipazione degli asiatici

In questo caso la vera magia è stata proprio la qualificazione, mai avvenuta prima e finora non ripetuta. Nella prima fase mettono in riga Indonesia, Maldive e Cambogia, vincono tutte le partite ma fino a qui hanno solo fatto il loro.
Nel secondo turno, quello decisivo, approfittano dell’assenza di Giappone e Corea del Sud, qualificate di diritto. Iran e Arabia Saudita sono nell’altro girone e questo agevola ancora di più i cinesi. Però la qualificazione è netta, sei vittorie, un pari e una sconfitta, primo posto davanti agli Emirati Arabi e all’Uzbekistan. Il momento segna un po’ uno spartiacque, mette la Cina sulla mappa e se ora in panchina c’è un certo Lippi le radici stanno anche nel lavoro di Milutinović.

Il dopo è in calando, Honduras, Giamaica e Iraq ma non riuscirà a ripetersi, né sarebbe neanche facile, dato il valore di queste Nazionali.

Ma resta indiscusso il valore, umano ancor prima che tecnico, di Bora Milutinović, l’allenatore cittadino del mondo.


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