Il razzismo sembra essere tornato di moda, la percezione almeno è quella se si guardano social media, informazione e allarmi lanciati perfino dall’ONU, tramite l’Alto commissariato per i diritti umani. Ovviamente non se ne è mai andato, cambiano solo le modalità di espressione e la legittimità che viene data dall’alto, quel confine oltre il quale è sconveniente andare.
Le cose sono cambiate dai tempi in cui rozzi e poco istruiti contadini del sud degli Stati Uniti si infilavano una palandrana bianca con cappuccio appuntito e buchi per gli occhi. Quel genuino razzismo che odiava indiscriminatamente (paradossalmente) ha lasciato il passo a un sentimento da una parte attenuato dal filtro del censo – quanti possono odiare un Denzel Washington? – e che dall’altra si maschera dietro argomentazioni che più di tanto non reggono. Anche se alcune, per un attimo, sembrano addirittura sensate.
Al primo livello c’è la difesa dell’identità e delle tradizioni. Non bisogna essere laureati in Storia per sapere che migrazioni e conquiste hanno sempre fatto parte del patrimonio di tutto il mondo. Le popolazioni si sono sempre mischiate e sostituite l’un l’altra, a partire dagli assiri e babilonesi. È un costante divenire che modella gli usi e la cultura, così come il linguaggio. Altrimenti non ci sarebbe mai evoluzione. Poi è chiaro che non tutto può essere assorbito acriticamente, ma prendere posizioni aprioristiche è insensato.
Altra scusa è quella “dell’amico”. Vale per le altre etnie ma ancora più per l’omofobia (il famoso amico omosessuale). Sarebbe come se chi commette un femminicidio, atto chiaramente dettato da un senso di disprezzo, si giustificasse dicendo “non odio le donne, mia madre è una donna”.
Ad ogni modo è frequente vedere sostenitori di Donald Trump difenderlo con immagini che ritraggono il presidente vicino a star afroamericane o con video di elettori ispanici e/o transessuali. Il Tycoon avrebbe anche provato a coinvolgere il rapper 50 Cent durante la campagna elettorale, per avere presa sulla comunità nera – offerta rispedita al mittente. Anche la Lega ha provato con il senatore Toni Iwobi, dalla Nigeria, l’immigrato anti-immigrati che si direbbe più realista del re.
Da più parti, in proposito, è stato ricordato l’aneddoto del regista (ebreo) Fritz Lang quando, nel 1933, fu convocato dal ministro della Propaganda della Germania nazista Joseph Göbbels. Fu proposto a Lang di diventare una sorta di Führer del cinema e quando questi fece notare le radici semitiche, Göbbels avrebbe risposto: “non faccia l’ingenuo, siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no”.
Il vero capolavoro è quando si adducono motivazioni socioeconomiche all’apparenza fondate per giustificare posizioni contro l’immigrazione. “Bisogna chiudere i campi rom perché in molti ci hanno mangiato sopra, tipo Mafia Capitale”. Anche, certo, ma non perché la segregazione su base etnica è anacronistica e totalmente sbagliata?
Dobbiamo fermare l’arrivo di immigrati perché poi il lavoro si declassa, deprezza e si favorisce il sommerso – qualche filosofo da salotto TV cita perfino Marx. Allora perché non controllare che, semplicemente, venga rispettata la legge? Sarebbe come dire che, siccome molti neolaureati restano senza lavoro o ce l’hanno in nero, anziché punire i responsabili si decidesse di abolire gli atenei, fucina di illegalità.
Ultima solo in ordine di tempo, l’idea di chiudere i “negozi etnici” alle 21. Fanno aumentare gli schiamazzi notturni, il consumo di alcol e di conseguenza degrado e sporcizia. Perché fare distinzione in base alla nazionalità del proprietario? O si decide di bandire il consumo d’alcol dopo una certa ora, come fatto da gestioni comunali (misure discutibili ma almeno generali) o niente. Che senso ha distinguere? In base a che? Il riferimento ai cosiddetti “negozi Bangla” è fin troppo chiaro, ma qual è il senso di “etnico? Se vendo Peroni, Ichnusa e Nastro Azzurro sono ancora etnico? E se sono un italiano che vende Heineken, cartine Rizla e accendini Bic dopo le 21?
Questa parte politica è quella che afferma che destra e sinistra sono categorie superate, ma che guarda caso abbraccia gli stessi valori della destra popolare sulle cui ceneri sorge: nazionalismo e anticapitalismo (o il più moderno essere anti-establishment e anti-mercati). Così il triangolo ideologico destra-sinistra-centro si è rimodellato per tornare a essere, sostanzialmente, lo stesso di oltre mezzo secolo fa. Altro che cambiamenti.
E resiste anche quel razzismo strisciante, mascherato per l’esperienza del passato, in modo da tacciare l’avversario di paranoia e di quell’odioso termine che risponde al nome di buonismo.
Non sono razzista ma… Singolo di Willie Peyote
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