Internet e i social network sono considerati tra i principali responsabili dell’imbarbarimento culturale, tra concetti stringati in 140 caratteri, slogan, scarso approfondimento, culto dell’immagine, odio e fake news –c’è più che un fondo di verità in tutto questo. Ma oltre ad alimentare il famigerato analfabetismo funzionale, questi strumenti possono combattere l’analfabetismo vero e proprio, insieme ad altri disturbi dell’apprendimento.
Un progetto in tal senso fu, ad esempio, One Laptop Per Child (OLPC), lanciato dall’informatico newyorchese Nicholas Negroponte nell’ormai lontanissimo 2005. L’idea era abbastanza semplice: colmare il dislivello tecnologico di certi Paesi in via di sviluppo dotando giovani studenti di laptop da appena un centinaio di dollari (grazie all’uso di programmi open source) per avere accesso alle infinite informazioni e modelli educativi che la rete può offrire.
I risultati non sono stati quelli sperati, tra alunni che ne approfittavano per navigare nel porno e altri che non hanno mostrato gli avanzamenti previsti. Senza dimenticare i frequenti guasti tecnici e la cancellazione degli ordini da parte di molti governi, spaventati dai problemi di distribuzione.
L’idea di fondo poteva essere comunque considerata apprezzabile, ovvero usare le teorie dell’apprendimento attivo e collaborativo elaborate da Samuel Papert sotto il nome di Costruzionismo. E si è dimostrato come nel mercato potessero essere lanciati prodotti economici e, con qualche accorgimento, funzionali perfino in posti a malapena coperti dalla rete elettrica.
Dalla mancanza di opportunità alle difficoltà di apprendimento, l’Università di Parma e la cooperativa Tice di Piacenza hanno ideato un vero e proprio social network dedicato a ragazzi con autismo e altri disturbi dello sviluppo. Mindbook, il nome della piattaforma, è pensato per riunire gli utenti e le famiglie in una rete che favorisca lo scambio di esperienze e buone pratiche e che con il tempo agevoli chi ha disabilità psichiche nell’utilizzo di questi strumenti, facilitando l’integrazione e la socializzazione col mondo esterno.
L’Associazione Italiana Dislessia e il ministero dell’Istruzione avevano invece organizzato l’iniziativa di e-learning per le scuole primarie e secondarie di primo grado, ma sono diverse le start up che puntano sulla tecnologia per risolvere i disturbi dell’apprendimento. Finger Talks, per citare uno dei progetti, ha creato due app con esercizi che migliorano capacità di comprensione e memorizzazione per i casi di dislessia, discalculia e autismo, fondendo il lato formativo con quello ludico. E si potrebbero citare molte altre realtà che rientrano in questo filone.
Soprattutto quando si ha un disturbo dell’apprendimento, infatti, lettura e scrittura non sono particolarmente attraenti. Lo scopo è quindi creare un meccanismo giocoso e interattivo che spinga in maniera divertente all’attività didattica e al tempo stesso sviluppi le capacità cognitive e organizzative dei piccoli studenti.
Se internet si è sostituito alla televisione, ne ha preso l’eredità nel bene e nel male. Tutti riconoscono l’utilità delle trasmissioni che a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, Non è mai troppo tardi su tutte, hanno drasticamente ridotto l’analfabetismo in Italia. Così come siamo ben consapevoli del trash che si trova in giro e che ha fatto decadere la reputazione del mezzo.
La differenza ora sta nelle tempistiche molto più rapide e nel fatto che internet e i social network si siano già presentati con tutti i pregi e difetti tipici della comunicazione di massa, alimentando sin dai loro albori l’inutile dibattito che tende a rappresentarli come demonio o acqua santa.