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Piove, Governo ladro (o della cleptocrazia)

Diceva il politico e uomo d’affari messicano Carlos Hank González, in attività tra gli anni ’50 e ’90, che “un politico povero è un povero politico”. Sarà per questo che, più o meno consciamente, in troppi hanno seguito i dettami di quello che fu soprannominato “Il professore”, del resto un personaggio con un epiteto del genere deve saperla lunga.

Il termine cleptocrazia, dal greco “governo del furto”, fu coniato nel XIX secolo in riferimento alla politica spagnola dell’epoca, ma divenne particolarmente popolare nella seconda metà del Novecento “grazie” al dittatore dell’allora Zaire Mobutu Sese Seko. Racconta la sua biografa Michela Wrong come mai un presidente africano abbia fatto così poco per l’economia del suo Paese partendo da un ricco potenziale di risorse naturali, tenendo per sé fondi pubblici a nove zeri e vivendo all’eccesso.

Di “colleghi” ce ne sono stati molti, in giro per il mondo. Slobodan Milošević sarà ricordato più per il genocidio di 8mila musulmani bosniaci a Srebrenica e dintorni, ma anche dal punto di vista della cleptocrazia non se l’è cavata male. Secondo la stampa occidentale mise da parte qualcosa come 11 miliardi di dollari, sottratti alle casse di una Serbia sull’orlo del collasso economico.

Durante l’era di Saddam Hussein c’era un contrasto anche più evidente. Sebbene l’ex ra’īs alla fine dei suoi giorni si nascondesse in un tugurio, all’apice del potere era famoso per i palazzi presidenziali lussuosissimi a fronte di un’economia a dir poco fragile – tranne per i gestori degli idrocarburi.

Sua sobrietà Mobutu, grazie al quale il termine “cleptocrazia” tornò in auge

Ferdinand Marcos fece qualcosa di più per risollevare le sorti delle Filippine, ma la popolazione dell’arcipelago e le appropriazioni indebite crescevano a un ritmo più costante affinché i benefici fossero tangibili. I governi successivi riuscirono a recuperare 684 milioni di dollari da un patrimonio di miliardi saccheggiati, parte dei quali spesi per la leggendaria collezione di scarpe della moglie Imelda.

Noto per l’eccentricità, Idi Amin Dada guidò sconsideratamente l’Uganda per 8 anni, usando fondi derivati dal contrabbando di oro e avorio per acquisire influenza e arrivare al potere. Di padre in figlio, Jean-Claude “Baby Doc” Duvalier prese le orme di François “Papa Doc” per governare Haiti e gestirne i conti pubblici senza trasparenza (eufemismo), grazie anche al controllo del monopolio sul tabacco.

Tra i dittatori, il titolo di migliore (o peggiore) cleptocrate spetta all’indonesiano Suharto. L’organizzazione non governativa che si occupa di corruzione Transparency International stima che nei suoi trent’anni di dominio Suharto abbia rubato qualcosa come 35 miliardi di dollari al suo Paese. La moglie, Madame Tien, venne invece soprannominata Tien Percent, gioco di parole con 10 percento, a indicare una plausibile tangente che le spettasse di diritto sugli affari indonesiani.

Il palazzo repubblicano di Baghdad, Iraq

Ovviamente la corruzione non è prerogativa dei regimi autoritari, altrimenti i notiziari non sarebbero pieni di scandali: dal Brasile alla Corea del Sud, dall’arricchimento di Bush jr. e soci della Halliburton grazie all’invasione e ricostruzione dell’Iraq post Saddam all’oliato sistema della cosiddetta Prima Repubblica italiana, rinominato Tangentopoli dai mass media.

Del resto l’espressione “piove, governo ladro!” ha origini ben radicate, da quando fu coniata dal caricaturista Casimiro Teja sul giornale Il Pasquino nel 1861 per ironizzare sul fallimento della manifestazione dei mazziniani a Torino proprio a causa delle precipitazioni. Da allora è un comune sfogo delle frustrazioni politiche contro il potere. Con più o meno valide motivazioni.

 


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