Il miracolo alla fine non è riuscito, la Francia ha infranto il sogno della Croazia di vincere il suo primo storico mondiale di calcio e il risultato lascia un po’ di amaro in bocca – tranne se si pensa a Nina Morić. Innanzitutto perché la Francia, ammettiamolo, non sta simpatica a nessuno. E poi perché molti preferiscono tifare per la più debole o relativamente tale, se la Croazia così si può considerare. Non un grandissimo nome, ma una squadra infarcita di buoni giocatori come Modrić (Real Madrid), Rakitić (Barcellona), Mandžukić (Juventus) e Perisic (Inter) e con un terzo posto già raggiunto nel 1998. Insomma, non proprio il proverbiale Davide contro Golia, ma poco ci manca.
Ai mondiali non è una situazione così frequente, anzi. Scorrendo l’albo d’oro l’unica squadra che “sfigura” è l’Uruguay, ma all’epoca dei due trionfi, 1930 e 1950, era una signora formazione. Abbiamo già parlato della clamorosa vittoria del Maracanà, sotto gli occhi increduli di 200 mila brasiliani, ma la Celeste poteva comunque contare sulla classe di Schiaffino e Ghiggia e i muscoli di Varela. Sul podio si può trovare qualche rivelazione qua e là, come la Svezia, seconda in casa nel 1958 grazie al trio Gre-No-Li (Gren, Nordahl e Liedholm) e terza ad USA ’94 con la coppia Andersson-Dahlin.
L’est Europa ha ciclicamente espresso un buon calcio, pur senza superare i secondi posti dell’Ungheria nel 1954 – l’irripetibile generazione di Puskás, Kocsis, Czibor – e della Cecoslovacchia otto anni dopo in Cile, dove i padroni di casa ottennero il bronzo. Nel 2002 fu la Turchia ad arrivare terza, grazie anche allo zoccolo duro del Galatasaray campione in Coppa UEFA due anni prima, davanti alla co-ospitante Corea del Sud, però aiutata spudoratamente dagli arbitri nei turni precedenti contro Italia e Spagna.
Altre squadre sono riuscite a emozionare nonostante eliminazioni prima delle semifinali. Come il Camerun a Italia ’90, capace di battere l’Argentina di Maradona al debutto e fermato 3-2 dall’Inghilterra (e due rigori contro) ai quarti di finale. O la Nigeria dell’edizione successiva, che per ingenuità ha concesso il pareggio all’ultimo minuto degli ottavi di finale a Roberto Baggio, per poi perdere ai supplementari. Anche il Senegal e Ghana, rispettivamente nel 2002 e 2010 si sono spinte fino ai quarti di finale, confermando la crescita del calcio africano, rallentata in Russia dove nessuna compagine ha superato la fase a gironi.
Situazioni sorprendenti si sono verificate più frequentemente nei tornei continentali.
Nel 1992 gli Europei si giocano in Svezia. L’Italia cede il passo all’allora Comunità degli Stati Indipendenti, transizione dell’impero sovietico, e non si qualifica. Tra gli sconvolgimenti politici c’è anche la disgregazione della Jugoslavia, che preferisce la guerra al calcio e viene squalificata dal torneo. Al suo posto è ripescata in fretta e furia la Danimarca, che già non ha una rosa eccellente e in più vede la rinuncia di Michael Laudrup, che non vuole interrompere le vacanze per fare una figuraccia.
Gli scandinavi invece passano il turno e incredibilmente battono l’Olanda di Gullit, Rijkaard e Van Basten in semifinale, ai rigori. All’ultimo atto è 2-0 alla Germania con il commovente gol di Vilfort, che dopo ogni partita torna a casa (la vicinanza lo aiuta) per confortare la figlioletta malata di cancro a soli otto anni – ma la favola purtroppo ha un finale che pare scritto da Andersen.
Nel 2004 è la Grecia a stupire tutti tranne Emilio Fede, che scommettendo sugli ellenici in tempi non sospetti si è ritrovato con un bel gruzzoletto extra. L’undici di Otto Rehhagel elimina un avversario alla volta con una difesa di altri tempi e le incornate di Charisteas e Dellas, che piegano nell’ordine Francia, Repubblica Ceca e il padrone di casa, il Portogallo dell’esordiente Cristiano Ronaldo.
In Africa l’ultima rivelazione in ordine temporale è stata lo Zambia, che nel 2012 in Gabon e Guinea Equatoriale ha battuto ai rigori la Costa d’Avorio di Drogba, Gervinho e dei fratelli Touré. Dopo la sconfitta, Paese e federazione riconsidereranno la maledizione degli stregoni di Akradio.
Ma il successo più incredibile di tutti è probabilmente stato, per la situazione geopolitica, quello dell’Iraq. Nel 2003 l’invasione statunitense, nel 2006 l’impiccagione di Saddam Hussein, ma il Paese anziché andare verso la democrazia viene fagocitato dal terrorismo ed è dilaniato dalle tensioni interne. L’ultima cosa che ti aspetti è la partecipazione alla Coppa d’Asia 2007, invece i mesopotamici dopo il girone superano Vietnam (e fin qui…), Corea del Sud e Arabia Saudita, portando qualche attimo di sollievo e unità tra la popolazione, anche fuori dai confini.
Simile per certi versi, per chiudere il cerchio e tornare ai mondiali russi, la storia della Siria, che ha sfiorato la qualificazione pur giocando in Malesia, a migliaia di chilometri da una casa che non ha quasi più senso chiamare tale. Il 2-2 al 93′ contro l’Iran già qualificato (e casualmente alleato di Assad) ha portato a un insperato spareggio contro la più quotata Australia, perso solo ai supplementari dopo due pareggi per 1-1.
La Nazionale ha visto la presenza quasi esclusiva di giocatori fedeli al regime, più il “recupero” del ribelle capitano Firas Al-Khatib, che anni prima aveva dato l’addio alla selezione in segno di dissenso. Trentotto calciatori sono invece stati uccisi nel corso del conflitto, molti altri hanno trovato asilo all’estero, come Ayman Kasheet, che ha inutilmente denunciato alla FIFA le ingerenze politiche nella federazione sportiva. Sono motivi che hanno fatto ritenere che la squadra fosse strumentalizzata e che, forse, a gioire e beneficiare della qualificazione sarebbe stato più il potere – contento soprattutto di arrivare dall’amico Putin e ostentare normalità – che un popolo in deficit di rappresentanza.