Recentemente la nota azienda di abbigliamento H&M è stata accusata di razzismo per la pubblicità della linea di felpe con la scritta “La scimmia più ‘cool‘ della giungla”, in cui è un bambino nero a indossare il capo della discordia. Dure reazioni, indignazione, perfino vandalismo in alcuni negozi in Sudafrica, Belgio e altri Paesi.
Ad analizzare bene la questione, si può dire che la H&M abbia sbagliato, certamente, ma soprattutto per la gestione della campagna di un prodotto che è stato comunque ritirato. Ad aumentare il carico si è aggiunta la felpa del bambino bianco, che invece portava la scritta “esperto di sopravvivenza” con il disegno di una tigre, che nell’immaginario collettivo ha tutt’altro rilievo rispetto alla scimmia. Malizia? Ingenuità? Chissà.
Ma in un mondo ideale non sarebbe stata vista traccia di razzismo, che pure è saltato subito agli occhi delle persone, quasi unanimemente. Chiariamo. Le parole hanno un peso che viene dato dall’intenzione di chi le pronuncia e dal contesto. È razzista Roberto Calderoli che dà dell’orango a Cécile Kyenge? Ovviamente sì, perché conosciamo il soggetto e sappiamo esattamente dove volesse andare a parare.
Ma la questione è spinosa. Se la felpa della scimmia fosse stata indossata dal bambino bianco nessuno l’avrebbe giudicata offensiva, ma è una visione figlia di un concetto “biancocentrico” di razzismo. Ci sono diversi appellativi spregiativi per neri, latinoamericani, asiatici, mediorientali, ma in fondo un bianco si auto-considera inattaccabile. Che non vuol dire che non si possa essere razzisti contro i bianchi, ma che è praticamente impossibile offenderli dal punto di vista etnico.
Negli Stati Uniti il peggio che è venuto in mente è cracker, riferito al suono della frusta dei contadini schiavisti di alcuni posti. “Mi ha riportato a un passato di possessori di terra e di persone, mi ha rovinato la giornata!”, ironizzava qualche anno fa il comico Louis CK. Tornando a Calderoli vs Kyenge, quest’ultima come avrebbe potuto replicare a tono? Eventuali insulti o accostamenti ad altri animali avrebbero rimarcato più il fisico lontano dallo snello o il cervello inesistente del leghista, ma non il colore della pelle. Mozzarella? In fondo anche quella è sull’informità del corpo, non lo diresti mai a un Fassino.
Il senso di colpa porta a cercare il razzismo quando potrebbe anche non esserci o quando l’intento discriminatorio è fallito, tipo il caso delle figurine di Anna Frank con la maglietta della Roma – anche qui sappiamo che l’obiettivo del gruppetto di laziali era dare degli “ebrei” ai romanisti in un “gioco” tra tifoserie di estrema destra.
Riguardo il caso H&M, tutto è iniziato dal solito fermo immagine virale, catturato dalla blogger Stephanie Yeboah e come al solito non si è andati oltre l’impressione superficiale, senza chiedersi perché l’accostamento alla scimmia è razzista anche per un bambino, quando invece è spesso usato come vezzeggiativo per i pargoli delle famiglie bianche.
Nella gara allo scandalo è spiccato il rapper Puff Daddy o Diddy o come si fa chiamare adesso, che ha offerto un milione di dollari alla famiglia del povero bambino. Puff sarà anche ricco sfondato ma non troppo sveglio, visto che probabilmente il piccolo modello non è stato rapito dalla H&M ma in quanto minorenne sarà stato accompagnato dagli stessi genitori, che o sono passati sopra il razzismo per soldi oppure non l’hanno visto.
A giudicare dall’intervento della madre Terry Mango su Facebook prevarrebbe la seconda ipotesi (sperando sia sincera), “smettetela di gridare al lupo” – metafora del razzismo in questo caso – “un problema inutile”.