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Iconicità dei capelli

Perdere il lavoro, la casa, la salute, l’amore (citando miseramente Massimo Ranieri)? No, peggio i capelli. Secondo un sondaggio riportato da La nuova Sardegna, per tre cagliaritani su cinque la calvizie sarebbe un trauma. Non ci sono riscontri su dati nazionali o mondiali – non li ho neanche cercati così approfonditamente – ma difficilmente i sardi possono essere così diversi dal resto del Paese o del Pianeta. Pur nella sua “leggerezza”, il dato intercetta ciò che il capello rappresenta nell’immaginario collettivo. Uno status associato, per uomini e donne, alla personalità, alla sicurezza di sé, alla seduzione e alla sensualità.

Palestina, parecchio avanti Cristo. Dalila tradisce Sansone tagliandogli la folta chioma, che gli conferiva forza e virilità. In generale, tutte le religioni hanno raffigurato la potenza degli dei attraverso lunghi capelli e vigorose barbe, da Zeus a Odino al Dio monoteistico ebraico prima e cristiano poi. La stessa iconografia del Cristo, al di là dei colori irrealisticamente troppo nord europei, probabilmente non avrebbe avuto lo stesso effetto “con lo zig zag di Homer Simpson”, per usare le dissacranti parole del comico Daniele Fabbri.

Ma le religioni hanno anche un rapporto conflittuale con i capelli. In chiesa, per onorare il padrone di casa, l’uomo doveva togliersi il cappello (soprattutto in passato, quando tutti lo indossavano) e stare a capo scoperto. Rientrerebbe nel normale galateo dei luoghi chiusi, ma le donne, all’opposto, dovevano coprirsi. L’ebraismo predica il contrario. Uomini con la kippah, donne senza niente. E poi turbanti, hijab e copricapi vari ed eventuali, a seconda di tradizioni e rituali. Mentre hare krishna (lasciando un codino) e bonzi si rasano completamente, come simbolo di castità.

In ogni cultura i capelli hanno una connessione con la maturità, spirituale, anagrafica e sessuale. Quanto di più virile di un guerriero che prende lo scalpo del rivale come trofeo? Anche ora i miliziani dell’Isis, nel loro macabro esibizionismo, tengono per i capelli le teste delle vittime di decapitazione.

Il male, come i fauni, i satiri, i diavoli (che ne riprendono le sembianze), le streghe, gli spiritelli vari, ha invece un’iconografia più disordinata, arruffata, anche sporca. Vuoi mettere con un bel capello morbido e curato?

Ma anche laicamente viene da chiedersi se Che Guevara sarebbe stato così leggendario, visto che batte Gandhi nella sfida delle magliette. In ogni caso, i capelli sono stati uno dei simboli della ribellione al conformismo pre-anni ’60, a società ed esercito che imponevano la disciplina del capello corto come repressione della personalità. È stranoto che i nazisti rasassero i prigionieri dei campi di concentramento per annullarne lo spirito, ma non sono stati i primi. Già i romani usavano questa pratica come forma di disprezzo, così come nel Medioevo la subivano le “streghe” condannate al rogo. E così inizia Full Metal Jacket, con una scena carica di significato dove i neo coscritti sono sotto le mani del barbiere militare.

Sansone e Dalila, dipinto di Max Liebermann. La forza e la virilità dell’eroe biblico stava nei suoi capelli

Le acconciature hanno segnato identità e appartenenza. Di casta o geografica, come il tipico taglio dei samurai in Giappone o la mohicana, che in realtà era in voga tra i wyandot, ma per un errore dei francesi fu attribuita ai mohicani. Oppure culturalmente più trasversale, come nel punk – che hanno ripreso la mohicana – nel reggae, rasta anche fuori dalla Giamaica, nel rock (capello lungo), nel rap (rasatura o treccine cornrow, di derivazione africana).

È vero che i capelli sono il primo biglietto da visita esteticamente parlando, la cosa che più immediatamente balza all’occhio. Anche nel piccolo quotidiano l’acconciatura assume rilevanza. Già dai tempi della scuola, affrontare la classe dopo il barbiere o il parrucchiere è un dramma, per maschi e femmine. I primi costretti ad affrontare il “colletto”, uno schiaffetto sulla nuca di derivazione militare: le quattro dita sono infatti la lunghezza “corretta” tra la sfumatura e la base del collo. Le ragazze subiscono la pressione dei commenti in maniera maggiore.

Oppure il risultato passa inosservato e, da stereotipo, la donna se la prende con l’uomo che nemmeno la nota. Per non parlare del lato psicologico, o presunto tale, per cui a un cambiamento radicale di pettinatura corrisponderebbe il desiderio di dare una svolta altrettanto radicale alla propria vita.

Mentre i calvi sono a metà tra buffa simpatia e ruolo da cattivo, da villain. Nosferatu, Lex Luthor, Mr. BurnsBenito Mussolini sono perfetti esempi (di malvagi, non di buontemponi). Gli altri (quelli alla Bisio) sono messi in mezzo, tra battutine e autocommiserazione ironica. Tutti a ricordare i bei tempi in cui i capelli erano lunghi e fluenti, invidiosi di chi può fare un movimento a semicerchio in mare, con tanto di schizzo, esteticamente superato solo dalla coda del pavone maschio.

Omaggio di Viola El a Brad Pitt nel ruolo di Achille nel film Troy. A parte inesattezze nella narrazione e “americanate”, le gesta del Pelide sono sottolineate dai lunghi e folti capelli

Non a caso, vedi Sansone, meno capelli equivale (senza fondamento scientifico) a meno mascolinità, così come per la donna sarebbe una perdita della femminilità. Perché biologicamente i capelli femminili possono crescere a lunghezze triple o quadruple di quelli maschili prima di spezzarsi e terminare il ciclo vitale – ecco perché storicamente gli uomini hanno capelli più corti. E per le donne è molto meno diffusa la calvizie, legata a condizioni più gravi di salute.

La fredda realtà è che i capelli, ma non è un mistero, non hanno nessuna funzione o utilità per la sopravvivenza della specie, del resto scaldavano di più i peli diffusi in tutto il corpo, che comunque sono andati diradandosi. Eppure nessun popolo è mai riuscito ad ignorarne la forte simbologia. Anche ora che la scienza ha spiegato qualche cosetta in più rispetto ai secoli scorsi, la loro caduta è temutissima. Perché la percezione sociale del calvo diventerebbe quella decadente di un uomo ormai anziano, che ha già dato tutto.

Secondo il sondaggio di apertura, a dispetto dei timori, solo un uomo (cagliaritano) su cinque pensa di agire per la salvaguardia dei capelli, gli altri due su cinque evidentemente sono fatalisti. Anche perché, come dice Daniele Fabbri, “la speranza è gratis, il trapianto no”.


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