Sabato, 20 giugno 1942
I bei tempi finirono nel maggio 1940; prima la guerra, la capitolazione, l’invasione tedesca, poi cominciarono le sventure per noi ebrei. Le leggi antisemitiche si susseguivano l’una all’altra. Gli ebrei debbono portare la stella giudaica. Gli ebrei debbono consegnare le biciclette. Gli ebrei non possono salire in tram, gli ebrei non possono più andare in auto. Gli ebrei non possono fare acquisti che fra le tre e le cinque, e soltanto dove sta scritto “bottega ebraica”. Gli ebrei dopo le otto di sera non possono essere per strada, né trattenersi nel loro giardino o in quello di conoscenti. Gli ebrei non possono andare a teatro, al cinema o in altri luoghi di divertimento, gli ebrei non possono praticare sport all’aperto, ossia non possono frequentare piscine, campi di tennis o di hockey eccetera. Gli ebrei non possono nemmeno andare a casa di cristiani. Gli ebrei debbono studiare soltanto nelle scuole ebraiche. E una quantità ancora di limitazioni del genere. Così trascorreva la nostra piccola vita, e questo non si poteva e quello non si poteva. La mia amica Jopie è sempre contro di me: «Non posso far niente con te, perché ho paura che non sia permesso». La nostra libertà è dunque assai ridotta, ma si può ancora resistere.
Non ha veramente senso prendere la foto di una bambina che sorride, con indosso una maglia sportiva, per insultare qualcuno. A maggior ragione se questa bambina è Anna Frank, una ragazzina quando diventò, suo malgrado, una delle più grandi scrittrici del Novecento. Morta di tifo, all’età di 15 anni, nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, due settimane prima della liberazione dal nazismo. Uccisa nel suo Paese di nascita, la Germania, perché degli esaltati, da un giorno all’altro, stabilirono di essere superiori a lei e “quelli come lei”, in nome della più completa mancanza di senno. Ah perché Anna Frank era ebrea. Ed ecco dove voleva andare a parare l’insulto!
Ma Anna Frank era, anzitutto, una ragazzina che viveva a Francoforte con la famiglia. Sì perché Anna era tedesca. “Vivace, che non faceva altro che ridere”, la descrisse un cugino. Ma nel 1933, quando il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori prese la maggioranza con Hitler, varò subito una legge che levò la cittadinanza alla sua e molte “altre famiglie come la sua”. Da un giorno all’altro.
Molti si rifugiarono in altri Stati, presto però invasi dalla Germania. La famiglia Frank aveva degli amici ad Amsterdam, ma nel giro di poco tempo il loro rifugio si trasformò in un vero e proprio “nascondiglio” con tanto di libreria girevole a coprire l’ingresso. Due anni dopo vennero scoperti e deportati. Morì tutta la sua famiglia tranne il padre. Nel mezzo Anna scrisse il suo diario, con una sensibilità che parla meglio di qualunque blatera inutile si sia fatta fin qui.
“Lunedì, 22 maggio 1944. La causa di questo antisemitismo è comprensibile, talvolta è perfino umana, ma non è giusta. I cristiani rimproverano agli ebrei di non saper tacere di fronte ai tedeschi, di tradire coloro che li hanno aiutati, cosicché molti cristiani per colpa degli ebrei hanno condiviso la terribile sorte e la terribile punizione di molti di noi. Tutto questo è vero ma, come in tutte le cose, bisogna guardare anche il rovescio della medaglia. I cristiani, al nostro posto, si comporterebbero diversamente? Può un uomo, ebreo o cristiano, continuare a tacere coi mezzi che impiegano i tedeschi per farlo parlare? Ognuno sa che è quasi impossibile; perché dunque si chiede l’impossibile agli ebrei? […] Perché si combatte questa lunga difficile guerra? Non ci raccontano sempre che combattono tutti assieme per la libertà la verità e la giustizia? E se già durante la lotta si manifesta una discordia, deve necessariamente aver torto l’ebreo? Oh, è triste, è molto triste che per l’ennesima volta si confermi il vecchio principio: “Se un cristiano compie una cattiva azione la responsabilità è soltanto sua; se un ebreo compie una cattiva azione, la colpa ricade su tutti gli ebrei””.
Questo scriveva pochi mesi prima dell’improvvisa irruzione della Gestapo nel nascondiglio. Questo vale ancora oggi, per tutte le comunità, per tutte le categorie. E vale anche per gli insulti. Così succede che se insulti una donna, tutte le donne si sentono offese, se insulti i gay, tutti gay si sentono colpiti, se insulti Anna Frank tutta la comunità ebraica si è sentita chiamata in causa. Anna con addosso una maglia della Roma. Viene da chiedersi, allora, se essere romanisti sia una cosa “di base” spregevole. E non la squadra qualsiasi di uno sport qualsiasi. Buona, non buona, solo quello dovrebbe contare… invece tutta la comunità si sente offesa e fa sentire il suo sdegno. Ma come osservava gsantoro, parafrasando una nota frase, “il razzismo è negli occhi di chi guarda”. E dargli adito, anche solo parlarne (aggiungo) è avvalorarlo, renderlo davvero reale, quando invece è il puro “niente”. Insomma, ma veramente stiamo ancora agli “sporchi ebrei”, “negri”, “prostitute”…?
Quello che mi chiederei è “perché ad (alcuni) laziali venga ancora in mente di offendere i loro avversari sportivi con la foto di una bella bambina, sorridente, una scrittrice, una persona buona e intelligente che non ha potuto realizzarsi, tragica martire della follia del potere… con indosso la maglia giallorossa…? (Io sarei orgogliosa). E perché gli ebrei si dovrebbero sentire offesi dal fatto che Anna Frank indossi la maglia della Roma? (Idem). E perché i romanisti si dovrebbero sentire offesi da una (grande) Anna Frank che indossa la loro maglia? (Idem). Insomma, chi sarebbe stato insultato? Tutto questo semplicemente non ha senso, siamo stati di nuovo trascinati nel mondo parallelo dei media. E lo si capisce da chi di contese calcistiche non “mastica”, quelli che non hanno capito e continuano a non capire il motivo di tanto contendere!
Così abbiamo passato settimane a parlare del nulla. A ruotare intorno a due sole questioni, peggio dei criceti: la volontà di insultare e la volontà di “volersi offendere” (ancora), fino ad arrivare ad attaccare chiunque, con la stupida pretesa, anch’essa estrema e irragionevole, che tutto il mondo “debba” conoscere per forza Anna Frank! Se un Mihajlovic, tecnico serbo del Torino, messo alla gogna per un “ma chi è?”, il giorno dopo ti risponde: “Voi sapete chi è Ivo Andric? È uno (juogoslavo) premio Nobel per la letteratura. Sono questi i personaggi che a noi hanno insegnato a scuola. Se per voi è grave non conoscere Anna Frank, per me è grave che voi non conosciate Ivo Andric”… c’ha ragione! Che tutto è relativo lo sappiamo da tempo. E come osservava il direttore de L’Espresso Marco Damilano, alla “banalità del male” sempre di più si cerca di rispondere con la “banalità del bene”, in un circolo vizioso anch’esso privo di senso.
Insomma basta. Questo insulto, se mai lo è stato, in ogni caso è stravecchio. Arriva tardi, come una battuta marcia. Detta e ridetta, sentita e risentita. Ormai vuota. E io sono insieme a quelli che non l’avevano colta. Così come non l’avrà colta la maggior parte degli italiani. Dov’è l’insulto? Allora è meglio stare zitti. Perché è qui che l’indifferenza può essere un’arma positiva (“guardare sempre il rovescio della medaglia” come faceva Anna e come insegnano gli stereotipi). Non cogliere certe questioni, certe battute, certe cattiverie aiuterà a farle morire. È una lotta pacifica e silenziosa contro chi vuole continuamente strumentalizzare la Storia, nonostante essa parli da sé.
Ma è ora che io la smetta di seccarti con queste storie di vecchi matti, tanto non serve a nulla. Ah, come divento saggia! Tutto nell’alloggio segreto deve esser fatto saggiamente, ascoltar le prediche, tenere il becco chiuso, aiutare… Ho paura che la mia saggezza, che non è poi molto grande, si consumi troppo in fretta e non me ne resti più niente per il dopoguerra.
La tua Anna (Sabato, 22 gennaio 1944)