Partendo dal presupposto che non è la rete ad aver creato la frustrazione della gente, in questi anni 2000 stiamo di certo imparando che la tecnologia crea spartiacque importanti a cui è necessario abituarsi. È vero che internet ti può piazzare in un attimo sotto gli occhi di tutti, ma è anche vero che oggi gli occhi dimenticano presto quello che vedono. Perché ormai vedono troppa roba. E perché è importante acquisire un certo distacco per non uscirne pazzi (e difendere la propria privacy con un pizzico di paranoia). Essere cyberbulli riguarda i giovani, essere stalker gli adulti. (Di solito).
[continua da Cyberbullismo, vecchia storia nuova tecnologia (1)]
“Un ragazzino una volta mi disse: ‘io odio online perché con quel tipo di contenuti ottengo dei like, se pubblico cose belle non ho niente. Se a lei adesso venisse un infarto e io la soccorro verrò preso in giro, se la riprendo invece avrò milioni di visualizzazioni’, continua a raccontare Giovanni Ziccardi, studioso di hacking, esperto di bulli e stalker in versione “cyber”.
Un fenomeno vecchio che si lega a un’odierna “voglia di esserci che sembra realizzarsi solo grazie all’odio. D’altra parte è la stessa tecnica utilizzata da media e politica. Se quelli invitano solo urlatori e razzisti, perché devo essere l’unico a non odiare? A non attirare l’attenzione in questo modo, perlomeno? È una sorta di giustificazione, certo: ma è quello che succede intorno a me, e magari sono compresi i miei genitori. Oggi l’odio è la nuova moneta”. Ma non l’hanno certo inventato i ragazzini…
Anzitutto “non siamo più nell’era della privacy, c’è la morte completa dell’anonimato. Si dice che tutti insultano perché sono anonimi… ma non è vero! Tutti i ragazzini sono lì con nome e cognome, perché in realtà devono e vogliono essere riconosciuti dalla propria comunità!”
“Ci vogliono dalle 24 alle 48 ore per creare un’identità credibile per fare da stalker o bullizzare una persona. Il paradosso sta, infatti, tra l’enorme fragilità dell’identità digitale e l’estrema fiducia a scambiare informazioni. Le piattaforme non mettono alcun filtro all’ingresso. Io stesso riuscii in poco tempo a creare un profilo di un adolescente e a ottenere molti contatti”. Roba da Catfish.
“Il fatto è che oggi chi attacca ha una potenza inaudita, mentre chi si difende fatica moltissimo. Semplicemente perché non si attacca più da soli. Il che significa, anche solo l’essere accompagnati dalla tecnologia stessa: “i ragazzi di oggi sono molto competenti da questo punto di vista, e così, se si ha cattive intenzioni, si può creare un vero e proprio “esercito”. Basti pensare che oggi esistono strumenti automatizzati perfino per gli stalker – per generare chiamate/sms a ripetizione capaci di far collassare il telefono. Per fortuna per ogni cosa esiste anche il suo contrario, così anche per chi ha bisogno di proteggersi, vengono in aiuto delle app come quelle in grado di postare su facebook posizioni diverse rispetto a quella reale”. Insomma oggi “è più facile trovare qualcuno, ma è anche più facile nascondersi”.
Un nodo però c’è: “Ieri l’ex esisteva veramente, oggi non sembra essere più così. Il rischio che riappaiano sembra aumentare. Se qualcuno ci prende di mira prima o poi ci trova. Prima si consigliava alla ragazza di tagliare i ponti o mediare, ma erano modalità che funzionavano quando entrambi erano sullo stesso piano. Oggi, a causa di questa disparità, se uno vuole può diffamare l’altro a livello mondiale, e anche se dopo ci si pente, le informazioni non potranno più essere recuperate”.
Nel frattempo, mentre i ragazzi sono consapevoli del crimine del cyberbullismo, gli adulti parlano ancora di goliardate. Da una parte c’è chi “non vuole sanzioni per non condizionare i ragazzi a vita, adottando gli ammonimenti come si fa per gli stalker”, dall’altra c’è chi vuole il penale, unendosi alla Convenzione europea. Fu” esemplificativo quest’anno il caso Rivello-Eichenwald” dove per la prima volta è stato portato in tribunale il responsabile di un evento di cyber stalking: Rivello inviò al giornalista del Newsweek una gif pensata per procurargli una crisi epilettica. “Il massimo della violenza che si può pensare…”
Insomma, che sia bullo o stalker, bisogna rendersi conto che non esiste parlare di ‘mio profilo’ in rete. Qualsiasi profilo pubblicato su internet è di dominio pubblico: un banale screenshot può violare qualsiasi privacy. Sarebbe quindi meglio smettere di pensare che sia privato, cercando magari di non inserire proprio tutto. Anche se siamo nell’era dell’esibizione, e solo fino agli anni ’80 – ‘90 la privacy era un valore. Perfino gli hacker quando hackeravano appuntavano le informazioni su agendine che mai si sarebbero sognati di condividere. Invece oggi nessuno cancella e tutti condividono, la privacy è esibizione”.
“Mi dicono spesso che metto paranoia con i miei interventi…”, continua Ziccardi, ma anche quella è cambiata. Pensatela così: “oggi la paranoia è uno strumento di difesa. Controlliamo solo il 50% delle nostre informazioni e dobbiamo esserne consapevoli”. Per il resto ci pensa lei a difenderla.
Ma non diventate ossessionati ! Basta semplicemente essere un po’ più discreti.
“Sono convinto che oggi ci stiamo facendo tanto male per arrivare a un punto di saturazione”.
E se proprio dovesse rimanere tutto così, sarà comunque sempre più facile da contrastare e da sostenere emotivamente. Perché è ancora un fatto nuovo che possano “metterti alla berlina” su scala globale da un giorno all’altro. Forse abbiamo solo bisogno di un po’ di tempo per abbracciare una certa leggerezza. O forse, come dicevano quelli che c’avevano già capito tutto, Verba volant, scripta manent. Ed è quello che fa male. Ancora vero, è ancora di più per l’online, dove regna l’eterna replica dei contenuti.