In Europa si parla sempre del potere che mette a tacere i giornalisti – cosa vera, grave e diffusa (leggi La “libertà” di stampa…). Al contempo non si parla mai (se non in zona Cinquestelle con i soliti toni generalizzanti), dei tanti giornalisti corrotti (perlomeno da un punto di vista professionale) che di fatto non forniscono una visione oggettiva del potere. Giornalisti, insomma, che si prendono delle libertà che ovviamente hanno degli effetti a caduta su intere popolazioni…
Non ci sarebbe nulla di male se il giornalista parlasse dal suo punto di vista. Esiste una corrente in America che si dedica a questa impostazione, si definisce “giornalismo narrativo” (il capostipite fu Truman Capote) e crede in un assunto importante: nell’impossibilità di essere oggettivi – come per gli antropologi o i fotografi che per forza di cose mettono sé stessi nella “scena” – si cerca almeno di essere il più onesti possibile, fornendo il proprio punto di vista (perché ne esistono un’infinità), informati sui fatti. E facendo capire ai lettori che di questo si tratta. (Che è un po’ quello che proviamo a fare anche noi). “Onesti”, “informati”, “facendo capire”.
Chi elogia il potere tirannico con toni oggettivi, invece, fa il gioco della tirannia stessa. Situazioni pesanti ed esemplificative ci arrivano attraverso il racconto di colleghi giornalisti del nostro stesso sud-est Europa.
In prima linea, per la libertà di stampa, ci sono anche le donne. Zrinka Mojzes, editrice del settimanale Nacional, famoso per aver rivelato la corruzione in Croazia, sottolinea quanto si dica, di solito, che i politici nascondano. Non si dice mai quanto molti di loro “in realtà parlino anche piuttosto apertamente, ma sono così potenti che non hanno paura di perdere il loro potere. Mentre dall’altra parte ci sono giornalisti che li trasformano in divinità! Spesso infatti non ricevono alcuna pressione, vogliono solo brillare davanti al proprio leader! Come alla fine è successo anche a voi, con Berlusconi…”
Ritorna il paragone con l’Italia, e il suo modello ispiratore, quando si parla di propaganda in giro per il mondo. Ma quanto era “docile” la nostra, in confronto a queste nuove realtà? Besar Likmeta, giovane giornalista investigativo albanese (classe 1983) dice: “in Paesi come Kosovo, Montenegro, Macedonia, la crisi oggi è particolarmente grande. In Serbia i proprietari dei media creano vere e proprie “realtà alternative”, mentre i politici utilizzano grandi megafoni, come può essere la tv, come quando per voi era piena di Berlusconi e veline. I giornalisti vengono attaccati o ignorati e ci si prodiga anche per la propaganda vicendevole”, per diventare più forti attraverso sistemi di alleanze.
In Serbia, solo quest’anno, il primo ministro Aleksandar Vucic, già in carica, ha comprato tutte le prime pagine dei quotidiani prima dell’inizio del silenzio elettorale. E ha vinto. “C’è un crescente nazionalismo di cui l’Europa dovrebbe preoccuparsi”.
In Ucraina c’è Anna Babinets, fondatrice dell’agenzia di giornalismo investigativo lidstvo.info, piccola, non-profit, e a caccia di corruzione. “In Ucraina oggi abbiamo libertà di movimento e lavoro, ma ci sono molti problemi comunque. “Prima del 2014” (anno in cui è stato eletto Porošenko del Partito Social Democratico come presidente) “il nostro lavoro era ignorato. Ora siamo più ottimisti, più democratici, ma comunque dobbiamo combattere contro l’autorità”.
Sempre a proposito di paralleli, infatti, “Porošenko è legato alla mafia ed è un imprenditore del cioccolato. L’anno scorso sono stati pubblicati i Panama papers (documenti su società offshore) e il presidente era uno dei nomi. Promise di vendere l’enorme industria, ma non l’ha mai fatto. E oltre a questa ha anche altre società nascoste in giro per il mondo, a Cipro, in Olanda ecc. Di fatto è il più grande scandalo offshore dell’Ucraina. Ma la gente accusa i giornalisti di lavorare contro il Paese, di stare dalla parte della Russia”.
Anche in un’altro pezzo di Europa, la Bielorussia, è impossibile una buona qualità di giornalismo (e giornalisti). La dittatura più che ventennale di Aleksandr Lukašenko, sotto il segno del comunismo, “non è contro qualcuno in particolare, semplicemente chiude i giornali. Questo è veramente pericoloso, in confronto in Ucraina c’è una grande libertà! La verità è che miliardi di soldi russi controllano i media in tutta la regione del Sud-Est Europa, ma finché non ci saranno prove non possiamo dirlo”.