In Europa parliamo sempre di libertà di stampa. Di come il potere mette a tacere i giornalisti. Ma di che potere si tratta? Potere politico, il più delle volte, ma anche potere mediatico e, nel nostro stesso sud-est Europa, c’è anche il potere dei trafficanti di droga. Poi, c’è anche l’altro giornalismo, quello che non riceve alcuna pressione…
Nei primi due mesi del 2017, l’organizzazione con base a Vienna South East Europe Media Organisation (SEEMO) “ha pubblicato più di 35 lettere di reazione, relative a violazioni della libertà di stampa nella regione. Censura forte da parte degli stati, auto-censura, pressioni degli inserzionisti, intimidazioni, minacce, attacchi fisici, giornalisti in prigione, protezione della polizia, ma anche pressioni da parte di uomini d’affari, politici e gruppi religiosi sono parte della vita quotidiana di un giornalista nell’Europa sudorientale e centrale”.
“La Croazia, per esempio, è dentro l’Europa, ma non c’è alcun monitoraggio sul processo di democratizzazione”, dice Zrinka Vrabec Mojzes, editrice del settimanale Nacional, che è famoso per aver rivelato la corruzione in Croazia, “il risultato è che i media rimangono forti, i giornalisti ignoranti, e la gente rassegnata. L’evento più tragico avvenne nel 2008 quando a Zagabria furono uccisi due giornalisti del Nacional, l’editore e direttore Ivo Pukanic e un suo collaboratore Niko Franic, probabilmente dalla mafia del Montenegro”. Il giornale aveva denunciato proprio i rapporti tra questa e la politica e mafia croate.
Da quell’evento inerente “solo” la stampa e la sua libertà, il terrorismo era diventato un fatto che poteva mostrarsi lungo le strade delle città.
Si dice sempre che sarebbe bello avere più donne al potere, è vero, ma può succedere pure, alla stregua degli uomini, che ti ritrovi con l’attuale Kolinda Grabar-Kitarović, la prima e più giovane presidente della Croazia, sì, ma “dichiara che i giornalisti hanno la colpa di tutto quello che succede” (ricorda qualcosa?) Viene dall’Unione Democratica Croata, ma dal 2015 è Indipendente. Fondamentalmente “è fascista, e questo è pericoloso”.
Meno di un anno fa, a luglio 2016, un altro giornalista è stato ucciso “alla mafiosa”, e cioè con la bomba piazzata in macchina. Stavolta siamo in Ucraina, a Kiev”, ma il giornalista Pavel Sheremet era russo, nato in Bielorussia, e dipendente del giornale online Ukrainskaja Pravda. Il New York Times lo descriveva come “una spina nel fianco del presidente bielorusso Alexandr Lukashenkho” (dittatore più che ventennale). Sottolinea Anna Babinets, ucraina, fondatrice dell’agenzia di giornalismo investigativo lidstvo.info, piccola, non-profit, e a caccia di corruzione: “per la prima volta la gente rimase scioccata. Iniziammo la nostra investigazione e nel giro di due settimane uscimmo col pezzo, avevamo scoperto che a mettere l’ordigno erano stati un uomo e una donna bielorusso-ucraini. Tutti dicono ora che è importante sapere cosa è accaduto, che la situazione è difficile, ma non va ignorata. Ora è chiaro che ognuno di noi può essere ucciso. Mentre il presidente dell’Ucraina Petro Porosenko si preoccupa della sua immagine e reputazione, spendendo tutto per calmare lo scandalo dei Panama Papers (documenti su società offshore) in cui il suo nome è presente, i giornalisti cercano di rovinargliela. Nella sua prospettiva dovremmo sentirci sbagliati”.
In zona Albania e Balcani, “i trafficanti di droga, i proprietari di media e i politici sono il potere” dice un giovane giornalista investigativo albanese Besar Likmeta (classe 1983). “E spesso diventano l’uno l’altro per l’alto livello di corruzione. La più grande difesa che abbiamo è la nostra integrità, perché di fatto non avranno mai niente contro di noi. Loro invece hanno un contesto criminale tutto intorno, forse anche in altri Paesi”.
La verità giornalistica oggi è complicata da tanti meccanismi, come “il silenzio odioso”, quando, invece di perdere tempo a creare “fatti alternativi” (altro fenomeno che si sta diffondendo) i poteri decidono che “non ti daranno proprio informazione”. Oppure le “teorie della cospirazione non basate su fatti. Da quelle vecchie (la cospirazione delle banche ebree) a quelle nuove (“l’ingerenza americana di stampo imperialista” rappresentata ora dal miliardario filantropico George Soros), il registro non cambia: l’importante è diffondere “fantasmi di fumo”. “Siccome non è attraente aiutare l’informazione indipendente” si deve mettere in mezzo qualcuno. “Non c’è alcuna evidenza che Soros abbia cercato di fare pressioni sui media”, ma di certo “Soros è il nemico numero uno dei populisti dell’Europa dell’Est”. Già l’Ungheria di Orban si è scagliata contro la sua Central European University (Ceu), e sembrano intenzionati a seguirlo anche Polonia, Slovacchia e Macedonia.
Dieci anni fa Likmeta fu fisicamente attaccato da un parlamentare albanese durante un’intervista, perché aveva esercitato la sua libertà di stampa, denunciando la falsità della laurea del politico. Ci fu un’inchiesta, ma alla fine le autorità non hanno agito. “Purtroppo in questo modo le persone non potranno mai giudicare in modo giusto. Ci sono giornalisti indipendenti che parlano di fatti e combattono il potere, anche se non sono molti (perché ovviamente non ci sono molti fondi per chi è indipendente). E perché così facendo deprimono la gente, e questo la gente giudica. Dovrebbe essere il giornalista a cambiare o i cittadini? La buona (e cattiva) notizia è che, oltre ai giornalisti, ci sono tante persone in Europa e non solo che lottano contro il potere. Non vi sentite dispiaciuti per noi, ci prendiamo soltanto cura della società! Ma di certo è più facile essere un pessimo giornalista e prendere la promozione…”
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