Nel giro di un secolo il “lupo solitario” si è evoluto da bandito tornato sulla retta via, a criminale, a terrorista di estrema destra, a terrorista islamico. L’erronea fenomenologia di un altrettanto erronea metafora…
Il lupo solitario: terrorista ormai associato all’islamismo più fanatico, libero da vincoli con le organizzazioni principali e che agisce di propria iniziativa, usando il marchio Isis come fosse un franchising. L’idea diffusa che si ha di questi soggetti è fuorviante.
“Lone wolf”, lupo solitario, era il nome d’arte del personaggio di fantasia Michael Lanyard, ex ladro di gioielli diventato investigatore privato, nella fortunata collana di romanzi di Louis Joseph Vance. La prima pubblicazione, intitolata proprio The Lone Wolf, è datata 1914. Tre anni dopo andrà in onda il primo film di una prolifica serie, più che trentennale. Il primo (auto)accostamento al personaggio risale invece al 1925. Un molestatore di Boston aveva scelto di denominarsi così, come riportano le cronache dell’epoca.
Prima che il lupo solitario diventi sinonimo di terrorista e non di criminale comune devono passare oltre cinquant’anni. E ciò non avviene negli ambienti fondamentalisti musulmani, ma in quelli dell’estrema destra statunitense, suprematista bianca e fortemente antigovernativa. A sintetizzare la teoria del singolo uomo in grado di sovvertire il potere basandosi sui principi ideologici e non sulla guida gerarchica è Louis Beam. Nato nel 1946 e veterano della guerra in Vietnam, Beam entra nel KKK della Louisiana e nel gruppo Aryan Nations per protesta contro la politica di aiuti ai pescatori vietnamiti immigrati negli Stati Uniti.
La sua strategia di “resistenza senza leader” è stata ripresa, ma non attuata, da Tom Metzeger, fondatore di White Aryan Resistance, associazione finita in bancarotta per sostenere le spese processuali per l’omicidio di una studentessa di origini etiopi, imputato a suoi affiliati. Nemmeno Timothy McVeigh – altro reduce di guerra, stavolta la prima del Golfo – noto per l’attentato all’ufficio federale di Oklahoma City del 1995, costato 168 morti, è stato un vero lupo solitario. Innanzitutto aveva un complice, Terry Nichols, ed era comunque legato a gruppi neonazisti. Nel 1998 l’Fbi lancia l’operazione Lone Wolf, per contrastare l’ondata dei cosiddetti crimini d’odio.
Solo tre anni dopo, l’attenzione si sposta dal terrorismo di estrema destra al fondamentalismo islamico. Ma lo spauracchio del momento è Al Qaeda, organizzazione gigantesca, ricchissima, capillare. Per l’attentato alle Torri Gemelle sono materialmente coinvolte una ventina di persone, ben addestrate. Le seguenti leggi antiterrorismo degli Stati Uniti prevedono una sorta di tipizzazione del lupo solitario, visto come straniero che ha operato da solo nel territorio americano, ma con alle spalle una rete ben articolata.
Nel 2004 Abu Musab al-Suri, al secolo Mustafa bin Abd al-Qadir Setmarian Nasar, ora prigioniero in Siria, si fa portavoce delle stesse teorie neofasciste dei vari Beam e Metzger, formando un ampio gruppo di jihadisti afghani, rimanendo di fatto indipendente nonostante i continui accostamenti ad Al Qaeda.
Negli anni la tipologia degli attentati è cambiata, dando vita al mito del lupo solitario, kamikaze quasi allo sbaraglio. Tuttavia come riporta Jason Burke, corrispondente dall’Africa per The Guardian, il 95% dei terroristi che ha agito da solo ha comunicato almeno a parenti o amici i piani, il 79% ha avvisato anche personalità “autorevoli” delle organizzazioni di appartenenza. Molti sono stati effettivamente “sul campo”, tra nord Africa, Medio Oriente e Asia centrale per ricevere un certo grado di preparazione, senza dimenticare la propaganda on line, che spiega anche le modalità di attacco e contribuisce a forgiare idee deviate in soggetti dall’evidente disagio di partenza.
Il database professionistico LexisNexis ha rilevato che il termine “lupo solitario” è stato usato fra il 2009 e il 2012 in 300 articoli inglesi. Già nel 2016 l’incidenza era più che triplicata. I media hanno il problema di dover dare risposte esaurienti in poco tempo anche su tematiche che richiedono indagini più profonde e accurate. Così gli attentati che hanno colpito l’Europa e gli Stati Uniti (Orlando) negli ultimi anni sono stati etichettati come opera di presunti lupi solitari, alla pari di quelli anti-islamici (la moschea in Quebec) o neonazisti (Breivik a Utoya, Norvegia).
L’effetto sull’opinione pubblica è duplice e contrastante. Da un lato i lupi solitari incutono più paura, paranoia. Può essere chiunque vicino a te, perfino insospettabile. Dall’altro si riduce il ruolo delle organizzazioni paramilitari che stanno alla base, favorendo discorsi securitari secondo cui un singolo individuo sia più facilmente battibile rispetto a una complessa rete.
In sostanza, il falso mito del terrorista fai-da-te si sovrappone a quello dei lupi come animali antisociali, che pure ha il suo fascino simbolico. La realtà vede invece una più banale gerarchizzazione del branco strategica per l’autoconservazione, altro che lupo solitario. Esattamente come accade con il terrorismo.