Internet: invenzione epocale, veicolo di libertà, capace di diffondere idee e notizie istantaneamente in tutto il mondo, magari in grado di rovesciare governi corrotti senza nemmeno l’arma del digiuno come Gandhi. Oppure ricettacolo d’odio, di notizie false, di mistificazione, bazar di illegalità di ogni tipo.
Il dibattito su internet (nel senso di “riguardo internet”, non “in internet”), come per tanti altri argomenti, risente di una costante divisione in tifoserie oltranziste sostenitrici dell’una o dell’altra posizione e incapaci non solo di un dialogo, quanto anche di un ragionamento che scavi appena la superficie. Un po’ come quando si parla dell’agnello a Pasqua, di euro o lira, Pd o M5S, di immigrazione e di rapine in casa.
Internet è sia l’una che l’altra cosa o meglio non è né l’una né l’altra cosa. Internet è semplicemente uno strumento, neutro di per sé. È l’uso che ne viene fatto che lo porta ad essere ora più Che Guevara, ora Charles Manson. In realtà è l’utenza che oscilla da Che Guevara a Charles Manson, ovviamente con tutte le sfumature intermedie. È il cosiddetto “popolo della rete”, definizione che non vuol dire niente.
Non è una congrega segreta, di persone virtuali che non hanno riscontro nella vita vera. Ormai non è nemmeno più una nicchia. Sono, siamo persone con una connessione internet, cioè la quasi totalità del nostro habitat. Se poi l’utente abbia atteggiamenti da Dr. Jekyll e Mr. Hyde a seconda che sia on-line o meno, è un problema suo, non si può sempre scaricare la responsabilità su “altro”. È colpa di internet, è colpa dell’alcol, dei videogiochi, dei film, di Marilyn Manson, mai della violenza presente in chi la compie.
Internet non comporta il cambiamento di suo, calandolo dall’alto. Velocizza la comunicazione, questo è indubbio. Ma poi dipende da tutti noi avere qualcosa da dire. Insomma, le correnti artistiche, filosofiche, di pensiero si formavano da millenni prima dell’avvento di internet, all’agorà, al foro, in caffè, nei circoli, dove si sono formate personalità passate alla Storia. La differenza è che prima bisognava attivarsi, cercare i migliori luoghi di incontro, essere motivati. Ora siamo ricettori passivi.
Poi ci sono state le “primavere” arabe, nate grazie all’azione di giovani che hanno saputo sfruttare la rete per combattere le dittature di Tunisia, Egitto, Siria. E all’inizio deve essere andata così, genuinamente. Solo che poi chi ha realmente preso le redini della protesta sono stati gruppi organizzati, armati, di vario tipo. Da ribelli “classici” al fondamentalismo dell’Isis, in una situazione molto composita. Ma lo stesso Stato Islamico, che pure sfrutta alla grande internet, non si ferma a quello. Grande opera di radicalizzazione avviene in carcere, oltre che nelle strade, in mezzo al disagio. Non tanto diverso dalla criminalità organizzata di tutto il mondo.
Se i meriti non sono così meriti, anche i demeriti vanno depotenziati. Se proprio vogliamo dare una colpa a internet, è quella di dare voce a tutti. Sì, democratico, uno varrà pure uno, ma perché dobbiamo leggere l’opinione di Nina Moric sulle coppie omosessuali o quella di Red Ronnie sui vaccini? Ma ancora, la colpa non è di internet, è di chi non si attiene alle proprie competenze nell’illusione che abbia qualcosa di interessante o di importante da dire. Illusione rafforzata dal riscontro del pubblico. Se ogni post del genere venisse ignorato, tutto cesserebbe. Come quando ti dicono di non dare da mangiare all’animale, che se ne andrà spontaneamente. Stesso identico meccanismo.
Rabbia e violenza sono sempre esistite, dalla mitologia di Caino che uccide Abele e Romolo contro Remo. Erano in due e si ammazzavano. Anzi, internet potrebbe addirittura aiutare a rimanere nella sfera virtuale, se visto come valvola di sfogo. Ma non è la rete a riportare a galla razzismo, sessismo, omofobia, bullismo. Sono sentimenti mai spariti, magari sopiti sotto la maschera della civilizzazione in periodi di crescita e sviluppo, soprattutto economico. Come le cose vanno male si torna a puntare il dito contro il capro espiatorio. Ma non è che gli ebrei, le streghe o gli untori in passato siano stati accusati da internet. Voci false e fomentatrici di odio sono girate sempre e comunque.
Ultima “moda”, più presunta che vera, è il gioco Blue Whale, sfida estrema che partirebbe on line da master russi che inviterebbero adolescenti a prove sempre più dure fino all’ultima, il suicidio. I suicidi, a centinaia ogni anno, sono veri, per carità. Ma nella media della storia russa. Ancora una volta si sceglie la via facile della causa esterna, della distorsione provocata da internet. La cosa agghiacciante è la spettacolarizzazione di questi suicidi, filmati. Ma anche in questo caso, la colpa non è del mezzo, della rete, ma della voglia di apparire, pure se si tratta degli ultimi istanti di vita. Del resto Andy Warhol lo diceva a decenni dall’avvento di internet, che tutti cercano la celebrità. Anche per 15 minuti.
In conclusione, la tecnologia avanza ma la mentalità umana di fondo è la stessa da millenni. Senza comprendere questo non si potrà trattare internet con il distacco e l’obiettività dovute, senza divinizzare o demonizzare, senza scaricare le responsabilità personali che tutti abbiamo nel compiere le nostre azioni.