Le convenzioni sono spesso considerate terreno di scontro fra progressismo e conservatorismo, linea di confine tra un comportamento tradizionalista e uno anticonformista. È una visione della realtà fin troppo semplificata, analizzando ogni aspetto della vita tutto è convenzionale, per definizione: una convenzione è infatti una regola accettata dalla collettività. Si può andare dall’alfabeto, al calendario, fino al pensiero della maggioranza. Quello che si può sperare è cambiare qualche minimo aspetto e godersi le piccole vittorie, perché non sarà probabilmente mai possibile un mondo completamente libero dalle convenzioni. Difatti secondo un aforisma anonimo, “senza ordine non può esistere nulla, senza caos nulla può evolvere”. Sta tutto negli equilibri che si danno.
Una delle più importanti forma di convenzione è il linguaggio. Ogni idioma è un codice ufficialmente accettato da una specifica comunità e quando nasciamo ci viene progressivamente insegnato. Ci dovrebbe essere poco spazio per l’interpretazione, una sedia viene chiamata sedia, a nessuno viene in mente di metterlo in dubbio e nominarla altrimenti. Ma di anno in anno nel vocabolario vengono inseriti neologismi, più o meno utili o rivoluzionari. L’evoluzione porta a cambiamenti graduali, non parliamo più latino, ma non c’è stato un momento preciso in cui, dal nulla, si sia detto: passiamo dal latino all’italiano o dall’inglese shakespeariano a quello contemporaneo. È un’azione lenta e costante.
Una questione aperta da poco è sulle declinazioni femminili. Un anno fa l’elezione di Virginia Raggi e Chiara Appendino a Roma e Torino ha fatto emergere il dibattito se fosse legittimo passare a “sindaca”- già c’erano amministratrici di città, ma non importanti come la Capitale o il capoluogo piemontese. Ovviamente l’Accademia della Crusca si è espressa in favore della locuzione “sindaca”, ma questo era facilmente risolvibile. Più spinoso il tema dei plurali, convenzionalmente declinati al maschile in italiano.
Il tappabuchi dell’asterisco è più detestabile del vero o presunto maschilismo dell’italiano. Questo segno grafico non può essere la risposta, una possibile “rivoluzione” sarebbe recuperare il neutro, presente sia nelle lingue mediterranee antiche che, ad esempio, nell’inglese attuale. Se in italiano bisogna dilungarsi in “tutti e tutte” o abbreviare nell’illeggibile “tutt*”, l’anglosassone everybody non fa sentire esclusa nessuna. Oppure, culturalmente, “pensare” nella forma neutra: se si dice amici, romani, concittadini, mentalmente non visualizzo solo uomini ma una collettività di uomini e donne. Che indubbiamente è più difficile, ma almeno toglierebbe responsabilità alla lingua, che di per sé non ha colpe.
Le lotte contro le convenzioni sono molto selettive ed è giusto, perché non potranno mai essere vinte tutte. Non nel breve, non senza soluzioni alternative. Capitolo cognomi, prima di lasciare il maschilismo. Per convenzione diamo quello del padre, in Spagna c’è il doppio cognome e alle generazioni successive si tramanda il primo (a scelta) di ogni genitore, altrimenti si avrebbe un effetto valanga. Ma anche questo sistema è in un certo senso esclusivo, solo che almeno la donna non è automaticamente subordinata. Altri Paesi come Tibet, Etiopia ed Eritrea non hanno proprio il cognome, cosa impensabile nel resto del mondo, per evitare confusione e scambio di persone.
Il tempo è un’altra grande convenzione. Si sa che filosoficamente e fisicamente il tempo è un continuo scorrere dove non esistono passato e futuro, ma solo un eterno presente. Però non si potrebbero fissare appuntamenti, di svago o di lavoro, se non avessimo costruito una scansione prestabilita, in anni, mesi, giorni, ore e minuti, con tanto di fusi orari. Nessuno che si professi anticonvenzionale ha mai messo in dubbio il sistema, al massimo si sente tale per non essere puntale, ma sempre secondo criteri acquisiti, interiorizzati e ormai ben radicati.
Il giorno e l’anno hanno senso, perché basati su movimenti astronomici. Il resto sono convenzioni. Perché la settimana ha sette giorni e ci sono dodici mesi? O perché esistono del tutto, non potremmo abolirli come le province e creare un blocco unico di 365 giorni? Le settimane servono per ritmare il lavoro e il riposo, partendo da una concezione biblica prima ancora che sindacale, poi accettata per convenzione in tutto il mondo. Anche la numerazione dell’anno parte da lì. Siamo nel 2017 dalla nascita di Cristo. È il 2017 anche per gli atei, che non protestano. È tutto sommato il 2017 per le altre religioni, che pure se hanno un conteggio diverso, accettano nel contesto internazionale che il cristianesimo sia predominante. Che si tratti di una riunione dell’Onu, l’Expo sul cibo, il mondiale di calcio o qualsiasi altra manifestazione, è il 2017 per taoisti, shintoisti, musulmani, ebrei, induisti, buddhisti.
È convenzionale la divisione amministrativa, dal municipio allo Stato. Come diceva Jurij Gagarin, la Terra dallo Spazio non ha confini. Sì, qualcuno naturale esiste, mare e montagne, ma questo non vuol dire che il Sahara sia spartibile per soddisfare le esigenze dei colonizzatori europei, desiderosi di imporre il modello nazionale a chi non lo ho mai contemplato, spesso vivendo nomade. Sono convenzioni le leggi, dettate dal patto sociale teorizzato da Thomas Hobbes, promulgate per “elevarci” dallo stato di natura, quello sì libero da sovrastrutture e squisitamente istintivo, nel bene e nel male.
Le convenzioni, dunque, permeano ogni aspetto sociale. Certe volte possono essere necessarie, contro altre vale la pena combattere.