La satira è probabilmente la forma di espressione più controversa. Inutilmente si è provato a descriverla, definirla, perfino a normarla, per tracciare dei limiti a cui comunque sfuggirà.
Nell’antica Grecia il commediografo Aristofane prendeva di mira il demagogo Cleone, il potente del suo tempo. Anche tra i romani la satira poteva essere letteraria o teatrale e tra i tanti autori si ricordano i vari Lucilio, Orazio, Persio, Giovenale, Quintiliano, Petronio. Lo stesso nome satira viene dal latino satura lanx, il piatto dove venivano poste le offerte destinate agli dei.
Nel Medioevo si sviluppa la forma satirica allegorica, con la rappresentazione umana sotto sembianze animali. Nel mirino politica e religione (contrariamente a quanto si possa pensare su quel periodo!), soprattutto nei componimenti provenzali ma anche con tracce in Petrarca, Dante e ovviamente Boccaccio. Nel Seicento troviamo in Don Chisciotte di Cervantes, poema eroicomico, l’esempio più famoso, ma in tutta la letteratura ci sono riferimenti satirici.
Nemmeno Mussolini era immune alla satira, almeno all’inizio. Nei primi anni della repressione, il periodico Marc’Aurelio ironizzava sulle implicazioni del Duce nell’omicidio Matteotti. Dieci anni dopo però pubblicava vignette antisemite, in linea con le leggi razziali.
Più o meno contemporaneamente, lo scrittore, giornalista, umorista viennese Karl Kraus, scherniva la società dell’epoca, nessuno escluso. Poi arriva Hitler e Kraus pubblica La terza notte di Valpurga, testo satirico e di denuncia che si apre con la frase “su Hitler non mi viene niente da dire”, per sminuirne la statura politica.
Nasce dalla beffa anche l’idea di Charlie Chaplin di portare sul grande schermo Il grande dittatore, dileggio del Führer dettato dall’effetto tragicomico generato in Charlot ogni volta che lo vedeva o sentiva fare discorsi.
Nell’immediato secondo dopoguerra il genere comico più diffuso è l’avanspettacolo, leggero, per dimenticare il dramma. Poi arrivano gli anni ’60 e la società e le sue contraddizioni sono nuovamente messe in dubbio, sotto tutti i punti di vista. A dare una svolta ci pensa Lenny Bruce.
Si espone a difesa dell’omosessualità e di due insegnanti licenziati per quel motivo nell’America bigotta, razzista, omofoba di allora. Usa un linguaggio sconcio e politicamente scorretto per depotenziare l’effetto delle singole parole e viene ripetutamente arrestato per oscenità. Oppresso dal sistema, Bruce muore per overdose nel 1966, a due mesi dal quarantunesimo compleanno. Nel 1974 gli è stato dedicato il film Lenny, diretto da Bob Fosse e interpretato da Dustin Hoffman.
Lenny Bruce apre la strada a tanti altri comici di stand-up, genere che prevede solo un microfono a filo e cose da dire. Ed è questo l’unico nodo, l’unica o una delle poche regole della satira (fatta bene). Avere cose da dire da un’altra prospettiva, purché sia interessante e intelligente. Andare contro il potere, che non è solo il governo o il politico di turno, ma soprattutto il pensiero unificato dell’uomo medio. Come ha fatto 30 anni fa Matt Groening creando Homer Simpson, pigro, ignorante, esagerato in materia di cibo e alcol, immerso nel contesto grottesco di Springfield. Sicuramente un momento di rottura nel mondo dei cartoni.
La cosa importante da ricordare è che il comico è sul palco ma non sul piedistallo, non è meglio degli altri. Anzi, butta fuori le sue frustrazioni, paranoie, problematiche, sottoponendo e sottoponendosi a una specie di terapia, di catarsi, puntando il dito su società, religione, moralismo, linguaggio, famiglia, politica in senso lato, come i vari Woody Allen, Richard Pryor, George Carlin, Bill Hicks, Louis CK, Ellen DeGeneres, Ricky Gervais, Doug Stanhope, Bill Maher o “specializzarsi” su questioni razziali come Dave Chappelle e Chris Rock. Sempre facendo ridere, perché non si tratta di comizi ma di comici (anche se cambia solo una lettera e l’accento) e non ogni parola va presa (troppo) sul serio.
Fino a dove può andare la satira? Il problema è globale, siamo lontani dagli arresti di Lenny Bruce, ma la censura velata è sempre in agguato. In Italia, dopo una bella fase di prime serate innovative per la tv anni ’90 targate Serena Dandini e Corrado Guzzanti, il genere è stato marginalizzato. Daniele Luttazzi, dopo le critiche per forma e contenuto ha avuto ben altri problemi, di plagio. Cioè traduceva le battute degli americani, poco conosciute da noi, ma non del tutto ignote, altrimenti l’avrebbe fatta franca.
Nella fascia più seguita rimane la copertina comica di Ballarò, prima affidata a Maurizio Crozza e ora a rotazione, ma è più di commento alle notizie, non consente troppo di spaziare. Sennò c’è la tv a pagamento e lì si apre un mondo. Come il programma Satiriasi, ideato da Filippo Giardina, Ccn Comedy Central News condotto da Saverio Raimondo o poco tempo fa la serie tv Dov’è Mario, di e con Guzzanti e la partecipazione dello stesso Raimondo, pungente critica tanto a una comicità “cafona” quanto a un certo tipo di intellettualismo.
Il britannico Ricky Gervais ha la sua teoria: “sono sicuro di offendere, ma non chiedo scusa. Un comico deve portare in posti sconosciuti, altrimenti potreste andarci da soli. C’è tanta comicità blanda, senza rilevanza. Non ci sono argomenti tabù, dipende dalla battuta. Prendiamo le battute morbose di humour nero, tutto sta nella consapevolezza che nessuno dei due (chi racconta e chi ascolta, ndr) sia così. Usiamo la comicità come una spada, uno scudo e una medicina”.
Giorgio Montanini, comico fermano conduttore di Nemico Pubblico su Rai3, sostiene che “la satira deve essere controcorrente, distruggere i luoghi comuni, entrare come bisturi nel burro e far saltare nervi scoperti”. Senza essere reazionaria, “altrimenti sei un fascista”, come Dieudonné M’Bala M’Bala, comico francese finito nell’occhio del ciclone per l’antisemitismo.
E rimanendo in Francia, non si può non parlare di Charlie Hebdo, se non altro perché l’hanno fatto tutti, il più delle volte a sproposito. Dal je suis Charlie si è passati facilmente all’indignazione per la vignetta post-terremoto in centro Italia, senza capire che l’accusa era all’amministrazione urbanistica e non una presa in giro delle vittime. Facile difendere e capire il meccanismo della satira quando parla di un’altra religione, l’islam nello specifico. Difficile quando ci si sente destinatari. Paradossalmente ha fatto meno parlare la vignetta su Alan Kurdi, quella già più reazionaria.
Ma dalla vicenda Charlie Hebdo chi ci ha rimesso è stata proprio la satira e non solo per gli omicidi. Tanti, gli stessi comici, hanno fatto richiesta di istituire il 7 gennaio la giornata mondiale della satira. Ma istituzionalizzarla sarebbe solo un altro chiodo nella sua bara.
Ricky Gervais sull’umorismo controverso (sottotitoli in italiano) https://www.youtube.com/watch?v=Oy1uHpbwmRU