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Nell’antica Roma già succedeva

Per quanto il mondo vada avanti e ci illudiamo che il progresso tecnologico sia così rivoluzionario, la maggior parte delle dinamiche sono le stesse, da sempre. Cambia la velocità di comunicazione e di circolazione delle idee, ma non cambiano poi tanto i contenuti. Abbiamo abolito la schiavitù, ma solo ufficialmente. Le donne hanno ancora disparità di trattamento e gli omosessuali erano certamente più tranquilli nell’antica Grecia. E nell’antica Roma, che soprattutto in quanto a politica, ha inaugurato teorie ancora in voga a distanza di duemila anni.

Divide et impera, ad esempio, sottilmente attuale. Nativi contro immigrati, ma un po’ tutti contro tutti in un sistema mediatico che diffonde la paura dell’altro, dello straniero, ma anche del vicino di casa, nella logica dei muri e dell’isolamento che uccide il senso collettivo. Lo capirono alla perfezione i nazisti, che per facilitare il controllo sulla moltitudine promuovevano i kapò, mettendo i prigionieri contro nella speranza di un trattamento appena migliore. La pax romana, imposta da Augusto, il controsenso di una pace forzata e anche il motto si vis pacem para bellum, se vuoi la pace preparati alla guerra, a cui Stati Uniti e Unione Sovietica hanno attinto pienamente durante la Guerra Fredda. Il famigerato panem et circenses, che parla alla pancia, basta che si mangia e ride. Così come già si era capita la sete di sangue del popolo, soddisfatta dai cristiani, le minoranze dell’epoca, nell’arena. Certi pseudo-dibattiti di oggi cosa hanno di diverso, a parte i leoni veri?

Insomma, abbiamo inventato poco niente. E perfino personaggi che consideriamo frutto di una specificità storico-politica, aberrazioni tutte italiche che da altre parti non ci sarebbero – ma siamo stati smentiti da Donald Trump, fotocopia di Silvio Berlusconi arrivata 20 anni dopo – non sono così originali. E già che siamo in tema di Silvio, non è che avesse qualche analogia con Caligola (con tutte le scuse possibili agli eredi dell’imperatore)?

Caligola

Nato come Cesare Germanico, Caligola ottenne il soprannome dalla calzatura militare (caliga) che indossava già da piccolo. Fu accusato di essere depravato, dissoluto, immorale, spendaccione, ostile al Senato (Silvio, a colpi di decreti, iniziò lo svilimento del Parlamento). Ma era anche ridanciano, sempre in cerca di consenso e per questo pronto a fornire al popolo giochi (il Milan) e denaro (quiz su Fininvest e Mediaset, i mensili alle povere olgettine che travolte dallo scandalo non trovavano più lavoro, per non parlare di come si sia arricchita la cerchia dei fedeli). Caligola però attuò realmente il programma che è stato anche di Berlusconi, riducendo le tasse e realizzando opere pubbliche (non come il mitologico ponte sullo Stretto). Cesare Germanico fu ucciso a soli 28 anni, mentre aveva una malattia mentale degenerativa che chiama battute troppo facili sul povero Silvio, abbandonato anch’egli da quasi tutti gli ex alleati.

Catone il Censore

Però il Movimento 5 Stelle è veramente un’invenzione innovativa, non c’è mai stata altrove! A parte che il Partito Pirata ha lanciato la democrazia diretta in rete qualche anno prima e anche se in Italia non ha mai attecchito, rimanendo su percentuali da prefisso, in Svezia e Germania tra elezioni nazionali e amministrative ha sfiorato il 10%. Poi, già qualche millennio fa nell’antica Roma, un certo Marco Porcio Catone, oltre a pensare a distruggere Cartagine, si batteva contro gli sprechi e gli appropriamenti indebiti di denaro pubblico e il lusso delle donne. Ok, i 5 Stelle non sono sessisti, ma erano anche altri tempi, sostituiamo “donne” con “casta” e stiamo là. Paladino della moralità, Catone il Censore potrebbe anche suonare come un Mario Monti qualsiasi, per la politica di austerità, ma c’è qualcosa che lo indirizza più verso l’area 5 Stelle: il disprezzo per i medici. Ok, è un terreno minato, non c’è necessariamente analogia, ma nella grande maggioranza gli anti-vaccino diffidenti oltremodo contro la casta medica sono grillini. Catone odiava anche la cultura greca ed è impossibile dimenticare la gioia di alcuni esponenti pentastellati come Nicola Morra per la vittoria del terra terra Trump alla faccia degli intellettuali. Del resto un movimento di massa non può usare un linguaggio alla Nichi Vendola, che capirebbero sì e no in tre.

Un po’ più difficile è trovare analogie con il Pd e i suoi esponenti, perché sono meno caratterizzati. Anche meno interessanti, perché si confondono con tanti altri mestieranti del settore di tutte le epoche, con pregi e soprattutto difetti. Ma continuando a giocare, il rottamatore Matteo Renzi potrebbe essere l’homo novus Gaio Mario. Venuto dal basso – e qui su Renzi ci sono dubbi, viste le intricate vicende in cui il padre Tiziano è affaccendato – l’ex sindaco di Firenze ha in comune col generale romano la volontà di farsi largo fra i nobili, i D’Alema, Veltroni ecc. grandi vecchi del Pd. L’ascesa di Gaio Mario vede anche tradimenti (Bersani, Letta?).Come Gaio Mario, che calpestò alcune tradizioni in nome del rinnovamento e fu rappresentante del periodo di decadenza della Repubblica, Renzi è stato il primo ad avere il doppio ruolo di segretario di partito e primo ministro, contrariamente allo statuto, ed è senza dubbio simbolo di una nuova sinistra molto più centrista (e all’americana?) che può segnare la fine di un grande partito unitario in quell’area politica.

Gaio Mario

Mai in primissima linea (tranne il breve premierato), mai troppo dietro le quinte, possiamo chiudere il discorso in seno al centro-sinistra con Massimo D’AlemaMarco Tullio Cicerone. Abili oratori, sicuramente pieni di sé: il più anziano dei due aspirava ad essere il migliore ed eccellere sugli altri, l’altro pure ma non l’ha mai confessato pubblicamente. Entrambi si sono spesi a difesa di un sistema al collasso, contro l’eversivo Catilina/Renzi. Ma bisogna ammettere che la produzione letteraria dei due non è comparabile, con tutto (vabbè) rispetto per i libri del Baffetto.

Mancherebbe solo la destra destra, quella più estrema di Forza Italia. Quella di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Qui i paragoni non si possono fare, perché il razzismo duemila anni fa non era come lo concepiamo adesso. Nel senso che non si potrebbe parlare di razzismo in senso “moderno”. Sì, i popoli conquistati erano spesso schiavizzati, ma nell’antica Roma ottenere la cittadinanza e i suoi vantaggi era quasi più fattibile di adesso. Soprattutto non c’era disprezzo per le altre culture, anzi, i romani riconoscevano grandi meriti agli stranieri, greci, egiziani, chiunque, prendendone il meglio e metabolizzandolo. Non c’era la difesa ottusa di religione e tradizioni, ma si cercava sempre di integrare, perché il metro di giudizio non era la provenienza, ma la raffinatezza intellettuale: persino un barbaro acculturato sarebbe stato ben accetto. La maggior parte degli imperatori non era nemmeno nato nell’Urbe, molti venivano da fuori Italia, anche dall’Africa e dal Medio Oriente. Immaginate un sindaco del Veneto o di Roma stessa che fosse africano o arabo. Si griderebbe all’invasione, all’islamizzazione!

Non è che nell’antica Roma abbiano solo spianato la strada, per molte cose sono rimasti avanti.


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