Viviamo nell’illusione che la democrazia sia refrattaria alla tortura, ma la sola differenza con la dittatura è la sua tranquilla amministrazione. In Italia per esempio la tortura non è reato. Lo Stato ufficiale magari si indigna, ma poi c’è la ragion di stato che prosegue nella distinzione fra legittimo e legale, di fatto giustificandola. Il rapporto potere-tortura non è accidentale, magari non si può definire, ma si può descrivere, mentre la retorica cerca di derubricare la violenza (si è perfino discusso se il waterboarding, piacevole pratica per cui si è inondati d’acqua avendo la sensazione di non respirare, fosse tortura o meno). Il fatto è che il “male minore” indebolisce la concezione del male, perché non ci rendiamo più conto che è male comunque…
“A che serve sconfiggere il male se per farlo diventiamo malvagi?” È la domanda centrale del nuovo libro di Donatella Di Cesare, professoressa di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, che già dal titolo affronta il delicato tema della Tortura. Già perché la tortura è “enorme, inutile e gratuita”, come la descrive Giacomo Marramao di Roma Tre, e non solo da un punto di vista filosofico. Un “cuore di tenebra che sta dentro ogni forma di governo”. Vivo “in democrazia, come in dittatura, sebbene siamo convinti che non sia così”: è la cosiddetta “democratizzazione della tortura” descritta dalla Di Cesare, e l’Italia è una delle protagoniste di questo paradosso. Già, perché è una delle 141 nazioni (su 196!), “democratiche” e non, che la praticano, non riconoscendola come reato.
“Regeni, Cucchi, Aldovrandi… Abu Ghraib, Guantanamo, Genova… la tortura è un atto terroristico, nonostante sia teorizzata come atto anti-terroristico”, sottolinea Roberto Esposito della Normale di Pisa, perché chi ne fa ricorso si giustifica dietro al fatto che serve a ottenere la verità. In realtà è un esercizio di autorità allo stato puro: “il torturatore ha potere assoluto” (proprio perché è inutile che te la infliggo, per il gusto della forza) e “nulla si ripete più della violenza”.
Basti vedere cosa sta succedendo da quel famoso 11 settembre: “i Paesi non si vergognano neanche più” di ricorrere alla tortura. “Siamo sempre a rischio”, sottolinea il neo-candidato alla segreteria del PD e attuale Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, un Paese democratico come “la Francia ha chiesto una deroga ai diritti umani…” (prevista in stato di emergenza). Come aveva già fatto la Turchia.
“Abbiamo sempre avuto a che fare con un doppio stato”, sottolinea Marramao, “diviso tra ciò che è legittimo e ciò che è legale. La civiltà ha prodotto disumanità? Il potere legittimo si innesta sui temi della sicurezza e della sorveglianza. Ma la violenza in stato di necessità produce un contagio virale che porta all’identificazione, a farci dire ‘era necessario'”.
Hannah Arendt diceva che “nessuna esperienza ha significato senza immaginazione”, intendendo con immaginazione la capacità umana di immedesimarsi negli altri, in poche parole l’apertura mentale. Ma come si può giudicare il crimine se si vive nel crimine previsto dallo Stato stesso? Nel famoso libro del 1963 La banalità del male, sul processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, la Arendt voleva proprio dire questo: “la lontananza dalla vera realtà e la mancanza di idee diventano il presupposto fondamentale della tentazione totalitaria, che tende a allontanare l’uomo dalla responsabilità del reale, rendendolo meno di un ingranaggio in una macchina”. Su Eichmann notava infatti che più che l’intelligenza, gli mancava proprio “la capacità di immaginare cosa stesse facendo” con la sua “semplice e normale” routine di lavoro.
“Oggi in Italia abbiamo circa 54mila detenuti”, dice Orlando (dal 1991 al 2006 si passò da 30mila a 61mila), nel mentre “le misure alternative sono aumentate del doppio. Dal 2013 inoltre è stata istituita la figura del Garante per le persone private della libertà”. Ma non basta. Dopo aver atteso la legge sul reato di tortura almeno dal 1988 (quando l’Italia doveva semplicemente ratificare la convenzione Onu sul tema), l’anno scorso il Pd ci ha riprovato, ma dopo il passaggio alla Camera si è arenata al Senato, per colpa di chi? La destra (che dichiara di difendere in questo modo il “lavoro” dei poliziotti, con in testa Alfano e Gasparri). Ed era già una “legge di compromesso”, data dalla natura del governo di larghe intese guidato da Renzi. Ma almeno era qualcosa. Adesso quanto dovremo aspettare ancora?
Il problema serio allora è uno stereotipo. Come dice Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia, sembra che da noi “la tortura non esista per definizione”. Se un Alfano, allora Ministro degli Interni dichiarava: “bisognava sospendere la discussione sul ddl tortura, e non perché siamo contrari nel merito all’introduzione di questo reato, ma perché non possono esserci equivoci sull’uso legittimo della forza da parte delle Forze di Polizia”… di cosa stiamo parlando? Ci risiamo con le giustificazioni della violenza e “il doppio stato”. Se perfino “i vertici della polizia non capiscono che nessuno qui vuole criminalizzare l’intera Forza”, sottolinea Noury, “ma che, anzi, si tratta di circoscrivere meglio il comportamento dei singoli…” è poi ovvio che di tortura si possa parlare solo in certi casi: “se c’è una condanna, se c’è una Genova, allora si dice che la legge è urgente. Appena arriva una caso di criminalità o si verifica un atto terroristico, anche se all’estero, ecco che la legge non ha più senso, non è più urgente. Ecco che non è più il momento”. Che dite allora, facciamo tortura sì per alcuni e no per altri? (Tanto è già così). Neri senza alcun dubbio, bianchi dipende da dove vengono, poveri vulnerabili perfetto, ricchi no, musulmani ovvio, senza famiglia l’ideale, con famiglia procedere con attenzione. Certo non c’è un granché di “immaginazione”.
“Se la legalità è l’essenza del governo non tirannico, e l’illegalità quella della tirannide, il terrore è l’essenza del potere totalitario“. Hannah Arendt