La rivolta delle macchine è una paura che ha radici ancestrali se si intende, per estensione, la ribellione contro il proprio creatore. Gli antichi greci svilupparono il tema con il mito di Prometeo e la diffidenza di Zeus verso gli umani, pericolosi perché in costante evoluzione. Mary Shelley in un’estate particolare di inizio XIX secolo pubblicò Frankenstein, o il moderno Prometeo.
La tecnologia era quella che era, ma la visionaria costruzione del mostro anticipa la complessità degli androidi, cerebralità a parte. La sua intelligenza era infatti il punto debole. Non come quella di Hal 9000, prototipo del computer diabolico pianificatore che ha lo scopo di disfarsi dei “padroni” umani in 2001: Odissea nello spazio.
Progesso e auto-apprendimento
Non è mistero che i progressi tecnologici siano stati esponenziali, concentrati negli ultimi 50-60 anni su centinaia di migliaia di anni di presenza umana. E, a loro volta, particolarmente densi nell’ultimo decennio del mezzo secolo di cui sopra. Ovviamente, nella “realtà”, l’intelligenza artificiale parte da buone intenzioni, di supporto agli umani imperfetti. Agli albori del settore, nel 1999, l’israeliano Amnon Shashua lanciò Mobil Eye, occhio aggiuntivo che consentiva alle automobili di riconoscere – e quindi non investire – i pedoni.
Ciò che più colpisce dell’intelligenza artificiale è la sua capacità di auto-imparare, di migliorare da sola con la pratica, proprio come un bambino (e nelle fasi più avanzate della vita) che apprende prima con l’insegnamento e poi con l’esperienza diretta. Le fasi tecniche infatti prevedono una parte “supervised”, sotto la supervisione umana, una “unsupervised” e quindi un “reinforcement learning”, cioè l’affinamento, spiega Marco Magrini, giornalista de Il sole 24 ore esperto di scienze e tecnologia. Il rapporto Dio-uomo in un certo senso si trasla a uomo-macchina. Il creatore che dà il là e la civilizzazione prosegue di conseguenza, finché non ci sarà più bisogno della divinità.
Così ad esempio, un meccanismo come Mobil Eye è stato addestrato per riconoscere il volto umano da diverse prospettive e angolazioni, in tal modo il suo database è stato incrementato per evitare il minimo errore. Lo stesso Google Translator, rispetto a qualche anno fa, ha fatto passi da gigante – grazie anche a segnalazioni in carne ed ossa. L’intelligenza artificiale è poi in grado di insegnare direttamente ad altre apparecchiature simili, tramandando la tradizione proprio come facciamo noi. Il primo computer che sfidò Garry Kasparov a scacchi, nel 1996 perse 4-2, un anno dopo risultato ribaltato.
Una rivoluzione è già in atto,
ma ancora pacifica. Tanti lavori non necessitano più o necessiteranno sempre meno del fattore umano. La questione è vecchia quanto la rivoluzione industriale, quando gli operai iniziarono a temere per il loro impiego, obsoleto per l’arrivo di rudimentali macchine. Che però, appunto si sono perfezionate. “Piloti, chirurghi, consulenti finanziari, giornalisti” possono iniziare a tremare, in ottica più o meno futura. Anche la scrittura di articoli è già automatizzabile. “Gli algoritmi vincono 7 a 1 sull’uomo per velocità, accuratezza (cioè assenza di refusi) e costi. Sulla qualità si può discutere”, continua Magrini, chiedendosi se prima o poi il premio Pulitzer andrà a qualche circuito.
La pubblicazione dei Panama Papers, 11 milioni di documenti sull’evasione fiscale di oltre 200 mila società, sarebbe stata impossibile con i metodi di inchiesta tradizionali, per esempio. “Al New York Times le posizioni di lavoro aperte sono per giornalisti esperti di ingegneria informatica, dati e statistiche”, racconta Magrini. Gli aggregatori di notizie come Flipboard o Ntiss usano le preferenze basate sugli storici per presentare all’utente una selezione personalizzata, con i pregi e difetti. Riduce il tempo, anzi lo azzera, per la ricerca, ma dall’altro lato filtra articoli che magari non immaginavamo interessanti, in cui invece saremmo incappati con la lettura classica di un giornale, cartaceo oppure on-line.
Convivenza umani-robot
La convivenza con computer e robot cambierà ulteriormente le nostre vite in un futuro più o meno lontano. Saremo sgravati da sempre più compiti e lavori, forse anche “rimpiazzati nello sport”, ipotizza Magrini, prospettiva poco auspicabile per atleti e tifosi. Ma se la rivoluzione è in atto, la tanto temuta ribellione è ancora poco realistica, nonostante l’apprendimento delle macchine proceda spedito e con meno necessità di interventi umani. Sarà però fondamentale capire come mantenersi, come pagarsi una vita più leggera e soddisfacente.
Di certo servirà un periodo di transizione, in cui bilanciare l’uso dell’intelligenza artificiale con la necessità di impiego per sopravvivere. Ma, nel lungo periodo, non avrà senso intestardirsi su posizioni luddiste, dal movimento della Rivoluzione Industriale contrario all’introduzione delle macchine. Con tutto il rispetto di chi perse quel lavoro, non rimpiangiamo certo la sveglia-umana o il raddrizzatore dei birilli del bowling.